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La forza d'urto dell'anima poetante

Post n°65 pubblicato il 03 Giugno 2018 da touchstone0
 
Tag: poesia
Foto di touchstone0

Nota di Gabriella Cinti alla silloge poetica
Esercizi di immortalità
di Marco Belocchi
Edizioni Progetto Cultura 

Scorrendo le poesie di Esercizi di immortalità di Marco Belocchi compaiono, come su una quinta teatrale, peraltro consona - anche professionalmente - all' indole di questo poeta, il  senso di una inquieta ricerca esistenziale, una serrata investigazione del mondo, il colloquio inesausto con l'altro,  specie femminile, alimentato da misteriche certezze, lo struggimento del non sperare inteso come deprivazione vitale, lo scarto dal possibile nell'agnizione che è amorosa quanto ontologica.  Cogliamo ripetutamente nei versi, una visione entropica alleggerita da una ironia carezzevole, la percezione di un trasmutare non solo e non tanto rigenerante quanto piuttosto  straniante, in direzione di un crudele indifferenziato, nella difficoltà di trovare un baricento identitario. Su tutto, domina il nostos algos del mondo greco, il faro unitario dello Sfero parmenideo. Trapela, inoltre, il tema della epifania amorosa, equorea e cromatica percezione espressa con grande densità cromatica, così come vette di straordinario lirismo affiorano in versi come " io ti aspettavo, mia ninfa di abisso/dagli occhi d'acqua e di lapislazzuli/ il mito primevo si specchia sul fondo/ faceva l'amore / e impacciate non erano le trame dei sogni", in cui la creatura amata, approdata dal mito, diventa guida destinica verso l'oltre. Questo "oltre" appare un superuranio di supremo Compimento, per grazia dell'amore, salvifico per eccellenza. E  tale compito soteriologico risuona in versi struggenti, nella evocazione di un'agnizione a ritroso, auspicata con un struggimento eucologico "...se i miei occhi...incidere sulla retina / un frammento di bellezza / leggero dalla terra potrei ripartire/ e felice , ritrovata la scintilla / che divina tra le sfere cadde/ doni addietro. "Perdita ontologica e sentimentale, cadute e rimpianti, punteggiano i versi, senza luci consolatorie se non, per il lettore, nella possibilità di riconoscersi in questo destino di sottrazione che tocca quanti abbiano sofferto per amore.Il richiamo al mito si palesa in ripetute presenze, di cui quella più intensa, la figura di Dioniso, colpisce per l'adesione alla complessa natura del "dio clandestino" che il poeta coglie nelle sfaccettature della sua cangiante essenza. Ma, non di meno, veniamo sedotti, all'interno del pantheon evocato da Belocchi, da Afrodite, colta in quell'empito supremo di desiderio e trascinante bellezza che solo la poesia e l'arte possono immortalare. In fondo a questa istanza di divino mitico, lampeggia forse una interrogazione originaria a "gli occhi di Dio", del  quale, pur "senza bocca/ e senza orecchie" -  anzi, spesso "nemico", -  si vagheggia anche solo il dono di uno sguardo. Nella percezione di un Kronos distruttivo, che tutto trasforma senza pietà, pure si leva la voce invocante il prodigio, nella sola forma concessa a un poeta, la parola, che sfida Tempo e Morte, per proporgli il patto incantato della eternità d'istante.Amo cogliere  in questi versi, infine, un messaggio paradossale di permanenza, pur nella generale frana del mondo, quella longue durée della poesia che "vince di mille secoli il silenzio", anche nel pathos epico del profetismo apocalittico di "Apocalissi nel deserto": la rivoluzione della poesia che rovescia - kataballei- il grado zero dell'essere nella forza d'urto dell'anima poetante.

 
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La finzione della realtà

Post n°64 pubblicato il 01 Giugno 2018 da touchstone0
 

Prefazione di Marco Belocchi al romanzo
Processione diabolica
di Stefano D'Angelo
Serarcangeli Editore

