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matantotango

Passione, forti emozioni, grandi illusioni, magica atmosfera, la memoria del corpo, il gioco dei ruoli. Tutto questo in una sola parola, Tango.

 

 

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Riflessioni tra vita e morte

Post n°43 pubblicato il 26 Luglio 2008 da franztango
 

Di solito un funerale non è mai facile da vivere.

Se coinvolge un familiare, più o meno stretto,è senza dubbio più difficile.

Il dolore e il ricordo ancora vivo del defunto ti avvolge come un velo
che annebbia le percezioni e, per quanto tu possa adoperarti in favore dei più affranto e meno controllati, il dolore personale e intimo prende il sopravvento e ti sfuggono tanti piccoli particolari di quello che avviene.

Quando invece testimoni, con la tua presenza, la solidarietà verso un'amico ti accorgi e rifletti su
molti aspetti.

Il primo ( e quasi non ci credi) è che ti sei ritagliato, aldilà dell'obbligo di rappresentanza, un
pò di spazio per te.

Il secondo è che, inconsapevolmente, utilizzi questo spazio per pensare e riflettere su cose che
altrimenti, preso dalla quotidianità, dal ritmo del lavoro,dallo stress della vita, non ti saresti
soffermato.

E' indubbio che Un funerale appartiene alla categoria delle cose lente e, a quelle velocità, si
colgono dettagli, si ascolta e si elabora meglio.

Giovedi scorso al funerale del Padre di Enzo, oltre alla compostezza del dolore dei familiari più
intimi, mi hanno sorpreso due cose:


- la forza comunicativa del celebrante la messa, che all'inizio del rito non
era trasparsa, ma che al sermone è venuta fuori con forza e convinzione .

Erano trent'anni che nonavevo questa sensazione di "sentire" la convinzione del prete in un commento
alla parola evangelica.
Convinzione spiegata e colorita con ogni mezzo espressivo. Ho finalmente rivisto un tipico esempio di
prete di frontiera immerso in una realtà di quartiere comunque difficile. Perchè San Pietro a Patierno
,si sa, non è via Cilea. Un prete che ha espresso concetti aldilà della ritualità e della ripetitività
stereotipata che mi capita di "subire" in altre occasioni. Alla fine della messa non ho potuto fare a
meno di passare in sagrestia a salutarlo.


- la seconda sorpresa mi è giunta, devo dire inaspettatamente, dalla lettura dell'avviso mortuario.
I napoletani, in genere quelli che come me sono nati e vissuti nei quartieri più popolari, conoscono
l'importanza del nomignolo o del soprannome che viene "appioppato" per individuare e distinguere le
frequenti omonimie.

Si uilizzano frequentemente anche per enfatizzare un carattere particolare (Tonino o' pazze -
Vicienzo o' prufessore ecc.) spesso con obbiettivo canzonatorio, ma anche per indicarne il mestiere
(Ciro o' sarte - Michele o' chianchiere ecc.).
Un soprannome è per sempre, te lo porti appresso per una vita e nel quartiere Ciro Esposito pochi
conoscono chi sia, ma se chiedete di Ciro o'sarte tutti vi sapranno indicare dove trovarlo.
Dicevo dell'avviso mortuario: "Giuseppe Climaco, detto Peppe o'bravo". O' bravo, un soprannome
inusuale non mi era mai capitato ne di sentirlo ne di leggerlo in 50 anni di vissuto.
Ho sorriso, perchè i sorrisi anche ai funerali arrivano spontanei, e mi sono detto :
"Si, Peppe Climaco doveva essere proprio una brava persona per aveve il riconoscimento popolare
del suo quartiere".
Complimenti a Voi, don Peppe.



Franz

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Commenti al Post:
aspasia1964
aspasia1964 il 26/07/08 alle 16:02 via WEB
Bella questa tua riflessione....
 
