Creato da Dafne89msl il 10/10/2006

Capire le donne...

La situazione delle donne nel mondo

 

 

Un mostro in manette... ma per quanto?

Post n°22 pubblicato il 31 Luglio 2007 da Dafne89msl
 

Nella parte delle News di Libero, in Affari Italiani è riportata la storia del mostro che in Tailandia ha violentato più di 400 minori. Non mi metterò qui a riscrivere le stesse cose che potete benissimo trovare dove vi ho indicato... Questo è un commento che voglio fare dato che a quell'articolo non sono permesse reazioni...

(Avevo già parlato di una cosa simile quando avevo scritto su Somali Mam, ndr)

Io dico... come si fa a dare solo 14 anni di carcere a una bestia del genere? Ok, non ha ucciso nesuno, ma la violenza sessuale distrugge lo spirito! Pensate a quei poveri bambini che sono costretti a crescere tra pedofili e protettori, per ricavare qualche soldo da scopate con gente senza dignità, che non si preoccupano delle conseguenze del bambino, ma solo di infilare il loro uccello in qualche buco!!! Non bisognava dargli 14 anni, ma 14 secoli! Perchè, con tutti gli sconti che gli faranno, per buona condotta, per l'indulto, per infermità mentale e quante altre cagate riusciranno a trovare, non si farà 14 anni, ma al massimo 14 mesi. Così, una volta fuori, potrà tornare in Cambogia o in Tailandia a strupare bambini innocenti, costretti a vendersi ai pervertiti per ricavare qualche soldo e aiutare la famiglia. Faccio forse male a pensarla così?

 
 
 

La donna e la famiglia per Napoleone

Post n°21 pubblicato il 10 Luglio 2007 da Dafne89msl
 

La famiglia:

Mentre nel 1792-94 si era voluto fare della famiglia un’istituzione assolutamente libera, per Napoleone essa doveva tornare a svolgere la funzione di pilastro della società e riacquisire molti dei ruoli costrittivi e autoritari perduti, in particolare il ruolo del padre come titolare unico del potere. Prima della rivoluzione, il ruolo paterno variava molto di regione in regione, a seconda delle tradizioni e dei diritti vigenti. Dove era in vigore il diritto scritto di tipo romano, il padre aveva tutte le armi giuridiche per trasformarsi in un vero e proprio tiranno nei confronti dei figli e la sua patria potestas (vedi sotto) non si esauriva mai, a meno che il figlio non fosse ufficialmente emancipato, e che ciò comportava un diritto di usufrutto dei padri sui beni dei figli anche dopo il loro matrimonio; inoltre il potere di diseredarli era assoluto e minaccioso. Nel nord della Francia, dove prevaleva il diritto consuetudinario, la patria potestas (in buona parte condivisa con la madre) si esauriva a un’età variabile tra i 20 e i 25 anni del figlio.

Esisteva poi un altro livello di potere paterno, favorito particolarmente dalla monarchia assoluta, consistente nella possibilità di far imprigionare il figlio fino all’età di 25 anni, quando questi avesse mancato sia in maniera grave che solo leggermente i doveri filiari. La rivoluzione abolì completamente il dispotismo paterno, ma l’ascesa al potere di Napoleone li ristabilì in modo piuttosto ampio. La maggiore età fu lasciata per le donne ai 21 anni, mentre per gli uomini fu elevato ai 25 anni e per i minorenni si tornò a chiedere il consenso del padre per il matrimonio. Dopo la maggiore età, comunque, i figli dovevano ancora chiedere per i cinque anni successivi con un atto rispettoso e formale il consiglio del padre; in mancanza di consenso la richiesta andava fatta per altre due volte (distanti di un mese l’una dall’altra) e alla terza volta la libertà di matrimonio diventava effettiva. Un matrimonio contratto senza il consenso del padre poteva essere fatto dichiarare nullo da quest’ultimo. Il potere penale sul figlio restava assoluto fino ai 16 anni ed era condiviso con il magistrato fino alla maggiore età.

Il codice civile ristabilì una netta differenza tra i figli legittimi e quelli illegittimi, quand’anche essi fossero stati riconosciuti, limitando i diritti di questi ultimi sugli alimenti e rovesciando lo sforzo di parificazione compiuto in precedenza.

