Universo persona

Pedagogia clinica & dintorni

 

   

AMBITI DI INTERVENTO

L’intervento di aiuto per soggetti in età pre-scolastica e scolastica trova orientamento a seguito di un percorso diagnostico ed è rivolto alle abilità: espressivo/elocutorie, organizzativo/motorie, 
comunicativo/relazionali
e apprenditive.
In accodo con la famiglia è previsto un coordinamento tra il pedagogista clinico e la scuola al fine di favorire un’utile integrazione tra l’intervento di aiuto dello specialista e l’iter educativo scolastico.

L’intervento di aiuto a favore di singoli adulti viene garantito da una diagnosi e dalla scelta di tecniche appropriate e armonizzate in modo flessibile, capaci di sostetare la scoperta, la conoscenza e l’accettazione di sé, placare le tensioni, mantenere vivo l’equilibrio delle emozioni, assumere una ritrovata fiducia, muoversi positivamente verso gli obiettivi desiderati. Interventi che predispongono ad andare oltre il disagio fino a modificare positivamente le abitudini, le regole di vita e il comportamento.

 

Le coppie e i gruppi trovano nelle diverse tecniche e modalità di utilizzo, occasioni importanti per uscire dal disordine e dal caos, conoscere e affrontare i rischi e le delusioni esistenziali. Ogni singolo ha l’opportunità di attingere alla propria fonte viva di significati e di risorse per acquisire un adeguato stile relazionale e comunicativo.

Altri interventi di aiuto condotti dal pedagogista clinico sono rivolti:

× all’orientamento scolastico

× alla formulazione di itinerari educativi di aggiornamento e formazione per il personale delle scuole e per gli educatori presenti in enti pubblici e privati

× al sostegno alla genitorialità.

 gruppo

 

PRESENTAZIONE DELLA PROFESSIONE.

 

METODI

Educromo, per il recupero della capacità di lettura; Writing Codex, per la codifica scrittoria; Eucalculia, per il potenziamento delle abilità logico- matematiche; Edumovment, per lo sviluppo delle potenzialità organizzativo-motorie; InterArt, per lo sviluppo della creatività; Body Work, Trust System, DiscoverProject, TouchBall per favorire la conoscenza e la coscienza topografico-corporea; Musicopedagogia, per il potenziamento delle capacità comunicative e interazionali; Memory Power Improvement (MPI), per lo sviluppo dell’attentività e della mnesi;

Prismograph, per educare al segno grafico;

 

 

Bon Geste, per favorire abilità grafo-gestuali; Training Induttivo (TI), metodo di rilassamento per fronteggiare gli stati di disagio psi-fisico; Metodo Ritmo-Fonico, Coreografia Fonetica, Vibro Vocale, per lo sviluppo delle espressività e della comunicazione orale; Metodo Self, per il risveglio delle abilità nell’autonomia  e coscienza di sé; Metodo Feeding, per migliorare la funzione masticatoria; Reflecting, per favorire lo sviluppo del sé; Semiotica Senso-percettiva, per facilitare l’interazione; PsicoFiabe, per stimolare l’immaginazione; Cyberclinica,  PictureFantasmagory, ClinicalMentalPicture per favorire rinforzi ergici e nuove disponibilità al rapporto. 

 

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AREA PERSONALE

 

EFFETTI PERSONALI

 

 

 

DISAGIO GIOVANILE

Post n°19 pubblicato il 02 Luglio 2011 da pedagogista72
 

Nelle società moderne è in atto da alcuni decenni un fenomeno di progressivo sgretolamento del tessuto sociale, i cui effetti, in termini di disagio giovanile, di emarginazione e, in molti casi, di diffusione del consumo di droghe e alcool fin dalla pre-adolescenza, rappresentano una realtà nota a tutti.
Secondo un’analisi condivisa dalla maggioranza degli operatori ed educatori, sono venuti a mancare, nel corso degli anni, i principali punti di riferimento su cui i giovani dovrebbero appoggiarsi nel loro percorso formativo, educativo e culturale in vista di un inserimento stabile e positivo nella società: la famiglia attraversa un periodo di forte crisi, soprattutto rispetto alla capacità di trasmettere modelli comportamentali stabili e tali da contrastare il diffondersi delle  proposte esterne, mentre la scuola, manifesta già da tempo difficoltà nell’espletare compiutamente il proprio ruolo di formatrice di persone in grado di affrontare e vivere consapevolmente il presente e scegliere responsabilmente il proprio futuro.
La mancanza di modelli da seguire, la percezione incerta del futuro, la difficoltà a sentirsi parte di un mondo di cui non capiscono il senso, o da cui si sentono rifiutati, allontanati, derisi, o che ancora vedono come troppo distante e difficile da raggiungere per loro, uniti alla percezione di valere poco o nulla, può portare nel tempo alla fuga, alla depressione o alla violenza. Lavorare con i giovani significa quindi proporre percorsi che li mettano in relazione con figure adulte autorevoli, capaci di far sperimentare limiti e regole ma anche esperienze gratificanti, di stimolare secondo i tempi e le competenze di ognuno alla conoscenza di sé e delle proprie possibilità, di far intravedere un futuro possibile e positivo che abbia un senso, per cui valga la pena impegnarsi, crescere, alzarsi al mattino e volersi bene.
Le agenzie educative che, a vario titolo, hanno come destinatari del proprio intervento i giovani, dovranno perseguire finalità quali:

1.  Prevenire e/o ridurre il disagio giovanile.
2. Attraverso varie forme di fruizione e produzione comunicative, favorire il processo di autocoscienza nei giovani.
3. Agevolare rapporti interpersonali di relazione, confronto e scambio.
4. Aprirsi alla comunità educante, attraverso un’azione finalizzata alla consapevolezza dei disagi adolescenziali e alla progettazione di possibili interventi integrati.

