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PERCHE' DIFENDERE IL MADE IN ITALY

Post n°30 pubblicato il 28 Settembre 2009 da mcbertan

 

IO SOTENGO :

Già da un decennio molte delle piu grandi industrie  del ns paese hanno esportato la produzione all'estero , tal volta usufruendo di incentivi statali dedicati all'innovazione altre volte spinte dagli stessi governi (cosi si incentiva all'internazionalizzazione del made in Italy ) e lasciando a casa centinaia  di lavoratori connazionali.

ecco una ricerca compiuta dal corriere della sera nel 1997 :

Romania quarta regione del Nord EstIl 25 % della ricchezza del Triveneto dipende dalle produzioni trasferite.

Impegnati quasi 6 mila imprenditori: li' togliamo uno zero ai nostri costi Timisoara e' la citta' satellite dell' industria calzaturiera di Treviso Il ministro degli Esteri Adrian Severin: e' solo l' inizio. In arrivo altre facilitazioni

INCHIESTA Romania quarta regione del Nord - Est Il 25 % della ricchezza del Triveneto dipende dalle produzioni trasferite. Impegnati quasi 6 mila imprenditori: li' togliamo uno zero ai nostri costi Timisoara e' la citta' satellite dell'industria calzaturiera di Treviso Il ministro degli Esteri Adrian Severin: e' solo l'inizio. In arrivo altre facilitazioni DAL NOSTRO INVIATO BUCAREST - Le regole di base sono due. Le spiega, un po' in italiano, un po' in veneto, Silvano ("niente cognome, per favore"), un tecnico spedito in Romania da un calzaturificio di Montebelluna. Primo: "Gli imprenditori delle mie parti vengono qui in Romania per togliere "uno zero" dai conti. Quello che in Italia paghi 1.000 qui costa 100. Poi ci devi aggiungere i trasporti e balle varie. Pero' e' sempre un bel risparmio". Secondo: "Ci vuole molta pazienza. Quello che in Italia puoi fare in un'ora, qui si fa in un giorno". Sul charter per la Romania (ormai ne partono tre alla settimana da Treviso, da Bologna e da Verona) praticamente ci sono solo loro. Gli imprenditori e i tecnici del Nord - Est. Taciturni, diffidenti. Perfino vittimisti: "Siamo costretti a fare gli emigranti". Ma, sotto sotto, felici. A Timisoara, la cittadina dove e' cominciata nel dicembre dell'89 la rivolta contro Ceausescu, si muovono da padroni riconosciuti. A Bucarest sono corteggiati dal governo di centro - sinistra alle prese con un difficile piano di privatizzazioni. La prima fase, quella dell'invasione in ordine sparso cominciata un paio di anni fa, con il solito contorno di speculatori, affaristi e magliari, e' finita. La prova? E' nelle cifre. Gli investitori italiani in Romania sono 5.913. Solo a Timisoara risultano iscritti alla Camera di commercio 538 societa' con apporto di capitale italiano. Ma il punto vero e' un altro. In Veneto, Trentino e Friuli - Venezia Giulia operano circa 15 mila imprese manifatturiere (calzature, abbigliamento, tessile). Ebbene: almeno tremila di queste aziende hanno spostato gran parte della produzione in Romania. Motivo? Non avevano altra strada per rimanere competitive sui mercati mondiali, come sostiene Mario Moretti Polegato, titolare della Geox di Treviso e, dal giugno di quest'anno, console onorario del governo di Bucarest nel Triveneto (con sede ad Asolo). Per spiegarsi Polegato disegna una piramide su un foglio. "Vede? In cima ci sono i prodotti piu' pregiati, quelli di qualita'. Qui siamo a posto: i prezzi sono alti e le imprese ci stanno dentro con i costi. I problemi ce li abbiamo alla base della piramide, dove il mercato e' meno ricco, ma piu' grande. I prezzi sono bassi, le aziende non ce la fanno a reggere, a pagare gli stipendi. L'alternativa e' secca: o chiudono o emigrano". E i veneti, come i friuliani e i trentini, emigrano. Non nel Meridione italiano, dove, dice ancora Polegato "i salari sono troppo vicini a quelli del Nord". Ma in tutto l'Est europeo. E, soprattutto, in Romania. "Perche' li' ci sono le migliori condizioni di lavoro" aggiunge Polegato. Lo stipendio di un operaio, per esempio, va dalle 100 alle 150 mila lire (e una casa in affitto, tanto per avere un termine di confronto, costa 100 mila lire al mese). Risultato: oggi almeno un quarto del giro d'affari del Triveneto, stimabile in 120 mila miliardi di lire, dipende dalle produzioni spostate nell'Est europeo. Questo significa che senza questa sorta di "quarta regione", nell'ultimo anno almeno 250 mila posti di lavoro (sul totale di un milione di addetti dell'industria manifatturiera del Nord - Est) ora sarebbero a rischio. O addirittura spazzati via dalla concorrenza internazionale. Impressionante? Forse si', eppure e' solo l'inizio. Per scoprirlo basta scorrere gli elenchi delle Camere di commercio romene o la lista degli iscritti all'Associazione degli investitori italiani in Romania, (sede a Timisoara) presieduta da Enrico Pollo, titolare dello studio di consulenza Archimedes. Oggi sono circa 40. Ecco un piccolo campione: Lirom di Cremona; Romez di Vicenza; Vera, di Verona; Romitalia di Verona; Resi di Vicenza; Luma di Padova. Quasi tutti vogliono radicarsi. Prima noleggiavano i capannoni, ora vorrebbero comprarli. Hanno cominciato portando qualche telaio, qualche tornio. Ora cominciano ad arrivare i veri investimenti: soldi e macchinari. Tutti i materiali vengono trasportati con i camion dall'Italia, come racconta, tra gli altri, Mihaela Titoc, assistente di Domenico Giacone, proprietario di una tipografia a Chieri (Torino) e dal 1994 di un'altra stamperia a Bucarest con 25 dipendenti. Un discorso a parte meritano le calzature. La citta' satellite del Triveneto e' Timisoara. Oltre a Geox, sono presenti Bonis, Consult line, Aku, Lotto, Diadora, Dolomite, Greensport. Alcuni di questi hanno gia' costruito stabilimenti sul posto. Gli altri si sono associati con vecchie fabbriche locali, per esempio con la storica Banatim, che produce calzature dal 1900 e oggi, nonostante abbia ancora l'aspetto triste del "combinat", (la "fabbrica totale" del socialismo reale) assembla circa 800 mila paia di scarpe, pronte per le vetrine delle citta' occidentali. Per i calzaturieri di Montebelluna tutto cio' significa un risparmio del 50 % sui costi. Poi ci sono le aziende che trasferiscono solo una parte delle linee produttive. Le tomaie, per esempio, o l'imbottitura di una giacca vento, piuttosto che il telaio di un armadio. In questo caso i semilavorati tornano nel Triveneto, dove i dipendenti completano e rifiniscono il prodotto. Ma senza il "passaggio" romeno (a basso costo) quelle scarpe, (o giacche o mobili) sarebbero fuori mercato. E con essi le aziende. Il governo di Bucarest ha capito al volo che bisogna puntare su questi piccoli (ma numerosi) "investitorilor" veneti. Il Paese si dibatte ancora in una grave crisi economica, con squarci di vera miseria. La spinta per ricominciare puo' venire solo dall'esterno. Ed ecco perche' il ministro degli Esteri, Adrian Severin, annuncia "ulteriori sforzi per incentivare le imprese straniere (vedere tabella ndr). Ma dall'Italia ci aspettiamo ancora altri investimenti, finora hanno portato solo 350 miliardi". Certo lavorare da queste parti puo' essere complicato. Tra l'altro bisogna sopportare una corruzione famelica e capillare. "Se vuoi andare avanti, devi sganciare dollari a tutti", sbottano gli "investitorilor" trevigiani, prima di salutare all'aeroporto di Timisoara e filare via nelle uniche berline in attesa.

