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Un Obama in crisi di immagine aveva bisogno della morte di Osama

Post n°1777 pubblicato il 02 Maggio 2011 da massimocoppa
 

E’ questo il discutibile calcolo che crea, però, un martire
UN OBAMA IN CRISI DI IMMAGINE AVEVA BISOGNO DELLA MORTE DI OSAMA

L’annuncio della morte di Osama bin Laden ha scatenato un’ondata di euforia negli Stati Uniti. La gente è addirittura scesa in piazza per festeggiare. Questo la dice lunga sul livello di imbarbarimento civile del mondo occidentale: inneggiare e brindare all’uccisione di un essere umano è qualcosa che lascia perplessi, se non inorriditi.

Bin Laden è stato il pianificatore e l’organizzatore del mostruoso attentato aereo alle Torri Gemelle americane nel 2001, con il suo portato di migliaia di morti innocenti: un gesto da condannare, assolutamente.

La discussione ci porterebbe troppo lontano e sarebbe difficile da affrontare mantenendo la necessaria pacatezza: però non dobbiamo dimenticare che c’erano molte e valide risposte alla retorica domanda formulata da Bush junior subito dopo l’11 settembre: “Perché il mondo ci odia?”. Gran parte del mondo ha odiato gli Stati Uniti per ragioni validissime e comprensibilissime: perché ne ha assaggiato lo strapotere militare, politico ed economico.

Ci sono intere aree del pianeta dove le politiche dei governi americani sono oggetto di giustificata avversione, perché hanno portato alla negazione della libertà per i popoli che le hanno subite: basterebbe pensare a tutte le dittature che Washington ha appoggiato nel nome dei propri interessi. Ed anche nei Paesi del mondo industrializzato l’influenza degli USA è enorme.

È quindi perfettamente comprensibile che un gruppo estremista progetti e realizzi una strage come quella delle Torri Gemelle; è perfettamente comprensibile che ci siano intere masse popolari che ne gioiscano. Il loro messaggio è: “Adesso avete un assaggio di cosa abbiamo provato noi, per decenni, per colpa vostra”.

Oltretutto molti dei personaggi che gli Stati Uniti hanno inserito nella galleria dei mostri dell’umanità sono stati creati dagli Stati Uniti stessi. Osama è un caso da manuale: è la conseguenza finale di quell’integralismo islamico che Washington ha allevato, foraggiato, coccolato e vezzeggiato in chiave antisovietica in Afghanistan. L’ennesimo Frankenstein creato dalla superpotenza occidentale e rivoltatosi contro di essa (e di tutti noi). Saddam Hussein è un altro caso emblematico: per decenni appoggiato e sostenuto, poi dismesso.

L’uccisione di bin Laden presta il fianco a molte considerazioni. Dov’è la prova che egli sia veramente morto? Perché non viene mostrato ai media? Perché è stato sepolto in mare? Si ha così il sospetto che non si voglia consentire a nessuno di verificarne l’effettivo decesso.

Gli Stati Uniti creano così un martire. La strategia più sensata sarebbe stata di eliminarlo e far sparire il cadavere, senza dire niente. Così, nei prossimi anni, addirittura si sarebbe potuto sostenere che bin Laden non comparisse più per vigliaccheria, e distruggerne definitivamente l’immagine.

Invece adesso lo sceicco risulta morto in battaglia, ucciso dal “Satana americano”: ce n’è abbastanza per creare il mito e per suscitare le reazioni più preoccupanti, anche a lungo termine.
L’America muscolare non è nuova a grossolani errori di strategia: stavolta, però, si intravede un calcolo preciso, anche se rozzo. Di certo si sono resi conto che avrebbero creato un martire: ma Barack Obama ha deciso di rischiare pur di rilanciare la propria, appannatissima, immagine e di scrollarsi di dosso il sospetto di essere una specie di simpatizzante arabo, date le sue origini etniche. Anche in quest’ottica potrebbe essere visto il moto di stizza col quale, qualche giorno fa, ha mostrato il suo certificato di nascita per testimoniare la propria “purezza” americana.

 
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