 
 
 

Soverato

Post n°18 pubblicato il 28 Giugno 2011 da pedagogista72
 
Tag: POESIE

SULLA RIVA
(Miriam Comito)

Il sole si mostra all’orizzonte
e invita l’alba a vestire i colori
per specchiarsi nel mare
in riflessi di luce cangiante.
Timidi borghi sparsi
si affacciano su verdi colline,
e una torre, sentinella antica,
vigila ancora greche memorie.

Bianche dita danzanti
sfiorano i miei piedi nudi,
lievi onde serene
cullano pensieri solitari.
Vecchi e nuovi volti s’incrociano,
sguardi e parole s’incontrano …
respiro il vento caldo dell’est
che oggi ha il profumo del mar
e.

 
 
 

DIVENTARE COPPIA

Post n°17 pubblicato il 27 Giugno 2011 da pedagogista72
 

La formazione della coppia, come da più parti rilevato, avviene attraverso un processo che traccia un continuum dal corteggiamento e scelta del partner, alla costituzione di una identità di coppia, fino ai relativi compiti di sviluppo. Da questo iter, ci si accorge come più delle altre la fase costitutiva della coppia affonda le radici nel passato e, contemporaneamente, si protende verso il futuro.
In un primo momento i due soggetti vivono un tempo “personale” in cui le individualità si affiancano (io-tu), mentre con la costituzione dell’identità di coppia avviene una trasformazione profonda (Noi). Da questo momento inizia una temporalità interna alla coppia, scandita dalla relazione tra i due e dalle tappe del loro sviluppo in quanto famiglia. Inizia, appunto, il ciclo di vita della famiglia e in esso gli eventi avranno un significato precipuo e daranno inoltre un senso all’esistenza dei membri e del gruppo.
La sede in cui questa nuova formazione e questo “ tempo” prendono vita è l’INCONTRO. In questa parola confluiscono due accezioni : lotta, caccia , gioco (il porsi di due individui l’uno di fronte all’altro); riunione, alleanza (essere insieme contro qualcosa, di fronte a…).
All’atto costitutivo di una coppia, questi due aspetti coesistono.
Da una  ricerca condotta nel 1983 su 1200 famiglie statunitensi, per studiare lo stress subito in concomitanza agli eventi critici e le strategie poste in atto per superarli, l’analisi ha dimostrato che, nella fase di formazione della coppia, le relazioni con migliori reazioni e quindi minore stress, sono quelle più coese e maggiormente capaci di adattamento di fronte ai mutamenti dell’ambiente.
Emerge qui l’importanza di quelle RISORSE  di coppia e familiari, quali l’orgoglio, la lealtà, la flessibilità… utili alla soluzione di quei conflitti, che inevitabilmente emergono all’interno della coppia e/o con la famiglia di origine. Risorse di notevole efficacia si sono dimostrate:

 

·        “Promuovere l’accordo familiare;

·        Una corretta gestione dell’economia familiare;

·        La comunicazione;

·        La valorizzazione della personalità del partner;

·        Le attività piacevoli del tempo libero;

·        Le pratiche relative alla propria salute ( prendersi cura di sé)”

Tali risorse, a quanto pare, consentono di far fronte all’evento causa di stress, senza rimanerne travolti.

 

 
 
 

Per magia...

Post n°16 pubblicato il 25 Giugno 2011 da pedagogista72
 

G iocano gnomi, folletti e fate
A llegri abitanti del tuo regno.
N on dimenticare, ormai cresciuto,
D el bambino, che sei stato, il sogno.
A ffiora ancora la magia, sentila!
L ibera la vita dalle paure,
F alle sparire e torna a sognare.

(acrostico contributo in "Il forum di Monteparano" - di M. Comito)

 
 
 