 

La donna:

La rivoluzione, pur senza arrivare a concedere alle donne il diritto di voto, condusse a uno sbocco positivo il movimento contro l’oppressione femminile già iniziata nel corso del XVIII secolo. Napoleone invece decise di raccogliere tutte le tendenze antifemministe precedenti.

L’innovazione giuridica compiuta nel 1792aveva anche il dichiarato intento di sottrarre la donna al dispotismo del marito; fra le cause di divorzio per colpa, l’abbandono e le ingiurie gravi, fra cui l’adulterio, valevano identicamente per i due sessi. Il codice Napoleone considerò invece l’adulterio del marito giusta causa del divorzio solo se costui aveva dato pubblico scandalo portandosi a casa l’amante. Mentre il marito adultero e pubblico concubino pagava un’ammenda, la donna adultera subiva una punizione consistente nella reclusione in una casa di correzione per un periodo che andava da 3 mesi a 2 anni. Inoltre il codice napoleonico ammetteva la figura del delitto d’onore compiuto dal marito.

Il codice civile considerava la donna come affetta da una debolezza fisica e intellettuale, sempre bisognosa di protezione e sempre sottomessa ad un tutore; il matrimonio costituiva solo il passaggio dal padre al marito. La stessa donna maggiorenne non sposata vedeva essa stessa ridotta i propri diritti civili (in alcuni casi la sua testimonianza non aveva valore legale); ma nel matrimonio la disuguaglianza dei sessi era particolarmente chiara: la rivoluzione considerò il regime della comunione dei beni come l’unico naturale, vedendo la famiglia come una repubblica dove i diritti di possedimenti si spartivano in maniera eguale fra i coniugi. Per il codice del 1804, la famiglia era paragonata ad una monarchia: il padre/marito era un re e la donna del tutto priva di diritti civili. Essa doveva seguire il marito ovunque questi avesse posto la sua residenza, se non voleva essere accusata di abbandono; manteneva una proprietà del tutto teorica sui propri beni, perché solo il marito aveva il diritto di amministrarli; la donna non poteva vendere o ipotecare i propri beni e i suoi atti erano seguiti caso per caso dal marito; nell’eventualità di disaccordo sull’educazione dei figli il parere del marito era sempre destinato a prevalere.

 

La patria potestas:

Proprio del diritto romano, come si evince dalle Istituzioni di Gaio:

G.1.55 «Item in potestate nostra sunt liberi nostri, quos iustis nuptiis procreavimus. Quod ius proprium civium Romanorum est (fere enim nulli alii sunt homines, qui talem in filios suos habent potestatem, qualem nos habemus)...»

Parimenti sono in nostra potestà i nostri figli, che abbiamo procreato in giuste nozze. Ciò è diritto proprio dei cittadini romani (di regola infatti non ci sono altri uomini, che in tal modo hanno potere sui loro figli, quanto ne abbiamo noi)...

I poteri e i privilegi derivati da tale istituzione non erano acquisibili dai cittadini stranieri, nemmeno ottenendo la cittadinanza romana, a meno che non si intervenisse con determinati provvedimenti. La patria potestas era intesa come i poteri che il pater familias esercitava sui membri della sua famiglia: non solamente i figli maschi, ma anche su tutti i discendenti di linea maschile; le donne rimanevano proprietà del pater familias finchè non si sposavano, dal momento del loro matrimonio entravano sotto il potere del pater familias del marito. Erano proprietà del pater familias anche le donne sposate attraverso un apposito rito, detto conventio in manu: questo rito passò in secondo piano già in epoca repubblicana, lasciando il posto ad una maggiore autonomia delle donne (limitata comunque rispetto a quella maschile, anche dal punto di vista giuridico). Anche gli schivi erano sotto la patria potestas del pater famialias, in una condizione molto simile a quella dei figli. La patria potestas non viene mai meno per il raggiungimento di una maggiore età e dura fintantoché il pater familias non muore, fatto dal quale nasceranno nuovi patres familiarum, che riceveranno in eredità i loro discendenti. Il rapporto si estingue inoltre quando il pater o il filius perdono la libertà o la cittadinanza, quando il padre viene arrogato, quando il figlio viene dato in adozione, quando i figli vengono esposti o quando il padre viene arrestato per crimini sessuali. Poteva estinguersi inoltre tramite un atto volontario del padre, l’emancipatio.

