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« LA CHIESA DI CANCELLO ED...L'INCREDIBILE STORIA DE... »

L'INCREDIBILE STORIA DELLO ZIO D'AMERICA - LUISI TOZZI MARRAS EMIGRATO NEL 1906 ALL'ETà DI 16 ANNI IN ARGENTINA - Parte prima

Post n°17 pubblicato il 24 Gennaio 2011 da nannidelogu
Foto di nannidelogu


La storia di Luigi Tozzi Marras (in spagnolo Luis) emigrato in Argentina a 16 anni di età
Primier picapedrero y constructor della Patagonia

La storia di Luigi Tozzi inizia con il padre Ferdinando maestro scalpellino e costruttore che giunge a Scano Montiferro nella prima metà del 1800, ancor prima dell'unità di Italia, a seguito di un'impresa che doveva realizzare il primo acquedotto e la fontana monumentale al centro del paese, con finanziamento del governo piemontese, forse per interessamento di Vittorio Angius che con Scano aveva particolari rapporti di amicizia.
Ferdinando Tozzi era originario di Pavia, e, oltre che ottimo lavoratore della pietra, era un bravo trombettiere della banda del Vescovo di Bosa. Arrivò in Sardegna per realizzare la rete fognaria di Bosa. In quella città conobbe Marainnica Marras, che sposò, e più tardi si stabilirono a Scano Montiferro. Ebbero quattordici figli (Brizio, Salvatore, Luigi, Erminia, Filomena, Leonilda, Giuseppina e Mariantonia, Mafalda? e altri di cui non conosco i nomi); i tre maschi impararono ben presto l'arte del padre e a loro volta la insegnarono ai propri figli.
Luigi il figlio minore partì in America già nel 1906 all'età di 16 anni, il figlio maggiore Brizio, si trasferì in Corsica negli anni ‘30, l'unico a restare in Sardegna fu il secondogenito Salvatore che si sposò con Anna Lucia Cappai che gli diede sei figli: Ferdinando, Ernesta, Cicita, Raimondo, Luigia e Antonio. Negli anni ‘50 i tre figli di Salvatore emigrarono in Francia.
La famiglia Tozzi diffuse così l'arte della lavorazione della pietra un po' ovunque, tanto che ancora oggi parlare dei "Tozzi" equivale a dire "maestri scalpellini" per antonomasia. I Tozzi non solo sapevano lavorare la pietra con maestria ma la cavavano e le tagliavano direttamente con le loro mani. Si dice che maestro Ferdinando vedesse già dentro la roccia il capitello o la testata d'angolo che doveva realizzare, e che parlasse con essa per capire il punto esatto in cui doveva dare il colpo di martello e così la roccia si apriva quasi magicamente e si lasciava docilmente modellare.
Da maestro Ferdinando ai fratelli, poi ai nipoti e quindi ai pronipoti, sono quattro le generazioni di maestri scultori della pietra e numerose sono le loro opere tra case, ponti, monumenti funebri, che hanno lasciato sparse un po' ovunque.
Perciò anche Luis Tozzi, di cui vogliamo raccontare la storia rocambolesca, era sin da giovanissimo un primier picapedrero y constructor.
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Il contesto

Sul finire del 1800 l'Italia attraversava una grave crisi economica e sociale: sono gli anni del tentativo coloniale in Africa con la sconfitta militare in Etiopia, gli scandali bancari, i "moti per il pane" e la repressione a cannonate.
La grande propaganda per la migrazione verso le Americhe assumeva enormi proporzioni.

La giovane Grazia Deledda così si esprimeva:
-O limbazu chi ammentas su romanu
durche faeddu de sa patria mea,
tristu comente cantu 'e filumena
chi in sas rosas si dormit a manzanu,
- cola su mare, e cando in sa fiorida
America nche ses a tottus nara
chi s'isula 'e Sardigna isettat galu
de esser iscoperta e connoschida...
(America e Sardigna, poesiola in lingua sarda di Grazia Deledda ventunenne. Nuoro,19/02/1893).

Dal 1876 alla Grande Guerra gli espatri sono oltre 14 milioni. Nei primi dieci anni la maggioranza parte verso l'Europa, dal 1886 prevalgono le Americhe, soprattutto quella meridionale (Argentina e Brasile) dove si dirige il 23% degli emigrati italiani: nel 1905 a Buenos Aires risiedono già 250 mila italiani; nella città di San Paolo su 260 mila abitanti circa metà (112.000) sono italiani.
«Da per tutto sono sparsi commessi che fiutano intorno la miseria e il malcontento e offrono il biglietto d'imbarco a quei disgraziati che vogliono abbandonare la patria, o li eccitano a vendere la casa, le masserizie e la terra, per procurarsi il denaro per il viaggio. Nella prima fase dell'emigrazione di massa l'agenzia di emigrazione è un'impresa privata che nasce e ha la sua sede principale solitamente nelle città costiere, sedi dei porti d'imbarco per le Americhe. Gli agenti sono avventurieri che si recano personalmente nelle zone in cui si manifestano tassi di espatrio consistenti per reclutare emigranti e indirizzarli verso le compagnie di navigazione disposte ad offrire provvigioni più alte per ogni emigrante arruolato».

Per sfuggire ai controlli e alla coscrizione militare, i migranti partono senza passaporto.
Uno degli aspetti più tragici dell'emigrazione è lo sfruttamento dei minori. Tra Ottocento e Novecento i bambini sono venduti a decine di migliaia per 100 lire l'uno a trafficanti che li rivendevano alle miniere americane.