A PROPOSITO DI MITI E FIABE

Post n°15 pubblicato il 25 Giugno 2011 da pedagogista72
 



I miti e le fiabe hanno un potere di fascino sull’uomo, perché fanno capo alla fantasia, arricchendola, e traducono molti processi interiori in immagini visive, in cui non viene descritta una condizione psicologica, ma la si vive, fino all’esito positivo, in un processo di identificazione, che non fa uso della ragione.
Nelle fiabe non si hanno riferimenti di tempo o di luogo, spiegazioni in termini di causa-effetto, sovrapposizioni di giudizio alle azioni. Il bambini, incapaci, per età, di una comprensione intelligibile del reale, trovano, in tal modo, nella fiaba un ottimo strumento nella ricerca di risposte agli interrogativi della vita.
La “magia” della fiaba è congeniale inoltre all’"animismo" proprio dell’infanzia (Piaget lo fa durare fino all’età della pubertà), per cui anche le cose possono sentire e agire… e guai a dire che Babbo Natale non esiste!
La fiaba ha molta presa sui bambini, anche perchè parla di persone comuni, in cui ciascuno si può identificare e, non solo, propone una soluzione dei problemi qui, su questa terra, senza rimandare a ricompense ultraterrene. Quest’ultimo aspetto diventa fondamentale, perchè certe “fantasticherie”, che tanto sanno di falsità per un adulto, sono preferibili all’assoluta assenza di sicurezza, in un percorso verso la maturità intellettiva e psicologica.
Con il trascorrere del tempo, quanto più una persona si sente sicura nel mondo, meno farà affidamento a proiezioni “infantili” (soluzioni fiabesche), cercando sempre delle spiegazioni razionali ai problemi esistenziali. In questo, volendo approfondire, bisognerebbe rintracciare, nella capacità degli adulti di dare sicurezza, la disponibilità del soggetto ad una ricerca di senso che sia razionale e non più fantastica. Sta a noi educatori sostenere i bambini in quella debole convinzione che crescendo, impegnandosi e lavorando duro, riusciranno a far fronte alle avversità e un giorno trionfare (…è come dire: le fiabe hanno spianato loro la strada verso la fiducia in se stessi, a noi tocca sostenerli mentre la percorrono).
Mi piace concludere questo mio contributo, valutando come anche noi adulti non abbandoniamo mai le fiabe e tutto quel dinamismo interiore a cui si rivolgono e che hanno sollecitato. Testimoniamo questo tutte le volte che richiamiamo alla memoria certe immagini di fiabe a cui siamo legati e che hanno maturato in noi molte più convinzioni di quanto non abbiamo fatto successivi sedicenti “maestri di vita”. Abbiamo dimostrato, ancor più, questa verità con la nostra presenza al cinema, in quel “tutto esaurito”, alle proiezioni della trilogia del “Signore degli anelli” o della saga di “Harry Potter” … e non mi dite che eravate là solo per accompagnare…

“Ogni fiaba è uno specchio magico che riflette alcuni
aspetti del nostro mondo interiore e i passi necessari per
la nostra evoluzione dall’immaturità alla maturità”

(Bruno Bettelheim, Il mondo incantato.)

 
 
 

L'ATTENZIONE ALL'ANZIANO

Post n°14 pubblicato il 24 Giugno 2011 da pedagogista72
 

“Saper invecchiare è il capolavoro della saggezza e una delle cose più difficili nell’arte difficilissima della vita” (F. Amiel)

L’attuale tendenza nell’affrontare i temi legati alla persona tende sempre più al superamento di facili restrizioni tipologiche e classificazioni, che costringono la concezione dell’essere umano in rigidi schemi, dannosi per un’individualità insopprimibile e un’irripetibile personalità dei soggetti. Tale premessa, valida qualsiasi fase della vita si consideri, diventa ancor più rilevante se di fronte a sé si  trova un anziano: il frutto di un’esistenza le cui esperienze e vissuti precedenti sarebbe artificioso separare dall’ultima fase. Alla base dell’attenzione, dunque, ci deve essere lo sviluppo umano, come unico indivisibile processo, che inizia al momento del concepimento e termina con la morte. In tal senso i tradizionali periodi cronologici, contrassegnati da problemi e caratteristiche psicologiche del tutto differenti, sono da ritenersi rispondenti ad un’esigenza didattica ed espositiva, ma non sono da considerarsi come criteri assoluti di giudizio.
Sono da superare altresì alcuni stereotipi e pregiudizi stigmatizzati in frasi quali: “L’anziano è come un bambino.”; “Ripete sempre le stesse cose.”; “Deve godersi il proprio meritato riposo.”;   “L’anziano decade sempre mentalmente”; “L’anziano non ha forza e non può più impegnarsi in attività motorie, fisiche o intellettuali”... Se queste affermazioni possono avere un nucleo di verità, bisogna ammettere che assai spesso sono utilitaristiche e deresponsabilizzano dall’impegno ad offrire all’anziano ruoli significativi, rapporti interpersonali validi e continuativi, tali da fargli superare lo stato di esclusione e il senso di inutilità. A causa del criterio economico dell’efficientismo, quest’ultimi fattori di disagio possono accompagnare la fase del pensionamento: periodo critico in cui soprattutto l’uomo sente di perdere prestigio e si trova a vivere uno stato di inadeguatezza, in particolare sotto il profilo economico, per via di una previdenza pensionistica inadeguata ai bisogni.
Eppure gli studi moderni dimostrano come ogni individuo possa sviluppare la propria personalità, nelle funzioni cognitive, in quelle affettive e motivazionali, crescere in esperienze, assumere ruoli significativi fino all’ultimo atto della vita. L’aiuto alla persona anziana, pertanto, è un contributo contro l’isolamento e l’abbandono a se stessa, nel riconoscimento responsabile del potenziale umano e della presenza di risorse insite in ciascuno di noi, che, se stimolate nel giusto modo, possono produrre rinnovati equilibri ed un’accettazione di sé ad ogni età.

 
 
 

In estate...

Post n°13 pubblicato il 22 Giugno 2011 da pedagogista72
 

  "Ancora più in alto!", esulta il bambino,

Quando il vento solleva il suo aquilone.

Un volo fiero, come di un gabbiano,

Incanta i bagnanti, sotto l'ombrellone.

Lontano dalla riva, alcuni pescatori

Osservano il gioco, ne ammirano i colori.

"Non lasciare il filo!!", grida il papà

E il bell'aquilone il bagno si fa.