 
 
 

Irlanda: caso vergognoso sull'aborto

Post n°20 pubblicato il 26 Giugno 2007 da Dafne89msl
 

Il termine Aborto deriva dal participio passato latino abortus, del verbo aboriri.
Su un qualsiasi dizionario si potrà trovare una definizione, come: espulsione spontanea o provocata del prodotto del concepimento prima che il feto sia diventato vitale. // espressione dispregiativa, insulto rivolto a una persona deforme: è un aborto. // cosa mal riuscita, impresa non portata a compimento.
Qui mi occuperò dell’aborto come interruzione di una gravidanza.
Come già detto nella definizione del dizionario, l’interruzione della gravidanza può essere spontanea o volontaria. In Italia si è stabilito come aborto un’interruzione della gravidanza che si verifichi entro il 180esimo giorno del concepimento, mentre si parla di parto prematuro o nascita pretermine nel caso di un parto verificatosi prima della 37esima settimana di gestazione.

Aborto spontaneo: è l'interruzione di una gravidanza avvenuta in modo naturale, non causata da un intervento esterno. Le probabilità che una gravidanza si interrompa spontaneamente sono molto più elevate di quanto comunemente si ritenga, il periodo a maggior rischio è il primo trimestre. La sintomatologia tipica dell'aborto spontaneo prevede perdite ematiche e contrazioni uterine. Tale sintomatologia tuttavia, piuttosto diffusa, raramente indica necessariamente un aborto: i sintomi sono in realtà poco specifici. La gravidanza può anche interrompersi in maniera del tutto asintomatica: in tal caso si parla, più propriamente, di aborto ritenuto. L'embrione rimane nell'utero con la cervice perfettamente chiusa, anche se ormai non c'è più battito cardiaco. Di solito questo accade entro la dodicesima settimana ed è possibile accertare la situazione attraverso un controllo ecografico. Della stessa categoria fa parte la gravidanza anembrionica, più conosciuta col nome di "uovo chiaro": in questo caso c'è la presenza della camera gestazionale ben impiantata nell'utero, ma non è presente l'embrione né, spesso, il sacco vitellino. Le cause sono molte e varie, spesso difficilmente riconoscibili, principalmente dovute ad aberrazioni cromosomiche del prodotto del concepimento (embrione o feto), secondariamente a problemi della gestante, come utero anomalo, malattie infettive, abuso di droga/ alcool/ farmaci, età materna a rischio (sotto i 20 e sopra i 35 anni di età), malnutrizione. In passato la terapia più diffusa per l'aborto spontaneo era la dilatazione cervicale e lo svuotamento strumentale dell'utero, per prevenire infezioni che avrebbero potuto causare la sterilità o la morte della donna. L'aborto era spesso diagnosticato quando era già presente una forte emorragia o c'erano evidenti sintomi nella donna. La diagnosi in genere era "sanguinamento vaginale anomalo". Dagli anni '90 del secolo scorso, con l'avvento delle ecografie intrauterine e gli studi sull'ormone β-hCG, è possibile diagnosticare la morte del feto prima che si verifichi l'espulsione naturale. L'approccio terapeutico per l'aborto ritenuto è di due tipi: attesa dell'espulsione spontanea del prodotto del concepimento oppure sua rimuozione attraverso curettage chirurgico (raschiamento) o isterosuzione. Attualmente la terapia più accreditata è l'attesa sotto controllo medico, e in paesi come l'Olanda, il Canada, il Regno Unito, è la strategia più applicata. Infatti l'aborto spontaneo spesso si risolve naturalmente con l'espulsione del materiale fetale e questo tipo di approccio, oltre a permettere di studiare l'evoluzione della patologia in modo più completo, evita i rischi connessi con la tecnica di svuotamento che potrebbe causare traumi all'utero con possibili complicazioni per le gravidanze future. In genere comunque si rispetta la scelta della donna che può voler aspettare che la natura faccia il suo corso o ridurre i tempi affidandosi al chirurgo. Altre terapie accreditate sono di tipo farmacologico, come l'uso delle prostaglandine e gli anti-progestinici, in tecniche analoghe all'interruzione volontaria di gravidanza. Questi farmaci favoriscono l'esplusione spontanea del materiale fetale, nel caso di aborto spontaneo, già spento. Spesso il prodotto del concepimento (embrione o feto) espulso precocemente viene controllato istologicamente per una differenziazione da altro materiale. In caso di aborti multipli il controllo istologico prevederà anche una mappa cromosomica.