Stefano D'Angelo arriva al debutto nel romanzo dopo una lunga carriera di autore, avendo esordito con un volume di liriche nei primi anni ottanta e continuando con una fruttuosa e rilevante produzione teatrale che, cosa abbastanza rara per i nostri palcoscenici, ha visto la luce non solo sulla carta stampata, ma anche nel luogo che gli sarebbe proprio, ovvero il teatro. Ho avuto la fortuna, e se vogliamo anche l'ardire, di mettere in scena io stesso alcune delle commedie, o forse sarebbe meglio chiamarle tragicommedie, di D'Angelo e sempre ho notato che l'impatto sul pubblico si è rivelato duplice, obliquo, spiazzante, dove la forte componente grottesca, il linguaggio iconoclasta e l'uso deliberato di codici linguistici mutuati dal cinema di genere, dal fumetto e comunque dalla letteratura di consumo, faceva da contrappunto a storie apocalittiche in cui i piani della realtà, attraverso meccanismi talvolta impeccabili, slittavano progressivamente fino a confondersi, per trovare, magari in uno sberleffo finale, la soluzione. Commedie certamente di non facile fruizione, che nonostante l'apparente "divertissement", o se vogliamo un'anarchia post-surrealista alla Boris Vian, nascondono un'ansia orwelliana filtrata attraverso le "attese" beckettiane o il relativismo pirandelliano (non a caso la maggiore raccolta del suo teatro s'intitola "Così è ma non pare") e vissute attraverso i generi cinematografici, dal western all'horror, dall'avventura di sapore spielberghiano alla farsa bellica.
La cifra che D'Angelo ha finora prediletto non può che essere lo spiazzamento e, in un panorama teatrale e letterario italiano che nell'ultimo ventennio ha registrato una frenata e un consenso verso forme di facile consumo e totale disimpegno, questa voce così stridente, provocatoria, complessa, nei linguaggi e nelle tematiche, e mi viene anche da sottolineare solitaria, ha certamente avuto difficoltà ad affermarsi e a trovare una platea pronta e ricettiva. Solo ora forse, in questa temperie caratterizzata da una crisi e precarietà permanenti, e per fortuna prima di essere postumo, può ottenere la collocazione e l'attenzione che merita.
Con il romanzo Processione diabolica alcune delle tematiche e dei codici utilizzati da D'Angelo nella sua ventennale produzione, trovano un'altra forma, si rigenerano, o forse sarebbe meglio dire, rigerminano, trovando una compattezza nuova, eliminando quasi totalmente la componente ludica e lasciando il posto semmai ad un'ironia amara che si fa strada nella cupezza che assume il suo universo, d'altronde perfettamente al passo con i tempi (non mancano certo i riferimenti ad un'attualità subita, oltre che vissuta), anche se trasferito in un futuro non troppo lontano, dove ancora una volta i piani tra realtà e finzione si intrecciano e si capovolgono, conducendo il lettore attraverso un labirinto diabolico.
Ma andiamo con ordine. Processione diabolica si struttura in stazioni, quasi fosse una sacra rappresentazione medievale, un dramma di Brecht, ma anche una moderna sceneggiatura, mentre il genere mutuato è il giallo di detection alla Chandler, ma anche una certa fantascienza in cui si riconoscono atmosfere e scenari alla "Blade runner", ma anche, con sottesi rimandi, a certa vocazione apocalittica di "Metropolis". La storia si apre con un funerale e da lì comincia la detection che un ex ispettore di polizia, l'ottuagenario Lucenzi, appena richiamato in servizio, conduce nei meandri di una città irriconoscibile, sotterranea, precaria, come sono precari i suoi rappresentanti (il capo della polizia ha 18 anni e viene rimosso ogni sei mesi!). Attraverso rocambolesche traversie che si generano come concrezioni cancerose, e a dir poco kafkiane, Lucenzi sprofonda sempre più in una discesa agli inferi, fino a ritrovarsi sul proprio letto di morte,  che a sua volta ci riconduce al funerale iniziale.
E poi Jonny Gongo. Questo personaggio che si intravede nel romanzo e sbuca fuori prepotente nell'epilogo, a sua volte germinazione di un altro testo di D'Angelo, "Salem", in cui Gongo, il regista occulto, qui ricompare ancora in questa veste diabolica, novello Mabuse di Langhiana memoria (ancora un rimando al cinema!), per sussurrarci che forse, ancora una volta, stiamo tutti vivendo una finzione, la più grande delle finzioni e delle menzogne, attori inconsapevoli e grotteschi di poteri tremendi, occulti, antichi, molto antichi, addirittura... "più antichi del Diavolo".


 

 
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Prefazione a "Esercizi"

Post n°56 pubblicato il 22 Aprile 2013 da touchstone0
 
Tag: poesia

È uscita sul blog di poesia viadellebelledonne la prefazione di Francesco De Girolamo al libro di poesia Esercizi di immortalità di Marco Belocchi.

Potete leggerla al link : viadellebelledonne.wordpress.com/2013/04/22/esercizi-di-immortalita-francesco-de-girolamo-sulla-poesia-di-marco-belocchi/#more-37551

 
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Sordo... alla violenza!

Post n°48 pubblicato il 11 Giugno 2012 da touchstone0
 

Trionfo domenica 10 giugno per il cortometraggio Sordo... alla violenza! al Cortigiano video festival - sez. giovani, dove ha ricevuto il 1° premio sia della giuria che del pubblico.

Questa la motivazione della giuria: "Il corto presenta in modo semplice e diretto un argomento di tragica attualità. Il linguaggio è essenziale e privo di retorica, intenzionalmente didattico nella scelta del messaggio che si intende far arrivare con forza e durezza. L'equivalenza tra la sordità fisica e quella ideale rimanda al rigore di una consapevolezza necessaria."

Erano presenti sia il regista Marco Belocchi, sia i giovani interpreti Alina Popescu e Stefano Coronel che hanno ritirato i premi. 

 
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Ponte Milvio

Post n°47 pubblicato il 03 Giugno 2012 da touchstone0
 

Il 23 maggio si è svolta, nella prestigiosa sede dell'Accademia Filarmonica Romana, la manifestazione indetta dal FAI (Fondo Ambiente Italiano) per le scuole medie e superiori di Roma e del Lazio dal titolo "Attraversiamo un ponte".

Per le scuole superiori è risultato al 1° posto l'Istituto tecnico Duca degli Abruzzi, che ha realizzato il cortometraggio Attraversiamo Ponte Milvio, per la regia di Marco Belocchi che conduce da anni, all'interno dell'Istituto, un laboratorio teatrale/cinematografico.

Hanno ritirato il premio gli studenti del Duca che hanno preso parte al progetto insieme alla prof.ssa Maria Sofia Sessa che lo ha promosso e coordinato.

 

 
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