(acrostico - M. Comito)

 
 
 

Sui sentimenti

Post n°12 pubblicato il 22 Giugno 2011 da pedagogista72
 
Tag: POESIE

 

L'AMORE
(M.Comito)

E’ suono di tamburi l’amore,

forte, caldo e gioioso nel petto.
Un ritmo tribale nasce  inquieto
e irrompe nel silenzio attorno.

 

E’ lampo negli occhi l’amore,
accende lo sguardo, illumina.
Chiarore di un bel cielo stellato
è una luce che da dentro muove.

 

E’ un nodo  in gola l’amore,

che toglie il fiato e fa paura:

anche la parola diventa muta,

tocca allo sguardo sussurrare.

 

E’ una fiamma ardente l’amore,

che improvvisa, rapida accende.

Come un incendio è la passione,

che divampa e travolge.

 

E’ vento tra le dita l’amore,

che scuote e a volare invita.

Soffia lento, leggero negli occhi

e crea gocce di fine cristallo.

 

E’ vivere e morire l’amore,

è sognare e destarsi, amare,

è la voce soave del cuore

di chi dona e lo va a cercare.

 
 
 

IMPARARE A COMUNICARE PER “GUIDARE”, PIUTTOSTO CHE “CONDURRE”

Post n°11 pubblicato il 22 Giugno 2011 da pedagogista72
 

L’essere umano comunica con la realtà del mondo materiale e con quella delle persone, ma perché vi sia comunicazione occorre che l’informazione abbia un effetto retroattivo (feed-back) e che questa stessa informazione abbia un senso. Gli ambiti inseparabili, fisico e umano, richiedono l’uso della funzione neuro-muscolare  e si presentano sotto due aspetti complementari: la funzione tonica, che sottende gli atteggiamenti (nozione di relazione tonico-affettiva)  e la funzione di motilità, che permette gli spostamenti del corpo, l’agire sulla realtà, nonché la conoscenza che ne scaturisce. Vi è un inseparabile nesso tra l’equilibrio corporeo e quello affettivo, così come è dimostrata una reciproca influenza tra gli atteggiamenti corporei e quelli mentali, nella determinazione del ben-essere personale e di una maggiore o minore disponibilità verso gli altri.
Gli scambi tra le  persone non dovranno essere concepiti, peraltro, se non integrati nell’insieme dei sistemi di scambio che sono la realtà dell’esistenza di cui costituiscono un aspetto, che si sviluppa in certe circostanze, in un certo momento e implica l’impegno nella relazione.
Il modo in cui l’altro viene percepito, seppure in un complesso di informazioni globali e inconsce, costituisce la base della nostra prima conoscenza dell’altro. I tanti mezzi di comunicazione verbale e non-verbale sono strettamente intrecciati tra loro, sono legati alla cultura e all’età e svolgono un ruolo importante nelle diverse situazioni.
Il pedagogista clinico coglie la rilevanza dell’osservazione delle diverse modalità di comunicazione del soggetto, in quanto espressioni dell’Io e del vissuto interiore, e quindi la loro conoscenza diviene uno strumento utile per l’incontro con le persone coinvolte nel percorso pedagogico clinico.
Nell’ottica della pedagogia clinica sono valorizzati gli sguardi, i gesti, i silenzi, la respirazione… tutti i segni di un’apertura o chiusura del soggetto verso l’altro e di una disponibilità al contatto e all’ascolto, cui il pedagogista clinico stesso non si sottrae.
Lo stile comunicativo del pedagogista clinico, ancora di più, viene compreso se si considera la modalità del Reflecting, per cui viene ridotto l’uso della parola a vantaggio di un ascolto guidato e rispettoso di chi si racconta con parole o gesti.

Il focus viene fissato sulla prossemica, il tono della voce, la gestualità, gli auto-contatti, la postura, gli sguardi, la respirazione, la mimica facciale… un ruolo notevole ha il silenzio, che il pedagogista clinico normalmente non interrompe, ma utilizza quale attivatore dell’attenzione. La persona, infatti, nel  silenzio rimane con se stessa, riflette sul proprio vissuto, elabora il proprio pensiero. I rimandi sapientemente offerti alla persona sono l’opportunità di un feedback di sé, arricchito da nuove occasioni di riflessione, di analisi e, se occorre, del narrato. Il pedagogista clinico, ottiene questo sostando su dati oggettivi, utilizzando figure retoriche, strutturando in modo congeniale le frasi, modulando il tono della voce, facendo leva su posture e gestualità, gestendo lo sguardo, che, lungi dall’essere inquisitore, ha un ruolo notevole nel far sentire all’altro la propria vicinanza, l’attenzione alla sua persona e la comprensione del suo vissuto.
In pedagogia clinica sono aboliti i consigli, le domande inquisitorie, le risposte e, soprattutto i giudizi. Ecco perché l’uso di questa particolare modalità comunicativa consente di “guidare” piuttosto che “condurre” una persona o un gruppo.
La finalità dell’intervento è lo sviluppo delle potenzialità del soggetto, in una modalità relazionale e d’aiuto che lo renda veramente libero e responsabile: è un traguardo di soddisfazione personale, di libertà attiva e propositiva.