Questa è una breve e riduttiva panoramica sull’aborto spontaneo. Approfondirò incede quanto riguarda l’IVG, cioè l’Interruzione Volontaria di Gravidanza.
L'Interruzione volontaria di gravidanza (IVG) o aborto provocato consiste nell'interruzione dello sviluppo dell'embrione o del feto e nella sua rimozione dall'utero della gestante. La pratica dell'aborto volontario viene svolta in buona parte del mondo, a discrezione della donna nei primi mesi della gestazione, in presenza di gravi malformazioni al feto, nei casi di pericolo per la salute della madre, nel caso in cui il feto sia frutto di una violenza carnale ai danni della madre, ma anche per altri motivi indipendenti dalla condizione di salute della madre o del feto. Nei paesi in cui i diritti della persona non sono garantiti come in alcuni paesi in via di sviluppo, può essere il marito a imporre alla donna l'aborto, soprattutto in società di stampo patriarcale dove è preferibile avere figli maschi.
Secondo la legislazione:
L'ammissibilità morale dell'aborto, o interruzione volontaria di gravidanza (IVG) è soggetta in gran parte alle convinzioni etiche, agli orientamenti religiosi, all'idea che una certa cultura abbia di concetti quali l'anima, la vita, eccetera. L'IVG è una pratica autorizzata per legge in buona parte del mondo, soprattutto in quello occidentale, a discrezione della donna nei primi mesi della gestazione.
Le motivazioni ammesse sono diverse. In primo luogo i casi di salute della madre, di gravi malformazioni del feto, di violenza carnale subita. Queste motivazioni sono ammesse anche nei paesi a dominanza maschile e di stampo conservatore, come l'Iran.
In numerose nazioni si tiene tuttavia conto anche di istanze psicologiche e di sociali, garantendo alla madre la possibilità di ottenere l'IVG in sicurezza ricorrendo a strutture mediche competenti.
Le motiviazioni ammesse sono, oltre a quelle di cui sopra, il solo giudizio della donna sulla propria impossibilità di diventare madre ad esempio per giovane età, per rapporti preesistenti al difuori dei quali è stato concepito il bambino, per timore delle reazioni del proprio nucleo famigliare (o della società in genere) nei confronti di una gravidanza avvenuta fuori da quanto si percepisca come lecito. In diversi paesi, tra cui l'Italia, l'aborto è garantito anche alle minorenni, cui, in assenza dei genitori, viene affiancato un tutore del tribunale minorile. In altre nazioni ancora, l'aborto è imposto alla donna o fortemente raccomandato quando il nascituro non abbia le caratteristiche volute dalla famiglia, prima fra tutte il sesso. Questa condizione sociale privilegia i maschi rispetto alle femmine che vengono, in alcuni stati, sistematicamente abortite.
Questa situazione è oggi nota per essere endemica in ampie zone dell'India e della Cina. Sono stati inoltre riportati casi di brutale violenza e di aborto forzato, anche all'ottavo mese, per ritorsioni di vario genere, ad esempio politiche, in paesi come la Cina.
Negli stati in cui la IVG è legale, può venire rischiesta su solo giudizio della donna entro un dato periodo di tempo. Scaduto questo viene concessa solo in casi rari, a discrezione del medico e in presenza di gravi malformazioni del feto o di rischio per la salute della donna. Il termine varia anche considerevolemente a seconda della legge dello stato in cui ci si trova. In Italia, come in molti altri, il termine è la 12esima settimana di gestazione, in Inghilterra la 24esima.
