VIOLENZA: BASTA!

PERCHÈ DEVONO SOFFRIRE?
Afghanistan Oh land of bravery
And beauty.
Who devoured you?
Beasts of prey.
What is your crime?
Pursuit of happiness and liberty.
Brutes garbed as men
Out to denude you of dignity.
Afghanistan envy of paradise,
Reduced to ashes by fire and fury
Fire that burnt life and liberty,
Beauty and dignity.
Your bereaved Kabul where arson and
Rape reign supreme.
Where death is cheaper than life
Where life must cry and moan
Where children die before they areborn
Where chastity is molested day andnight.
Hills, valleys and lakes glow in bloodand fire.
The enemy of humanity:
Fundamentalism.
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La donna e la famiglia per NapoleoneLa famiglia: Mentre nel 1792-94 si era voluto fare della famiglia un’istituzione assolutamente libera, per Napoleone essa doveva tornare a svolgere la funzione di pilastro della società e riacquisire molti dei ruoli costrittivi e autoritari perduti, in particolare il ruolo del padre come titolare unico del potere. Prima della rivoluzione, il ruolo paterno variava molto di regione in regione, a seconda delle tradizioni e dei diritti vigenti. Dove era in vigore il diritto scritto di tipo romano, il padre aveva tutte le armi giuridiche per trasformarsi in un vero e proprio tiranno nei confronti dei figli e la sua patria potestas (vedi sotto) non si esauriva mai, a meno che il figlio non fosse ufficialmente emancipato, e che ciò comportava un diritto di usufrutto dei padri sui beni dei figli anche dopo il loro matrimonio; inoltre il potere di diseredarli era assoluto e minaccioso. Nel nord della Francia, dove prevaleva il diritto consuetudinario, la patria potestas (in buona parte condivisa con la madre) si esauriva a un’età variabile tra i 20 e i 25 anni del figlio. Esisteva poi un altro livello di potere paterno, favorito particolarmente dalla monarchia assoluta, consistente nella possibilità di far imprigionare il figlio fino all’età di 25 anni, quando questi avesse mancato sia in maniera grave che solo leggermente i doveri filiari. La rivoluzione abolì completamente il dispotismo paterno, ma l’ascesa al potere di Napoleone li ristabilì in modo piuttosto ampio. La maggiore età fu lasciata per le donne ai 21 anni, mentre per gli uomini fu elevato ai 25 anni e per i minorenni si tornò a chiedere il consenso del padre per il matrimonio. Dopo la maggiore età, comunque, i figli dovevano ancora chiedere per i cinque anni successivi con un atto rispettoso e formale il consiglio del padre; in mancanza di consenso la richiesta andava fatta per altre due volte (distanti di un mese l’una dall’altra) e alla terza volta la libertà di matrimonio diventava effettiva. Un matrimonio contratto senza il consenso del padre poteva essere fatto dichiarare nullo da quest’ultimo. Il potere penale sul figlio restava assoluto fino ai 16 anni ed era condiviso con il magistrato fino alla maggiore età. Il codice civile ristabilì una netta differenza tra i figli legittimi e quelli illegittimi, quand’anche essi fossero stati riconosciuti, limitando i diritti di questi ultimi sugli alimenti e rovesciando lo sforzo di parificazione compiuto in precedenza.
La donna: La rivoluzione, pur senza arrivare a concedere alle donne il diritto di voto, condusse a uno sbocco positivo il movimento contro l’oppressione femminile già iniziata nel corso del XVIII secolo. Napoleone invece decise di raccogliere tutte le tendenze antifemministe precedenti. L’innovazione giuridica compiuta nel 1792aveva anche il dichiarato intento di sottrarre la donna al dispotismo del marito; fra le cause di divorzio per colpa, l’abbandono e le ingiurie gravi, fra cui l’adulterio, valevano identicamente per i due sessi. Il codice Napoleone considerò invece l’adulterio del marito giusta causa del divorzio solo se costui aveva dato pubblico scandalo portandosi a casa l’amante. Mentre il marito adultero e pubblico concubino pagava un’ammenda, la donna adultera subiva una punizione consistente nella reclusione in una casa di correzione per un periodo che andava da 3 mesi a 2 anni. Inoltre il codice napoleonico ammetteva la figura del delitto d’onore compiuto dal marito. Il codice civile considerava la donna come affetta da una debolezza fisica e intellettuale, sempre bisognosa di protezione e sempre sottomessa ad un tutore; il matrimonio costituiva solo il passaggio dal padre al marito. La stessa donna maggiorenne non sposata vedeva essa stessa ridotta i propri diritti civili (in alcuni casi la sua testimonianza non aveva valore legale); ma nel matrimonio la disuguaglianza dei sessi era particolarmente chiara: la rivoluzione considerò il regime della comunione dei beni come l’unico naturale, vedendo la famiglia come una repubblica dove i diritti di possedimenti si spartivano in maniera eguale fra i coniugi. Per il codice del 1804, la famiglia era paragonata ad una monarchia: il padre/marito era un re e la donna del tutto priva di diritti civili. Essa doveva seguire il marito ovunque questi avesse posto la sua residenza, se non voleva essere accusata di abbandono; manteneva una proprietà del tutto teorica sui propri beni, perché solo il marito aveva il diritto di amministrarli; la donna non poteva vendere o ipotecare i propri beni e i suoi atti erano seguiti caso per caso dal marito; nell’eventualità di disaccordo sull’educazione dei figli il parere del marito era sempre destinato a prevalere.
La patria potestas: Proprio del diritto romano, come si evince dalle Istituzioni di Gaio: G.1.55 «Item in potestate nostra sunt liberi nostri, quos iustis nuptiis procreavimus. Quod ius proprium civium Romanorum est (fere enim nulli alii sunt homines, qui talem in filios suos habent potestatem, qualem nos habemus)...» Parimenti sono in nostra potestà i nostri figli, che abbiamo procreato in giuste nozze. Ciò è diritto proprio dei cittadini romani (di regola infatti non ci sono altri uomini, che in tal modo hanno potere sui loro figli, quanto ne abbiamo noi)... I poteri e i privilegi derivati da tale istituzione non erano acquisibili dai cittadini stranieri, nemmeno ottenendo la cittadinanza romana, a meno che non si intervenisse con determinati provvedimenti. La patria potestas era intesa come i poteri che il pater familias esercitava sui membri della sua famiglia: non solamente i figli maschi, ma anche su tutti i discendenti di linea maschile; le donne rimanevano proprietà del pater familias finchè non si sposavano, dal momento del loro matrimonio entravano sotto il potere del pater familias del marito. Erano proprietà del pater familias anche le donne sposate attraverso un apposito rito, detto conventio in manu: questo rito passò in secondo piano già in epoca repubblicana, lasciando il posto ad una maggiore autonomia delle donne (limitata comunque rispetto a quella maschile, anche dal punto di vista giuridico). Anche gli schivi erano sotto la patria potestas del pater famialias, in una condizione molto simile a quella dei figli. La patria potestas non viene mai meno per il raggiungimento di una maggiore età e dura fintantoché il pater familias non muore, fatto dal quale nasceranno nuovi patres familiarum, che riceveranno in eredità i loro discendenti. Il rapporto si estingue inoltre quando il pater o il filius perdono la libertà o la cittadinanza, quando il padre viene arrogato, quando il figlio viene dato in adozione, quando i figli vengono esposti o quando il padre viene arrestato per crimini sessuali. Poteva estinguersi inoltre tramite un atto volontario del padre, l’emancipatio. |
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Volevo chiedervi, gentili navigatori, di lasciare un piccolo commentino sul mio blog...
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