 
 
 

LA FAMIGLIA: UN'ORGANIZZAZIONE COMPLESSA

Post n°10 pubblicato il 20 Giugno 2011 da pedagogista72
 

Si può definire la famiglia un gruppo, in cui le relazioni di parentela, mai scontate, danno vita ad un'organizzazione complessa. Guardare a tale complessità di relazioni significa fare riferimento alla loro articolazione, che conferisce un carattere di dinamismo all’unità familiare.
La famiglia è un gruppo dall’organizzazione complessa, dunque, perché articolata e dinamica, in cui è possibile individuare una gerarchia degna di rispetto. Come non considerare ad esempio il peso di una potente nonna all’interno della vita familiare, oppure, di un figlio unico faticosamente atteso?
La valenza significativa delle relazioni in tale contesto è data dalla qualità e non dalla quantità, ovvero vi è una molteplicità di effetti che si legano ai fenomeni familiari. Una famiglia, infatti, porta con sé il bagaglio del passato, vive un presente ed è generatrice di una progettualità indirizzata al futuro. Peculiarità, questa, che contraddistingue la famiglia e la diversifica da tutti gli altri gruppi.
A questo sviluppo diacronico vi è un parallelo andamento sincronico: si incrociano su piani diversi le storie dei singoli con quella della famiglia di appartenenza ( la “ mia storia” con la “ nostra storia”); la storia della famiglia con quella della società (incidenza delle scelte familiari sul tessuto sociale).
Dare una lettura di questi dinamismi, così ricchi di significati, comporta considerare i diversi piani di azione e porli in costante relazioni tra loro.

 
 
 

Sui legami importanti

Post n°9 pubblicato il 18 Giugno 2011 da pedagogista72
 
Tag: POESIE

TRACCE
(M. Comito)

Si staccano dall'esistenza
immagini sospese:
brevi fotogrammi
di una vita che scorre.

Come ladro nella notte,
rubo al tempo i ricordi
nel perire di stagioni, anni
e li trattengo
per i giorni senza incanto.

Penso a noi,
erranti creature della storia,
in cerca di una stella polare
per non perdersi.

Lasciami la tua traccia,
che io possa conservare
nei luoghi dell'anima.
Ti troverò
quando il cuore,
con un palpito,
chiederà di te.
Un soffio di vento leggero
solleverà la polvere del passato
e ancora una volta
vincerò il tempo.

 
 
 

Dedicato ai miei alunni

Post n°8 pubblicato il 18 Giugno 2011 da pedagogista72
 
Tag: SCUOLA

      Il forum di Sofì

Carissimi bambini,
da qualche giorno è disponibile  sul web “Il forum di Sofì”: uno spazio interattivo pensato per voi. Si tratta di un ambiente in cui si richiede l’abilitazione per poter scrivere, che consentirà a ciascuno di potersi confrontare per crescere, esprimersi e divertirsi un po’. Niente correzioni e niente giudizi, s’intende, ma tanta voglia di stare insieme e cimentarsi in qualcosa di nuovo.
Troverete una “tag board” per saluti e messaggi veloci e le sezioni ricche di discussioni e divise per argomenti (scrittura creativa – ricette golose – manualità – giochi, divertimento, curiosità - cronaca e notizie...) per tutti i gusti e le passioni. Imparerete a conoscere i comandi e le potenzialità del vostro forum molto presto, ne sono sicura.
Be’, io e le maestre che collaboreranno con me, vi aspettiamo numerosi!

Con affetto
la maestra Miriam

 
 
 