Prima del 1978 in Italia l’aborto era considerato un reato dal codice penale italiano.
Nel 1975 il tema della regolamentazione dell'aborto riceveva l'attenzione dei mezzi di comunicazione, in particolare dopo l'arresto del segretario del Partito Radicale Gianfranco Spadaccia, della segretaria del CISA Adele Faccio e della militante radicale Emma Bonino, per aver praticato aborti, dopo essersi auto denunciati alle autorità di polizia. Il CISA era un organismo fondato da Adele Faccio che con molte altre donne si proponeva di combattere la piaga dell'aborto clandestino, creando i primi consultori in Italia e organizzando dei «viaggi della speranza» verso le cliniche inglesi e olandesi, dove grazie a voli charter e a convenzioni contrattate dal CISA, era possibile per le donne avere interventi medici a prezzi contenuti e con i mezzi tecnologicamente più evoluti. Nel 1975 dopo un incontro prima con Marco Pannella e poi con Gianfranco Spadaccia il CISA si federava con il Partito radicale, e in poche settimane entrava in funzione l'ambulatorio di Firenze presso la sede del partito. Il 5 febbraio una delegazione comprendente Marco Pannella e Livio Zanetti, direttore de L’Espresso, presentava alla Corte di Cassazione la richiesta di un referendum abrogativo degli articoli nn. 546, 547, 548, 549 2° Comma, 550, 551, 552, 553, 554, 555 del codice penale, riguardanti i reati d'aborto su donna consenziente, di istigazione all’aborto, di atti abortivi su donna ritenuta incinta, di sterilizzazione, di incitamento a pratiche contro la procreazione, di contagio da sifilide o da blenorragia. Cominciava in questo modo la raccolta firme. Il referendum era patrocinato dalla Lega XIII Maggio e da L’Espresso, che lo promossero unitamente al Partito Radicale e al Movimento di liberazione della donna. Tra le forze aderenti figuravano Lotta continua, Avanguardia operaia e PdUP-Manifesto. Dopo aver raccolto oltre 700.000 firme, il 15 aprile del 1976 con un Decreto del Presidente della Repubblica veniva fissato il giorno per la consultazione referendaria, ma lo stesso Presidente Leone il primo maggio fu costretto a ricorrere per la seconda volta allo scioglimento delle Camere. Erano forti i timori dei partiti per le divisioni che poteva provocare una nuova consultazione popolare dopo l’esperienza del referendum sul divorzio. Il bisogno di adeguare la normativa si è presentato al legislatore anche in seguito alla sentenza n.27 del 18 febbraio 1975 della Corte Costituzionale. Con questa sentenza la Suprema Corte, pur ritendendo che la tutela del concepito ha fondamento costituzionale, consentiva il ricorso alla IVG per motivi molto gravi. La legge italiana sulla IVG è la Legge n.194 del 22 maggio 1978 (detta anche più semplicemente "la 194") con la quale sono venuti a cadere i reati previsti dal titolo X del libro II del codice penale con l'abrogazione degli articoli dal 545 al 555, oltre alle norme di cui alle lettere b) ed f) dell'articolo 103 del T.U. delle leggi sanitarie. La 194 consente alla donna, nei casi previsti dalla legge, di poter ricorrere alla IVG in una struttura pubblica (ospedale o poliambulatorio convenzionato con la Regione di appartenenza), nei primi 90 giorni di gestazione; tra il quarto e quinto mese è possibile ricorrere alla IVG solo per motivi di natura terapeutica.
Il prologo della legge (art. 1), recita:
Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio.
L'interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge, non è mezzo per il controllo delle nascite.
Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che l'aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite.
L'art. 2 tratta dei consultori e della loro funzione in relazione alla materia della legge, indicando il dovere che hanno della donna in stato di gravidanza:
