Di solito un funerale non è mai facile da vivere.
Se coinvolge un familiare, più o meno stretto,è senza dubbio più difficile.
Il dolore e il ricordo ancora vivo del defunto ti avvolge come un velo
che annebbia le percezioni e, per quanto tu possa adoperarti in favore dei più affranto e meno controllati, il dolore personale e intimo prende il sopravvento e ti sfuggono tanti piccoli particolari di quello che avviene.
Quando invece testimoni, con la tua presenza, la solidarietà verso un'amico ti accorgi e rifletti su
molti aspetti.
Il primo ( e quasi non ci credi) è che ti sei ritagliato, aldilà dell'obbligo di rappresentanza, un
pò di spazio per te.
Il secondo è che, inconsapevolmente, utilizzi questo spazio per pensare e riflettere su cose che
altrimenti, preso dalla quotidianità, dal ritmo del lavoro,dallo stress della vita, non ti saresti
soffermato.
E' indubbio che Un funerale appartiene alla categoria delle cose lente e, a quelle velocità, si
colgono dettagli, si ascolta e si elabora meglio.
Giovedi scorso al funerale del Padre di Enzo, oltre alla compostezza del dolore dei familiari più
intimi, mi hanno sorpreso due cose:
- la forza comunicativa del celebrante la messa, che all'inizio del rito non
era trasparsa, ma che al sermone è venuta fuori con forza e convinzione .
Erano trent'anni che nonavevo questa sensazione di "sentire" la convinzione del prete in un commento
alla parola evangelica.
Convinzione spiegata e colorita con ogni mezzo espressivo. Ho finalmente rivisto un tipico esempio di
prete di frontiera immerso in una realtà di quartiere comunque difficile. Perchè San Pietro a Patierno
,si sa, non è via Cilea. Un prete che ha espresso concetti aldilà della ritualità e della ripetitività
stereotipata che mi capita di "subire" in altre occasioni. Alla fine della messa non ho potuto fare a
meno di passare in sagrestia a salutarlo.
- la seconda sorpresa mi è giunta, devo dire inaspettatamente, dalla lettura dell'avviso mortuario.
I napoletani, in genere quelli che come me sono nati e vissuti nei quartieri più popolari, conoscono
l'importanza del nomignolo o del soprannome che viene "appioppato" per individuare e distinguere le
frequenti omonimie.
Si uilizzano frequentemente anche per enfatizzare un carattere particolare (Tonino o' pazze -
Vicienzo o' prufessore ecc.) spesso con obbiettivo canzonatorio, ma anche per indicarne il mestiere
(Ciro o' sarte - Michele o' chianchiere ecc.).
Un soprannome è per sempre, te lo porti appresso per una vita e nel quartiere Ciro Esposito pochi
conoscono chi sia, ma se chiedete di Ciro o'sarte tutti vi sapranno indicare dove trovarlo.
Dicevo dell'avviso mortuario: "Giuseppe Climaco, detto Peppe o'bravo". O' bravo, un soprannome
inusuale non mi era mai capitato ne di sentirlo ne di leggerlo in 50 anni di vissuto.
Ho sorriso, perchè i sorrisi anche ai funerali arrivano spontanei, e mi sono detto :
"Si, Peppe Climaco doveva essere proprio una brava persona per aveve il riconoscimento popolare
del suo quartiere".
Complimenti a Voi, don Peppe.
Franz
Inviato da: malenamil
il 06/02/2010 alle 16:03
Inviato da: berequeck
il 19/01/2010 alle 11:31
Inviato da: kiss_and_knife
il 14/01/2010 alle 12:22
Inviato da: franztango
il 12/06/2009 alle 19:35
Inviato da: MadamOscar
il 11/06/2009 alle 19:51