IL PEDAGOGISTA CLINICO E L'INTERVENTO "DI" GRUPPO

Post n°6 pubblicato il 14 Giugno 2011 da pedagogista72
 

Per comprendere meglio la concezione che sta dietro l’intervento fatto dal pedagogista clinico con il gruppo, è necessario superare un errore di matrice culturale. Il ricorso crescente fatto al concetto di “piccolo gruppo”, infatti, impone la  considerazione dei limiti derivanti dall’uso, non sempre corretto, che si fa del termine associato alla visione del gruppo come “dato”, piuttosto che “divenire”: si perdono di vista le valenze psicologiche e pedagogiche, che sono dimensioni caratterizzanti il gruppo e il suo “essere”, ambiti rilevanti, strettamente attinenti alla soggettività, ai vissuti, ai significati personali, al costituirsi del gruppo nei processi di locomozione, nella costruzione di una storia condivisa e dotata di senso.
Una grave disattenzione come questa pone il rischio di ignorare l’esigenza di pensare per “processi” e quindi di considerare un divenire così come il concetto di processo implica, di sottovalutare, o ignorare, la prospettiva di chi fa parte del gruppo, per privilegiare il dato oggettivo, il dover essere, il fare per il fare, l’ottica dell’osservatore esterno, che concentrato sul fare, perde di vista i protagonisti stessi, che danno sostanza e valenza a quel processo.
L’ottica del “dover essere” e quindi dell’osservatore esterno orienta a far ricorso al gruppo, ma pone scarsa attenzione alle dinamiche gruppali e ai costituenti psicologici esistenti.
Si perde di vista quell’approccio metodologico auspicabile del “saper essere” e del “saper fare”: ci si concentra sull’attività prescelta, realizzata “in” gruppo, ma si perde di vista l’attività “di” gruppo, con un orientamento che diventa “prescrittivo” rispetto a quanto si ritiene di fare e perde di vista la persona, nella sua identità e nel suo vissuto unico, sprecando quell’opportunità che il gruppo avrebbe dato come risorsa aggiuntiva, con uno spreco di tempo e di energia.
Nell’ottica dell’osservatore esterno, dunque, il gruppo è un dato, una realtà fenomenica, percettiva o cognitiva, i membri hanno qualcosa oggettivamente in comune (lo stato sociale, un disagio, uno scopo, una qualità ecc…), ma è qualcosa solo formalmente comune, di fatto difficilmente condivisa. Manca l’attenzione alla soggettività e all’intersoggettività nei loro rapporti di interdipendenza e coesione, tipiche del piano esistenziale e fondamentali perché un gruppo abbia realmente una valenza positiva e sia strumento efficace per vivere esperienze significative nel superamento di chiusure e sensi di inadeguatezza.
E’ diverso, invece, il significato che il termine gruppo assume secondo il punto di vista soggettivo degli individui che lo compongono: si tratta di considerare la prospettiva di chi ne è parte, cioè il “vissuto soggettivo”.
“in psicologia il gruppo esiste nella misura e nei modi in cui viene vissuto soggettivamente dagli individui che lo compongono. Il gruppo funziona da gruppo psicologico quando i suoi membri vivono il rapporto con gli altri individui non singolarmente (relazione interpersonale) ma collettivamente (relazione sociale). Questa situazione di vissuto collettivo promuove tutta una serie di conseguenze che si manifestano con la presenza di forti tensioni emotive, cui è connesso il sentimento di appartenenza”. (Spaltro)
Il piccolo gruppo, pertanto, si caratterizza per essere di tipo psicologico e per il suo divenire, non è un “a-priori”, ma esiste in funzione delle dinamiche che ne caratterizzano la vita e delle dinamiche soggettive e intersoggettive che in esso si attivano e hanno ricaduta sulle azioni intraprese.
A definire la qualità delle relazioni sociali, non sono tanto le intenzioni o i contenuti, quanto il clima relazionale, che favorisce “l’implicazione dei membri del gruppo”: questa è la conclusione cui giungono molti studi a riguardo, condotti da ricercatori di diversa estrazione e a tale scopo le interazioni sono da ritenersi l’ambito di controllo del passaggio dai meccanismi sociali ai meccanismi psichici e viceversa.
Nella partecipazione attiva, nella possibilità di proporsi come risorsa e nel porsi, nel contempo, in atteggiamento di accoglimento dell’altro, viene coinvolta l’identità dei soggetti, mettendo in gioco le dimensioni del Self, in un quadro di reciprocità che comprende, insieme, la continua costruzione/ricostruzione dell’immagine di sé e del gruppo. Andando più in profondità, tuttavia, la partecipazione attiva è possibile fattivamente quando il gruppo ha prodotto un clima di relazioni e aspettative tale che ciascuno non avverta il rischio di esporsi, di considerare una sconfitta l’eventuale accordo con le azioni intraprese dagli altri.
Nel rapportarci agli altri, infatti, non incidono soltanto le intenzioni, i propositi o le posizioni ideologiche e valoriali, ma un ruolo di notevole importanza viene assunto dalle emozioni, dall’immagine che la persona ha di se stessa come individuo e in relazione agli altri, l’autostima o la preoccupazione di non essere all’altezza della situazione, il timore di “perdere la faccia”: ci si riferisce in tali casi alle dinamiche relative all’identità (IO) personale e sociale.
Al pedagogista clinico non sfugge che ogni individuo ha un’evoluzione propria tale da determinare una maturazione individuale e da tradursi in caratteristiche fisiche, psichiche e sensoriali proprie, esperienze affettive e meccanismi inconsci diversi, che vanno ad incidere nel rapporto con gli altri.
Tra questi ultimi, non si può sottovalutare il timore di essere giudicati, che si manifesta in particolare in presenza di soggetti che si ritengono in grado di valutare, perché sembra modificare le prestazioni della persona nel gruppo. Tale fattore di rischio è connesso sia a dimensioni di tipo oggettivo, come ad esempio la complessità del compito, sia a fattori di natura intersoggettiva e gruppale quale il clima relazionale. Queste difficoltà sono ampiamente superate dall’approccio pedagogico-clinico, in quanto le tecniche utilizzate non sono invasive, non richiedono competenze di alcun genere e, soprattutto non sono soggette a valutazioni di alcun tipo.

In conclusione, se si assume quanto  detto finora come premessa, si deduce che, perché si possa operare con attività “di” gruppo e non semplicemente “in” gruppo, come molto spesso avviene, è necessario che si creino determinate condizioni e dinamiche, la cui conoscenza non sfugge alla pedagogia clinica, sia nei presupposti metodologici che nelle modalità applicative degli stessi. Intervenendo con tali accortezze si possono evitare malintesi e illusioni, al fine di raggiungere la finalità di un reale aiuto alla persona.

 

 

 
 
 

IL VALORE DEL CORPO

Post n°5 pubblicato il 12 Giugno 2011 da pedagogista72
 

Negli ultimi anni si assiste all’affermazione di una corrente di pensiero che rivaluta il linguaggio del corpo, restituendone il ruolo e l’importanza nelle comunicazioni umane, in contrapposizione al discorso psicologico, che privilegia la comunicazione verbale, considerando i movimenti del corpo come l’”effetto di un’attivazione generale”.
Il solo linguaggio coerente sul corpo e la comunicazione sembra quello filosofico che integra i due modi di intendere la comunicazione. Così dice M. Henry:

“non c’è differenza tra il nostro sapere e la nostra azione, perché quest’ultima, nella propria essenza, è essa stessa un sapere… L’affermazione di un’inadeguatezza tra la nostra conoscenza e la nostra azione deriva dall’insufficienza del concetto di conoscenza di cui si dispone e che la riduce alla sola conoscenza teorica o rappresentazione.”