1) informarla sui diritti garantitigli dalla legge e sui servizi di cui può usufruire;
2) informarla sui diritti delle gestanti in materia laborale;
3) suggerire agli enti locali soluzioni a maternità che creino problemi;
4) contribuire a far superare le cause che possono portare all'interruzione della gravidanza.
Nei primi novanta giorni di gravidanza il ricorso alla IVG è permesso alla donna quando
circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito (art. 4).
La IVG è permessa dalla legge anche dopo i primi novanta giorni di gravidanza (art. 6):
1) quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna;
2) quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna.
Le minori e le donne interdette devono ricevere l'autorizzazione del tutore o del tribunale dei minori per poter effettuare la IVG. Ma, al fine di tutelare situazioni particolarmente delicate, la legge 194 prevede che (art.12)
...nei primi novanta giorni, quando vi siano seri motivi che impediscano o sconsiglino la consultazione delle persone esercenti la potestà o la tutela, oppure queste, interpellate, rifiutino il loro assenso o esprimano pareri tra loro difformi, il consultorio o la struttura socio-sanitaria, o il medico di fiducia, espleta i compiti e le procedure di cui all'articolo 5 e rimette entro sette giorni dalla richiesta una relazione, corredata del proprio parere, al giudice tutelare del luogo in cui esso opera. Il giudice tutelare, entro cinque giorni, sentita la donna e tenuto conto della sua volontà, delle ragioni che adduce e della relazione trasmessagli, può autorizzare la donna, con atto non soggetto a reclamo, a decidere la interruzione della gravidanza.
La legge stabilisce che le generalità della donna rimangano anonime.
La legge prevede inoltre che "il medico che esegue l'interruzione della gravidanza è tenuto a fornire alla donna le informazioni e le indicazioni sulla regolazione delle nascite" (art. 14).
Questa legge è stata confermata dagli elettori con una consultazione referendaria il 17 maggio 1981.
Leggendo su internet ho trovato la notizia di una ragazza irlandese, identificata come Miss ‘D’. Miss ‘D’ è incinta di un bambino gravemente malato, affetto da anencefalia e condannato alla morte pochi giorni dopo il parto. Miss ‘D’, 17enne, aveva pertanto chiesto il permesso di recarsi in Gran Bretagna per eseguire l’aborto, ma l’Alta Corte di Dublino ha bloccato ogni operazione. Infatti, l’Irlanda è uno di quei paesi, insieme a Polonia, Portogallo e Malta che considera l’interruzione volontaria della gravidanza come reato perseguibile dalla legge. Dal 1861, il governo irlandese nega alle donne ogni diritto di scelta, permettendo loro di abortire solo in caso di incesto, violenza sessuale o rischio per la loro vita. Miss ‘D’ ha saputo delle condizioni del feto solo un mese fa. La diagnosi, oltre ad averla sconvolta, l'ha posta brutalmente di fronte a una scelta: portare comunque a termine la gravidanza, o interromperla. Miss D ha deciso che sarebbe stato inutile e penoso far nascere il proprio bambino per vederlo morire qualche giorno dopo. Così, ha fatto domanda al Servizio sanitario nazionale (Hse), che la sta assistendo, per potersi recare in Gran Bretagna ad abortire. L'autorità sanitaria irlandese ha chiesto alla polizia di emettere un divieto di espatrio, ma l'avvocato della ragazza, Eoghan Fitzsimons, ha dichiarato che tale proibizione sarebbe stata nulla senza una sentenza da parte del tribunale. Così ha fatto appello all'Alta Corte, massimo organo giuridico irlandese. Oltre a ricorrere contro l'interdizione all'espatrio, il legale della ragazza ha denunciato l'interferenza da parte dello Stato nei confronti dei diritti, sanciti dalla Costituzione, all'autonomia personale, all'integrità del proprio corpo e alla sfera privata.

