Una decisione che si inserisce nella problematica
della qualità dell’informazione su Internet e nel declino
dei giornali cartacei
IL “NEW YORK TIMES” ON LINE TORNA A PAGAMENTO
La pacchia sta per finire un’altra volta. Nella vexata quaestio della gratuità o meno dei contenuti su Internet, specie di quelli informativi, il “New York Times” (quello che era considerato il quotidiano più famoso e prestigioso del mondo) ha deciso di far pagare la lettura degli articoli pubblicati sul suo sito Internet.
In realtà non è una novità. Forse qualcuno ricorderà che, qualche anno addietro, questa strategia era stata già tentata, con risultati imbarazzanti: pochissimi avevano deciso di aprire il portafoglio per accedere agli articoli on line.
Ma la crisi, economica e dell’editoria, continua e, alla fine, gli strateghi del marketing hanno deciso di riprovarci.
Il fatto è clamoroso, innanzitutto per l’infausto precedente, e poi perché va ad inserirsi in quello che è ormai l’incubo di tutti i quotidiani cartacei dei Paesi avanzati: resistere, arrendersi, cambiare, scomparire? E poi: far pagare o puntare sulla pubblicità?
La materia è terribilmente scivolosa e nessuno ha la ricetta definitiva: si procede a tentoni. Un solo dato è certo: tutti i giornali cartacei, dagli Stati Uniti all’Europa, ed anche in Italia, sono in crisi. Le copie vendute in edicola calano costantemente da anni e non c’è iniziativa editoriale che le risollevi. Al contrario, i siti di informazione on line vanno fortissimo: ma quanti sono disposti a pagare per continuare ad usufruirne? E’ proprio questo il punto: il lettore internettiano vuole davvero un’informazione precisa e puntuale? Diciamo meglio: accetta di pagare per una buona informazione professionale? O si accontenta di quel che passa il convento (e quindi notizie approssimative, non verificate, campate in aria e magari scritte pure male), basta che sia gratis?
Su questo confine si gioca non solo il destino dei giornali intesi come oggetti, ma del concetto stesso di informazione fatta da professionisti: un mondo messo già a dura prova dal “giornalismo diffuso”, quello che tutti credono di essere in grado di fare solo perché, con un cellulare munito di obiettivo, hanno ripreso un evento capitato sotto i propri occhi.
Il Washington Post ed il Financial Times fanno pagare l’edizione on line da tempo, e l’esperimento sembra avere avuto successo: ma quella è informazione economica e finanziaria di altissima qualità, un bagaglio di conoscenze che viene usato per fare soldi e far fruttare, o conservare, i propri investimenti.
Ma in quanti accetteranno di mettere mano alla carta di credito pur di leggere una notizia di politica o di cronaca che, anche se abborracciata ed approssimativa, potranno trovare altrove?