F. Chirpaz segnala, ancor più, che c’è una corrispondenza tra corporeità e presenza, un’unità che va oltre la realtà immediata e concerne anche l’esperienza dell’altro.
“l’altro è per me il suo corpo… Quest’uomo che io guardo, al quale io penso, è per me questa fisionomia, questo volto… L’essere dell’altro coincide con il suo apparire corporeo”.
E’ indubbiamente necessario superare visioni strumentali del corpo e concepire come approccio corporeo, al pari della pedagogia clinica, quello che considera la totalità della persona, in quanto unità inscindibile. Questo assunto suscita una riflessione importante: la giusta considerazione del corpo non è tanto una faccenda di metodo, ma una valutazione di quel che le attività possono apportare all’altro, in quanto essere umano. Per la pedagogia clinica, infatti, il corpo e la Persona sono un'unica entità, in una visione solistica dell’individuo.
Il pedagogista clinico si pone in ascolto del corpo, lo accoglie e se ne prende cura in tutte le sue manifestazioni, considerandolo come lo “spazio” primario delle esperienze, dei vissuti emotivo-affettivi. Esso è il canale privilegiato della relazione, il “libro” su cui leggere la storia del soggetto, traducibile in termini di disponibilità all’apertura e al dialogo, così come pure di possibili chiusure a causa di disagi, inibizioni e paure.

 

 

 
 
 

Sulla diversità

Post n°4 pubblicato il 12 Giugno 2011 da pedagogista72
 

Di-verso
(M. Comito)

Caparbio e insistente,
cercavo una collocazione.
"Sei un verso diverso!", disse una canzone.

Di verso in verso,
non c'era verso, né possibilità,
di accettare questa realtà.

"Fuori misura!", "Scarsa struttura!",
disse un attore un po’ superficiale,
sul palcoscenico, pronto a recitare.

Di verso in verso,
non c'era verso, né possibilità,
di accettare questa realtà.

"Chi potrà credere in me",
al mio cuore, chiedevo sovente,
"quando io stesso mi sento un niente?"

Di verso in verso,
non c'era verso, né possibilità,
di accettare questa realtà.

Bastò soltanto un accorgimento
a un talento che, non so perché,
una poesia fece di me.

"M'illumino
d'immenso"

 
 
 

SPETTACOLO DI FINE ANNO

Post n°3 pubblicato il 06 Giugno 2011 da pedagogista72
 
Tag: SCUOLA
Foto di pedagogista72

Shakespeare diceva: “Siamo fatti della stessa sostanza dei sogni”, riconoscendo nei sogni una caratteristica rilevante della natura umana e Martin Luter King, nel 1963, in conclusione della marcia pacifica a Washington, pronunciò un discorso bellissimo, che cominciò con: “I have a dream” (io ho un sogno), perché desiderava un mondo, dove le persone non fossero giudicate per l’aspetto, ma per le loro qualità.
Sognare è come galleggiare nelle acque dei desideri e delle speranze; è come un viaggio in sentieri che conducono alla piena realizzazione di sé, attraverso conquiste importanti. Molti altri personaggi famosi si sono interrogati sul valore dei sogni come progetti di vita e hanno scritto degli aforismi su questo argomento. Alcuni alunni hanno fatto una scelta delle frasi più significative ricercate su internet e di immagini a tema, realizzando una presentazione in PowerPoint dal titolo: “PENSANDO AI SOGNI…”.
Lo spettacolo del 31/05/2011 è iniziato su questa scia con una proiezione, che ha lanciato un invito ai presenti, perché non rinuncino mai a guardare in alto ed a lavorare per un continuo miglioramento di se stessi e della società.
Ha fatto seguito una
commedia in tre atti, che ha rappresentato momenti di quotidiana vita scolastica con caratteri, virtù e vizi di alunni e insegnanti, e una gita sospesa tra la dimensione reale e quella del sogno. Il tutto ha rappresentato un peregrinare equivoco che, fino all’ultima scena, non ha svelato il confine tra la realtà e il sogno, lasciando lo spettatore nel dubbio su quanto è avvenuto davvero.
L'opera teatrale, che è stata messa in scena, ha come titolo: “Un mare di sogni, ovvero chi dorme, a volte piglia pesci… nel Po”. E’ stata tratta dal libro “Tutti in scena” di Marina Savoia ed è stata solo il prodotto finale di un diversificato laboratorio di teatro, proposto a scuola, che ha consentito ai partecipanti di raggiungere obiettivi quali la padronanza dello spazio scenico, una giusta modulazione del tono della voce, l'uso di mimica e postura adeguate e una maggiore autostima e sicurezza nel proporsi al pubblico.
Hanno fatto parte dello spettacolo un balletto sulle note di Michael Jackson, la lettura della poesia "Il meglio" (di Douglas Malloch) e la canzone finale "L'isola che non c'è", che, accanto alla magia del teatro, hanno arricchito un'esibizione, che pertanto è risultata composita e ricca dei contributi offerti dai diversi linguaggi espressivi.