 
 
 

Mauritius: il paradiso dell'orrore

Post n°18 pubblicato il 03 Marzo 2007 da Dafne89msl

                                                                                            Intervista raccolta il 31 Dicembre 2006

 

Alla domanda che ho fatto a Sandra O’Reilly, nella quale le chiedevo di raccontarmi la storia della notte più brutta della sua vita, lei ha risposto così:

« Si, certamente. Sono stata stuprata due volte nella stessa notte. Da due gruppi di persone. La prima volta è successo mentre stavo dormendo con i miei bambini. Qualcuno si introdusse in casa mia da una finestra, il rumore e la luce della torcia mi svegliarono. Quando scesi dalle scale, vidi un uomo entrare dalla finestra della cucina, ma quando gli gridai contro, lui si avventò su di me, prendendomi per i capelli e spingendomi contro il muro. Fu molto violento. Non riuscivo a vedere la sua faccia. Poi mi legò e mi bloccò. Chiamò un altro uomo, affinché venisse ad aiutarlo. Presero un coltello e un paio di forbici, puntando uno contro la mia gola, le altre contro il mio stomaco e mi intimarono di non muovermi. Io non potevo fare nessun rumore perché avevo paura per i miei figli. Non volevo che loro si svegliassero. Uno dei violentatori prese un paio di calze infilandomele in gola. Non riuscivo a respirare appropriatamente e mi sentivo svenire. Entrambi mi violentarono e poi coprirono il mio corpo con un lenzuolo, infine mi misero nella mia macchina. Questa si ruppe a circa 20 chilometri da casa mia. Loro cominciarono a irritarsi perché la situazione gli stava sfuggendo di mano. In quel momento ero cosciente, ma faticavo a respirare. Non arrivava abbastanza aria nei miei polmoni. Svenni. Quando mi ripresi, rimasi in silenzio per un momento, cercando di riordinare i miei pensieri e capire cosa stava succedendo. Avevo paura che i violentatori erano ancora lì, ma cercai di muovere il mio corpo. Poiché non succedeva nulla e non li sentivo più, colsi l’occasione: mossi il mio corpo vigorosamente e riuscii a slegare le mie mani bloccate dietro la schiena. Poi riuscii a togliere le calze dalla mia gola. Trassi un respiro profondo. Successivamente ebbi la forza di una tigre: volevo telefonare a qualcuno che potesse andare per curare i miei bambini. Ma non vi era alcun telefono e la macchina non voleva partire. Ero veramente preoccupata per i miei bambini, specialmente per la mia piccola ragazza di cinque anni. Anche perché i violentatori mi avevano detto che le avrebbero fatto del male se non fossi rimasta in silenzio. Era tardi, intorno all’una di notte. Non passava nessuna macchina. Mi sentii fortunata quando vidi le luci di una macchina che si avvicinava alla mia. Feci un balzo e fermai la macchina. Vi erano sei uomini dentro. Chiesi loro se possedevano un cellulare poiché la mia macchina era rotta e avevo bisogno di fare urgentemente una chiamata. Ma quando notarono cosa indossavo cominciarono a farmi domande tipo cos’era successo esattamente. Cercai di spiegare con parole rotte che dei rapinatori erano entrati in casa mia e mi avevano violentata. Uno di loro suggerì che due di loro mi portassero alla polizia, mentre gli altri stavano con la macchina. Ero davvero molto grata a quegli uomini e il pensiero di poter far presto una chiama mi confortava. Il guidatore cominciò a farmi sempre più domande su cosa era successo ed io ero molto imbarazzata. Mi guardava con uno strano sorriso. Squadrò il mio corpo e io mi raggomitolai per sottrarmi al suo sguardo. Non mi sentivo sicura e cominciavo ad avere paura. Cambiarono strada. Allora iniziai a pregarli di lasciarmi andare, ma loro non volevano rispondermi. Cercai di aprire la portiera e saltare giù, ma il guidatore mi tirò verso di lui con forza avvolgendo un pezzo del vestito attorno al mio corpo. Loro mi portarono in un campo di canne da zucchero e entrambi mi violentarono avidamente, nello stesso momento. Il mio corpo divenne una preda per questi avvoltoi. Poi uno dei due violentatori disse all’altro di stare con me, mentre lui andava a chiamare gli altri. Io cercai di parlare col violentatore che era rimasto con me nel campo di canne. Stava piovendo in una gelida notte d’inverno. Io ero nuda e infreddolita. Lo pregai di lasciarmi indossare il mio vestito. Lui stava strappando il vestito e lo strappò con forza maggiore, quando lo pregai di lasciarmi andare prese il mio vestito e lo gettò nel fango. Cercai di riportarlo alla ragione chiedendogli di lasciarmi andare.  Ma non aveva un briciolo di umanità nei miei confronti. Non c’era nulla che poteva portare questa persona alla ragione; non capiva cosa stavo dicendo, cosa stavo provando. Giunse la macchina con gli altri uomini.

Ora riconosco che quanto successe dopo passò molto in fretta. Avevo ancora un briciolo di forza per recitare (riuscii infatti a convincere uno di loro che non volevo andare alla polizia e che nessuno sarebbe venuto a conoscenza di questa storia) e riuscii a raggiungere la casa di mia mamma intorno alle 3. poi andai subito alla polizia e la mia storia colpì molto la popolazione. A marzo venne organizzata una marcia nella capitale, a cui parteciparono 15000 persone. La marcia durò due ore. Molti negozi permisero ai loro impiegati di partecipare alla marcia. Fu una marcia silenziosa che temprò il nostro essere. Per me era essenziale che i miei stupratori venissero arrestati. Non potevo tollerare il fatto che queste persone danneggiassero ancora la nostra società. Fu un arduo lavoro, ma non mollai mai. Un anno dopo, due dei quattro stupratori furono arrestati. Alcuni mesi più tardi anche gli altri due. Ci furono molti cambiamenti nel Paese.

