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Quattro stelle nel cielo

Post n°52 pubblicato il 08 Giugno 2008 da mjago

“Come in una di quelle assurde processioni del paradiso dantesco sfilano in teorie interminabili, ma senza cori e candelabri, gli uomini della mia gente. Tutti si rivolgono a me, tutti voglio deporre nelle mie mani il fardello della loro vita, la storia senza storia del loro essere stati. Parole di preghiera o d’ira sibilano con il vento tra i cespugli di timo. Una corona di ferro dondola su una croce disfatta. E forse mentre penso la loro vita, perché scrivo la loro vita,mi sento come un ridicolo dio, che li ha chiamati a raccolta nel giorno del giudizio, per liberali in eterno della loro memoria.”
(Salvatore Satta – Il giorno del giudizio)


Quest’anno - Il giorno del mio compleanno.

Quel martedì notte era più tardi del solito. Amo i piccoli rituali prima di andare a letto. Tutto deve avere un suo ordine, ogni cosa al suo posto ed un posto per ogni cosa, la mia sfida quotidiana contro la legge di Boltzmann, so che purtroppo tutto è inutile, che l’entropia alla fine non potrà che aumentare, ma nell’universo delle nostre case possiamo illuderci di essere dei piccoli “ridicoli Dio”. I quaranta Watt della lampada sul comodino non sempre sono sufficienti per leggere, ma quella sera non avevo molta voglia di farlo. Puntata la sveglia, tolti gli occhiali, chiusa la luce mi ritrovavo nel buio della notte sotto le coperte. La mia camera da letto si affaccia su una strada riservata, di notte non si sente alcun rumore. Da ragazzino i rumori della notte mi spaventavano a morte, bastava poco, lo scricchiolio di un mobile, il latrato di un cane, ad accendere la mia fantasia.
Nel silenzio della notte ripensavo a quel giorno, a quello che era successo, alle due ore passate in Comune a bisticciare contro un’ assurda burocrazia, alle pacche sulle spalle, alle telefonate, ai messaggi di auguri, ai pacchetti scartati, alla torta, a quell’unica candelina: si trenta quest’anno sarebbero state decisamente troppe da spegnere.
Trent’anni.
Diciamo che detta così più che una festa sembra una sentenza di condanna passata in giudicato. In un film di Nanni Moretti, mi sembra di ricordare che sia Aprile, il protagonista, il giorno del sul compleanno, si trova a fare un gioco particolare. Prende un doppio metro, di quelli scorrevoli, considera la durata della vita media di un uomo e la trasforma in centimetri. Poi ne sottrae una quantità pari ai suoi anni. Rimane quindi una misura, qualche decina di centimetri, quello che in teoria gli rimarrebbe da vivere. Qualche giorno fa ero in cantiere. Ho trovato per terra uno di quei metri scorrevoli e mi sono ricordato la scena di quel film. Ho pensato a quella che può essere la vita di un uomo medio. Ho considerato qualche anno in meno visto che tradizionalmente in famiglia non è che siamo particolarmente longevi. Ne ho dedotto i mie trent’anni e sono rimasto a fissare con una certa sorpresa il risultato: “Perbacco sono quasi arrivato a metà del guado…sempre che non sia caro a qualche Dio dell’Olimpo!”
Mastro Vittorio, con la sua faccia da carta geografica, passando di lì vedendomi pensieroso, si avvicinò e mi chiese:

- “Geniere” la vedo perplesso non le torna qualche conto?
- Mastro Vittorì è il tempo! Scorre troppo velocemente!
- Geniere ma lei è un ragazzino, avrà più o meno l’età di mio figlio!
- Quanti anni ha suo figlio?
- 38!

“Mortacci sua!” Trentotto anni? Si dimostro qualche anno di più è sempre stato così, ma caricarmene otto mi sembra un tantino esagerato. Mamma mi diceva sempre, coraggio, quando si dimostra qualche anno in più da ragazzi, poi quando si è più maturi si sembra più giovani.
Ma intanto il tempo passa.
E quel martedì, nel giorno del mio trentesimo anno, come in un immaginario “Giorno del giudizio”, le donne che mi hanno accompagnato in questi ultimi anni hanno deciso di tornare a farmi visita dal passato, con una sorta di ”processione da paradiso dantesco” il cui senso, probabilmente, mi sfugge, ognuna con in mano la propria storia che in fondo è la mia storia. Non ho incontrato nessuna di loro, sono infatti tutte lontane da me centinaia di km. Addirittura due si trovano all’estero.
Una sola si trova nella mia isola ed è Gaia, quella che mi è rimasta più vicina in tutti i sensi, quella con cui ho percorso più strada insieme. La “vedo” ferma, immersa in una attesa da “Deserto dei Tartari”, come in un ultimo disperato assedio, cosciente, e in questo forse sta la sua incoscienza, che però stavolta io non ho nessuna bandiera bianca da sventolare.
Francesca, Gaia, Giulia ed Alice hanno scelto quattro modi diversi per comunicare con me: un bigliettino, una telefonata, un sms, internet. Poche parole, ma il desiderio comunque di dire che nonostante tutto, quel giorno, ancora una volta "ho pensato a te".
Quando muore una stella nel cielo la sua luce continua viaggiare nel cielo per milioni di anni. Ognuno di noi ha delle stelle nel firmamento del proprio cuore. Alcune sono più grandi, altre sono più piccole, ma tutte danno, chi più o chi in meno, il proprio contributo per illuminare il buio della notte.
Quella sera guardando nel cielo del mio cuore ho visto ancora quattro luci. Le stelle da cui provengono probabilmente si sono spente, ma sono convinto che la loro luce continuerà a viaggiare nel tempo e nello spazio, ed è bello alzare gli occhi e vedere questo “cielo fiorito”, anche se si tratta, ormai, solo di ricordi…

 
 
 
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