 
 
 

"UN ATELIER PER CRESCERE"

Post n°2 pubblicato il 05 Giugno 2011 da pedagogista72
 

In data 31/05/2011 si è concluso il progetto “Un atelier per crescere”, iniziato nel mese di febbraio e indirizzato ai bambini della Scuola dell’Infanzia di Novalba (Istituto Comprensivo Cardinale). 
Al termine del percorso, la partecipazione alle attività gruppali proposte ha permesso ai bambini di pervenire ad una maggiore disponibilità ad aprirsi agli altri, di acquisire consapevolezza di sé e dei propri vissuti, dando spazio all’espressione delle creatività e potenzialità individuali, al di là di schemi rigidi.
L’approccio pedagogico clinico, che è stato l’anima dell’atelier, ha guidato ogni azione verso lo sviluppo globale del bambino, in un itinerario flessibile, calibrato e variegato, necessario soprattutto in ragione delle diverse età che la sezione mista mi poneva difronte.
Le attività svolte hanno favorito l’intreccio e l’interazione tra il corpo, l’equilibrio affettivo e lo sviluppo intellettivo, attraverso un insieme di tecniche e di metodi efficienti, lontani da azioni esclusive, settoriali e in opposizione a qualsiasi forma irrispettosa di addestramento e allenamento.
Nello specifico, sono state effettuate proposte inerenti: il tono di fondo, l’equilibrio statico e dinamico, la conoscenza e l’abilità manuale, i rapporti spaziali e la percezione dello spazio, l’organizzazione temporale, il ritmo, la percezione/conoscenza/rappresentazione del corpo, i nessi logici di inclusione ed esclusione, le abilità grafo-segniche e, infine, l’espressività e il linguaggio.
Particolare cura è stata riservata ai bambini di cinque anni, in quanto prossimi ad affrontare gli impegnativi apprendimenti della scuola primaria. La disponibilità della palestra e delle attrezzature, ma ancor più i continui confronti con le insegnanti di sezione, hanno consentito di dare un’impronta maggiormente incisiva all’azione integrativa del progetto. Il clima sereno, infine, ha giovato al favorevole accoglimento della proposta da parte dei bambini e dei genitori, che con la loro tempestiva adesione e costante puntualità hanno dimostrato di apprezzare il mio lavoro.

 
 
 
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INFO


Un blog di: pedagogista72
Data di creazione: 07/09/2010
 

BENVENUTO/A NEL MIO BLOG!!!


Ciao a tutti, sono l'autrice di questo blog. Dal giugno 2010, oltre ad essere una maestra di Scuola Primaria, sono diventata un Pedagogista Clinico. Mi sono specializzata con un corso post-laurea promosso dall’ I. S. F. A. R. di Firenze e ho pensato di utilizzare un canale web per far conoscere e valorizzare le mie iniziative nell’ambito dell’aiuto alla persona, cui l’intervento pedagogico clinico è rivolto.
Il mio primo lavoro è quello dell’insegnamento, quindi proporrò soprattutto dei progetti indirizzati a soggetti in età scolare, ma ciò non toglie che è mio intento rendere nota questa professione e la validità dei suoi metodi anche in altri ambiti d’intervento e per tutte le età.
Ho usato l’espressione “pedagogia clinica & dintorni” in quanto questo contenitore multimediale accoglierà contributi di altra natura, che appartengono alle attività e interessi di chi scrive e che comunque sarà facile distinguere da quanto è strettamente attinente alla professione del pedagogista clinico.

 

Agli amici, conoscenti e visitatori che a vario titolo contribuiscono ad arricchire questo blog con la loro presenza:

 

FORMAZIONE PERSONALE

  • Laurea in Pedagogia (Università di Messina)
  • Specializzazione in Pedagogia Clinica (ISFAR di Firenze)
  • Master di II livello in Dirigenza Scolastica (UNICAL)
  • Master di II livello in "Dislessia e DSA in ambito scolastico" (UNICAL)
  • Insegnante a T.I. nella Scuola dell'Infanzia dal 2002 al 2004
  • Insegnante a T.I. nella Scuola Primaria dal 2004 in poi
  • Competenze informatiche:ECDL e LIM
  • Corsi di aggiornamento, laboratori, attività e progetti vari nelle scuole pubbliche.
 

Aiuto alle persone

LA PEDAGOGIA CLINICA

La pedagogia clinica ha come compiti lo studio, l’approfondimento e l’innovazione nel campo pedagogico, in riferimento a modalità diagnostiche e metodi educativi, volti ad aiutare non solo il singolo individuo, ma anche il gruppo con percorsi di superamento di ogni forma di disagio psicofisico e socio-relazionale. Superando ogni visione miope dell’essere, tale scienza ha fatto della Persona il suo presupposto: l’uomo è considerato nella sua interezza, nella sua complessità, in una visione che è olistica. L’ottica di un’educazione permanente, inoltre, fa considerare ogni individuo in continua evoluzione, dalla nascita alla morte, quindi passibile di rinnovamento e creativi sviluppi di sé e dei propri vissuti. Le persone coinvolte nell’aiuto pedagogico clinico, sia esso rivolto al singolo o al gruppo, sono accompagnate nel raggiungimento di nuovi equilibri e di una rinnovata disponibilità allo scambio con gli altri e con l’ambiente.

 

PROPOSTA

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di confronto “circolare”.

 

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