Da quel momento le vittime di stupro furono trattate meglio. E le vittime iniziarono a parlare. Io mi battei affinché furono apportati degli emendamenti nella legge e così successe. Anche se io non potei beneficiare dei nuovi emendamenti, ora sono ugualmente felice perché le altre vittime possono farlo. Furono apportati anche cambiamenti all’interno della polizia e gli ospedali sono stati forniti di strutture adatte per accogliere le vittime di stupro».

 

Ecco a voi, cari lettori, l’incredibile storia di una donna qualunque.  I fatti accaddero una notte del 2002. Ma ancora oggi lei si batte affinché le donne vengano tutelate.

 
 
 

... e la Florida si indigna

Post n°17 pubblicato il 22 Febbraio 2007 da Dafne89msl

Cosa è più grave: uno stupro o una rapina commessa quattro anni fa?

Personalemnte ritengo più grave uno stupro.

Gli agenti della polizia di Tampa (Florida), evidentemente, non la pensano così.

Ecco cos'è successo:

Una ragazza, all'epoca minorenne, che noi chiameremo Mary, partecipò a una rapina quattro anni fa. I rapinatori incassarono un bottino di 4.585 dollari, che non venne mai restituito.

Il pomeriggio del 28 gennaio Mary è stata violentata nel parcheggio del Gasparilla, un festival di pirati che si tiene alla fine del mese di gennaio nella città costiera della Florida. Dopo l'aggressione Mary è andata dalla polizia per denunciare il fatto. Gli agenti della polizia di Tampa l'hanno inizialmente portata in un centro d'emergenza per le vittime di violenza sessuale. Qui gli infermieri le hanno somministrato la prima dose della pillola del giorno dopo. La sera gli agenti, mentre accompagnavano Mary sul luogo dell'aggressione per un sopralluogo, si sono accorti che era in vigore un mandato di arresto nei confronti di Mary per la suddetta rapina. così, Mary è stata condotta in cella, dove l'hanno trattenuta per due giorni, e le è stato negato il permesso di assumere la seconda dose della pillola del giorno dopo.

 Il caso è poi diventato di dominio pubblico. Il giudice di Tampa, così come il resto della Florida, ha dichiarato di essere: "Scioccato, scandalizzato, stupefatto".

Cosa ne pensate? Era giusto arrestare Mary oppure le si doveva permettere un minimo di libertà?

 
 
 
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LIBRI CHE RACCONTANO...

  • Betty Mahmoody: "Mai senza mia figlia"

Moody afferrò Mahtab per un braccio e le tirò un calcio. Poi la strattonò e la schiaffeggiò con violenza. [..] Repentinamente l'ira di Moody trovò un altro bersaglio. Il suo pugno si abbattè contro la mia tempia e io barcollai all'indietro annaspando.

  • Zana Muhsen: "Vendute!"

Gli uomini sono detestabili in questo paese... Sono tutti responsabili della schiavitù delle donne, del mercato delle ragazze marito, e dell'isolazionismo del loro paese. [...] Marcus, un giorno sarai mio figlio, te lo giuro!

  • Zana Muhsen: "Ti salverò!"

Nella vita di mia madre ci fu una svolta a quel punto decisiva. Fino ad allora era stata la classica donna sottomessa, che permetteva a nostro padre di metterle i piedi in testa. Aveva avuto sette figli da lui, che l'aveva sempre trattata come spazzatura. A causa delle sofferenze che lui le aveva inflitto aveva avuto due esaurimenti nervosi. L'idea di perdere sia me che Nadia, com'era già successo con Laila e Ahmed, le era stato però insopportabile e l'aveva costretta a cambiare direzioe e a reagire. era anche determinata a salvare daòòp stesso destino Tina, Ashia e Mo. Così si separò da mio padre e cominciò la sua lunga crociata.

 

A COMMENT PLEASE...

Ciao a tutti!

Volevo chiedervi, gentili navigatori, di lasciare un piccolo commentino sul mio blog...

Giusto per sapere cosa ne pensate...

Grazie mille!

Dafne

 

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