Inutile dire che da oltre 12 anni quei 250 000 posti del tessile triveneto  che si temeva venissero persi sono quadruplicati ed ora il tessile made in Italy è al 90% dislocato non solo  in romania ma dal 2005  soprattutto  in CIna , India , Pakistan.

Gli imprenditori di notissime marche che si vantano a livello mondiale del made in Italy non fanno piu made in Italy da oltre 10 anni , hanno mandato a spassocentianai di famiglie italiane .

Dal tessile e calzaturificio agli elettrodomestici , dalla ceramiche alla meccanica oleodinamica .

Siamo in piena crisi ed i governi dei paesi europei ci tranquillizzano tenendoci nascoste le vere ragioni della crisi produttiva cioè la svendita totale della produzione manifatturiera.

Oggi 3 famiglie su 5 non sono in grado di arrivare a fine mese perchè non c'è lavoro , non c'è lavoro perchè il lavoro è stato portato all'estero da ciensi indiani pakistani rumeni e se non c'è lavoro non ci sono stipendi adeguati e calano i consumi e l usura di macchinari utensi e di produzione mettendo in crisi la meccanica e gli indotti.

ITALIANI SVEGLIA!!! BOICOTTATE CHI CI HA TRADITI .

dite no ai marchi che si fregiano del made in Italy rubando il lavoro al nostro territorio ed alla nostra gente. Informate ed informatevi sui marchi italiani che producono in Italia  ed in Europa .

 

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Commenti al Post:
Antares_89
Antares_89 il 10/10/09 alle 10:54 via WEB
Quello di cui parli è uno dei problemi più seri che dobbiamo affrontare, prima che diventi troppo grande per poterlo sconfiggere. E' un cancro che stringe la nostra economia in una morsa, che ci impedisce di fare valere i nostri prodotti, alcuni fra i migliori del mondo. Basta alle contraffazioni, basta a chi si fregia di quello che è nostro, basta a chi ruba il nostro lavoro e la nostra produzione. Combattiamo quelli che vogliono sfruttare il nostro nome per coprire le proprie mancanze. Una denuncia doverosa: complimenti sinceri. A presto, Amico mio. Emanuele.
 
fucio02
fucio02 il 17/11/09 alle 14:14 via WEB
Effettivamente, la questione della Romania è seria. Tra l'altro, oggi risulta che vi sono anche prodotti italiani copiati dai romeni. Esempi? Alcune confezioni di Parmigiano-Reggiano grattuggiato e in busta risultano essere prodotte in Romania e non nelle province di Parma, Reggio Emilia, Mantova, Modena e Bologna, zone tipiche di quel formaggio. La Coldiretti denuncia decine di prodotti italiani "tarocchi", fatti proprio in Romania. Termino complimentadomi per il suo blog ed invitandola a visitare il mio, il cui link è http://italiaemondo.blogspot.com. Nel mio blog collabora anche Antares89, che è un bravissimo ragazzo. Cordiali saluti.
 
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