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"Come i treni a vapore
come i treni a vapore
di stazione in stazione
e di porta in porta
e di pioggia in pioggia
e di dolore in dolore
il dolore passerà".
Come treni sono passati questi anni.
Alcuni in orario, altri in ritardo annunciato, altri ancora in ritardo imprevisto.
E c'era sempre qualcuno ad aspettarli oltre alla linea.
Qualcuno infastidito, qualcuno nervoso, qualcuno rassegnato.
Ma i treni non seguono le persone, le loro esigenze palesi e quelle nascoste.
I treni seguono l'orario dello Stato.
Parafrasando, l'orario del casuale.
Quell'orario che non si cura del ritardo sul lavoro, del ritardo sull'amore, del ritardo sulla vita.
Quell'orario che esiste solo per essere accettato oppure perduto.
Come una porta che si chiude e un fischio poco prima ad annunciarlo.
Come treni, questi anni.
Ci lasci sempre su qualcosa che mai avresti potuto dimenticare.
Li perdi sempre quando sarebbe stato fondamentale salirci in orario.
Non obliteri il biglietto quell'unica volta che il controllore aveva le mestruazioni.
E mi sembra di essere davanti al tabellone "treni in arrivo", adesso.
Destinazione non ricordo, ma orario sbagliato.
Un orario già passato. Forse da alcuni secondi, non di più.
Le ruote hanno smosso la polvere, i vagoni l'aria, le aspettative il tempo.
Ma tu cercavi l'obliteratrice, i cinque centesimi per il cassiere, i settanta per il bagno, gli occhiali per leggere il numero del binario, l'accendino per l'ultima sigaretta di sveviana memoria.
Eil treno se n'è andato, la tua aspirazione con lui.
Aspirazione ad una puntualità lavorativa, una puntualità mentale, una puntualità di cuore.
Puoi rimanere oltre la linea, a pensare a quello che se n'è andato tra i vagoni di seconda classe e l'odore di sudore stagnante del passeggero strenuo viaggiatore, o pulizia fobico, che avresti avuto al tuo fianco.
Puoi rimanere lì a pensare alle stazioni di passaggio, al rumore delle pagine di un libro che, a ritmo storpio, si girano una dopo l'altra.
Al pianto di un bambino, alla conversazione sovra dosata di un telefonista invasato, agli sguardi insistenti di un ragazzino diciottenne.
Puoi pensare alla stazione d'arrivo, alla folla di valigie umane che si arrampicano per le scale, alle cento sigarette che si accendono oltre la soglia della proibizione legale.
Puoi pensare ai mille viaggi che hai fatto e hanno avuto una destinazione, che magari ti hanno deluso, perchè il paese che cercavi era diverso da quallo cha hai trovato.
Che magari ti hanno stupito perchè oltre le scale del vagone puzzolente non aspettavi nient'altro che una sosta passeggera.
Ma quell'ultimo treno l'hai perso.
E quell'ora che viene dopo non ha più nessun sapore se non quello dell'immaginazione frustrata.
Come treni a vapore.
Perchè passano, lasciano dietro il fumo che non è nient'altro che un ricordo percorribile solo con l'olfatto, con la nostalgia, con la vana speranza.
Perchè se li perdi non saprai mai cos'avrai perso veramente.
"Io la sera mi addormento
e qualche volta sogno perché voglio sognare
e nel sogno stringo i pugni
tengo fermo il respiro e sto ad ascoltare".
Il dolore passerà, tra stazione persa e stazione trovata. Forse.
Passerà tra quel biglietto ragionato e quello timbrato in un attimo di aporia razionale.
E io sogno, anche nella stanchezza di un paesaggio che tra i chilometri percorsi sembra non poter mai cambiare.
Ascolto.
Quello che ho visto, quello che ho trovato, quello che ho immaginato.
Ma passa, ogni cosa.
Anche se il "panta rei" non è altro che una rassicurazione dell'uomo contro l'effimero.
Sia dolce o amaro che sia.
Voglio la prossima fermata, il prossimo paesaggio, il prossimo biglietto comprato anche se magari non ne vale la pena.
E ancora un dolore, una pioggia e una stazione.
Un anno a vapore.
Inconsistente, insubordinato.
Senza forma e con troppo odore.
Una anno a vapore.
Per raccogliere sul mio vagone quello che incontro per ogni strada.
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