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Il ponte tra la disperazione e la speranza, è una buona dormita. Poi scopri che la speranza è una buona prima colazione, ma una pessima...cena!
Qualcuno ci rammenta che il tempo passa, ma non ci accorgiamo che siamo noi a...passare.
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Vi accennerò un caso che ho tratto da una lettera inviata alla redazione di una rivista. Una trentasettenne che chiamerò Maria, lavora da 12 anni in un'azienda con mansioni organizzative per eventi. Impegnata pienamente e con trasferte in giro per il mondo, ha sempre lavorato al meglio: non subendo alcuna alienazione da affetti personali, famiglia e figli, la nostra amica, molto affezionata al suo vorticoso lavoro che le prende pienamente la giornata, ha guadagnato nel tempo la stima dei suoi colleghi e dei suoi dirigenti, specie il suo diretto superiore che l'ha sempre gratificata esprimendole la sua piena fiducia per il suo operato. Quattro anni fa, Maria ha conosciuto un uomo, c'è stato feeling intenso tra i due e quindi hanno deciso di vivere insieme. Felicissimi entrambi, dopo due anni dalla loro unione, hanno messo al mondo un bambino. Una gioia indescrivibile, una famiglia che cresce, dona momenti di gioia e ovviamente, in ufficio, tutti contenti per l'evento. Tuttavia, al lavoro qualche problema per la donna c'è stato. Non avendo parenti da cui ricevere aiuti, le è rimasta una sola scelta: chiedere il part-time che l'aiuterebbe a lavorare con il solito impegno e nel contempo, avere più tempo per badare al figlio e alla famiglia. A Maria non le è stato rifiutato il part-time, ma per lei è cambiato il clima, l'atmosfera magica che aleggiava in azienda ora è scomparsa, i rapporti con i colleghi sono i soliti, ma la freddezza e il distacco lei li coglie e capisce che in fondo non v'è più il feeling che aleggiava prima dell'avvento del nascituro. Anche i dirigenti, subiscono il "cambiamento", ritengono di aver perso una "collaboratrice" che non sia più in grado di mantenere lo standard precedente e in più, una terribile frase colta senza volerlo ed espressa dal suo capo mentre chiacchierava con un collega, l'ha disorientata molto: "Era brava, peccato che poi abbia avuto un figlio". Questo il sunto della lettera molto intensa e sofferta, inviata da Maria in redazione. Secondo voi, avere un figlio ha da essere un impiccio? E' motivo di rendimento scarso al lavoro? Una donna che lavora cosa dovrebbe fare? Smettere di pensare alla famiglia e alla sua condizione di donna capace di lavorare e scegliere: o il lavoro o la famiglia? Insieme i due impegni...no?
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