Giggino22
Giggino22 il 28/07/08 alle 23:14 via WEB
George F. Will ha scritto: “Mentre le epoche precedenti parlavano schiettamente della morte ma erano reticenti sulla sessualità, la nostra epoca è tediosamente loquace sul sesso ma si rifiuta di considerare la morte come un fatto della vita”…A rifletterci è proprio così: parliamo di tutto, abbiamo abbondantemente superato tabù, spesso esasperando la normalità di fatti e temi collocati in certi ambiti culturali o di costume fino a dilatarne i limiti connaturati ad essi, ma allontaniamo sempre di più la possibilità di parlare, di affrontare “la morte” nella sua naturalità di fatto della vita, di effetto immodificabile della vita stessa. Forse perché pensarla, affrontarla, considerala, mette di fronte necessariamente ad un limite…e la nostra epoca, il nostro sistema culturale non accetta la parola “limite”…e perché mette di fronte al dolore più acuto che un essere umano possa provare, il distacco per antonomasia e che, come tale, porta con sè ed amplifica tutto il dolore di un non “avere più” e di non poter fare niente per cambiare “ciò che è”. Certo, più si è prossimi a chi è andato via, più il dolore assume dimensioni enormi, inquantificabili, ma l’intensità – anche se solo per poche schegge di tempo – è la stessa: uno squarcio che ci fa aprire gli occhi su una dimensione a noi connaturata, ma che tendiamo ad ignorare, forse perché guardiamo ormai poco al noi più profondo, più intimo, forse semplicemente per spirito di tutela, di protezione verso ciò che segna il “limite” con ciò che conosciamo, perché il dolore va esorcizzato… e la morte è dolore. Ed ecco che anche se per pochi attimi, ci ritroviamo tutti uguali, nudi con noi stessi… E facciamo in quel momento riflessioni sulla vita e sulla morte, ancòrati più o meno saldamente alla nostra bussola filosofica o religiosa che sia… E così, come dici tu Franz, ci ritagliamo uno spazio per noi, percepiamo il tempo, o meglio, lo sentiamo in noi, predisposti inconsciamente all’ascolto più completo, quello puro, quello che spesso non c’è. E non è solo un ascolto per noi stessi, ma un ascolto per tutto quello che ci circonda e lo riportiamo in noi, finalmente al più puro livello del sentire, quello istintuale che ci permette di scambiare con l’universo. Ma la morte è solo vuoto, solo assenza? Cosa rimane della morte? La vita. Si, rimane la vita, la vita che può essere considerata eterna o un semplice passaggio, questo non importa, di certo rimane la vita, quella agita giorno per giorno, la vita che è andata via da quel corpo che conoscevamo, ma che permane in quello che si è stati, nel bene e nel male…Ed ecco che la straordinaria originalità di un modo di essere di un popolo schietto, intenso, contraddittorio, con un occhio avanti e uno fisso indietro, come solo la gente di Napoli è e può essere, riassume, esprime con una disarmante semplicità esattamente questo: la vita della morte che sta comunicando! Con una parola, una sola parola, un aggettivo, un sostantivo, libera da omonimie certo, ma nello stesso tempo apre uno spaccato su quella vita che non c’è nella forma, ma permane nella sostanza…. Lo trovo straordinario, straordinario perché senza giri di parole, sovrastrutture comunicative, esprime un senso profondo, il senso profondo della morte che è la vita…e così o’ sarto, o’ pazzo, o’ bravo…non sono più solo soprannomi, sono sintesi di una vita che è stata, che a partire da quella parola si snoda nella mente di ciascuno in modi diversi, ma si snoda.. E la morte un po’ si libera dall’accezione di vuoto, di mera assenza, prende un’altra dimensione, quella di punto di arrivo…e forse si può provare a guardarla da un’altra prospettiva, a non temerla soltanto, a parlarne, a parlarne a se stessi, a chi la sta vivendo o l’ha appena vissuta sulla sua pelle con tutta l’enormità di un dolore che non si può comprendere senza provarlo, parlarne senza temere questo dolore, senza paura, senza paura dei limiti…… Grazie Franz per questo spazio e un grande abbraccio ad Enzo. Giggino
 
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Le struggenti e corpose sonorità di un bandoneon, lo strumento simbolo del tango argentino (insieme alla chitarra ed al violino), emozionano chi ascolta e pratica tango. E' per questo motivo che ho voluto utilizzare questa immagine emblematica per il mio blog. Il bandoneon Alfred Arnold, in particolare (quello raffigurato nella foto), è per me ancor più che un simbolico emblema, è il mio bandoneon che espongo in bella mostra nel living di casa mia e che accarezzo con passione e dolcezza nella speranza di poter imparare a suonarlo. Questo blog vuole accompagnare il mio vivere il tango ma sopratutto vuole essere uno spazio di accoglienza e di discussione dove amici, vecchi e nuovi, appassionati o curiosi del tango possano esprimere le loro opinioni e raccontare le loro esperienze sulle rive del tango argentino. Franz
 

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