Tra la fine del 1800 e i primi del 1900, spinti dalla miseria e dalla speranza di un futuro migliore, ma vittime dell'ignoranza e dell'analfabetismo, molti emigrati italiani furono facili prede di sfruttatori, «la cui propaganda - con le parole dello scalabriniano Pietro Maldotti che al porto di Genova opera per sventare le trame degli agenti d'emigrazione - è implacabile e irrefrenabilmente scandalosa tanto da promettere ricchezze straordinarie e fortune colossali a quanti si dirigono in America, dove le strade sono coperte d'oro e si mangia a sazietà».

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Luigi (1889-1970), uno dei figli più giovani di Ferdinando, a 16 anni, già conoscitore del mestiere di scalpellino, spinto dalla miseria e attratto dalla propaganda implacabile che prometteva ricchezze straordinarie e fortune colossali a quanti si dirigevano in America, in segreto e con il suo migliore amico Palmerio, decise di partire in cerca di fortuna.
La notizia data all'ultimo momento, fu una tragedia. All'anziana madre le si spezzò il cuore e bene presto la portò alla tomba; quello del padre diventò di pietra e non resse a lungo. Un figlio, il più giovane figlio, era come perduto! Partire per la "Merica" era come fare un salto nel buio, era come andare tanto lontano che nell'immaginario della cultura del tempo non era nemmeno pensabile. Un figlio che si avventurava così era come morto, tanto che, alcuni anni dopo, daranno il suo stesso nome a una sua nipote, figlia del fratello Salvatore.
Nonostante il dramma del distacco in due amici si imbarcarono sul piroscafo "Sirio", una delle più grandi navi della marina italiana, ma ormai vecchia di 24 anni. La nave che poteva contenere un massimo di 700 persone ne caricò 2000. Salpò da Genova il 2 di agosto 1906. Nel pomeriggio del 4 agosto, intorno alle 16, mentre si avvicinava alle coste della Spagna, la nave Sirio, stracarica di disperati, si schiantò a tutta velocità su uno scoglio a tre metri di profondità presso Capo Palos a venticinque chilometri da Cartagena. Il naufragio sorprese, dal momento che il tempo era sereno e limpido, il mare quasi calmo, il sole ancora alto e anche per il fatto che le rocce presso le isole Hormigas ove il "Sirio" investì erano segnate nelle carte di navigazione e tutti i marinai le conoscevano, se non altro per un altro naufragio avvenuto anni addietro sullo stesso punto da un altro transatlantico italiano.
I danni erano gravissimi ma l'affondamento totale avvenne solo 16 giorni dopo. Avrebbero potuto salvarsi tutti. Ma l'evacuazione fu così caotica e disperata che alla fine il bilancio, stilato dai Lloyd's, fu apocalittico: 292 morti secondo i dati ufficiali. In realtà, secondo le cronache del tempo, le vittime pare siano state ancora di più: tra le 440 e le 700. Nella stragrande maggioranza erano italiani partiti da Genova per cercare fortuna in Argentina e in Brasile. La catastrofe scosse l'Italia e ispirò una delle più celebri canzoni dedicate all'emigrazione. Che recita:
E da Genova il Sirio partivano
per l'America, varcare, varcare i confin.
Ed a bordo cantar si sentivano
tutti allegri del suo, del suo destin.
Urtò il Sirio un orribile scoglio
di tanta gente la mise, la misera fin.
Padri e madri bracciava i suoi figli
che si sparivano tra le onde, tra le onde del mar.
E tra loro lerì
un vescovo c'era lerà
dando a tutti lerì
la sua be, la sua benedizion.
E tra loro lerì
un vescovo c'era lerà
dando a tutti lerì
la sua be, la sua benedizion.
Tra le vittime, il vescovo di San Paolo del Brasile, il Priore dell'Ordine dei Benedettini di Londra, otto missionari che si recavano in Brasile ed il Console dell'Austria di Rio de Janeiro, Leopoldo Politzer. Intere famiglie furono inghiottite dal mare.
Tra i superstiti Edmondo De Amicis e il nostro Luis TOZZI di soli 16 anni.

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Nel piccolo museo di Capo Palos dedicato alla Sirio, sono tuttora conservati i volantini che pubblicizzavano anche le soste "fuori programma" per caricare i clandestini. Si vociferò che senza quelle tappe sottocosta, la nave sarebbe passata al largo della micidiale scogliera denominata Bajo de Fuera che la fece naufragare. Il capitano Giuseppe Piccone che aveva 62 anni ed era al comando del Sirio da 27 anni, fu rinviato a giudizio, ma chiuso nel suo dolore, morì a Genova due mesi dopo l'evento descritto.

Edmondo De Amicis, a seguito dell'esperienza "sofferta" a bordo del Sirio, affrontò il tema dell'emigrazione con la sua opera letteraria "Sull'oceano".
Il tragico naufragio colpì molto la fantasia popolare che ispirò una drammatica canzone, tratta dal repertorio dei cantastorie. Nel 2001 il cantautore Francesco De Gregori inserì nel suo album " Il fischio del vapore ", una ballata conosciuta soltanto nel nord Italia, da cui partirono gli sfortunati emigranti del Sirio in cerca di fortuna.
Alla domanda di un giornalista: " Concorda che ci sia una similitudine drammatica con la situazione attuale dove le bagnarole affondano"?
Il cantautore rispose: " Questo è proprio il motivo per cui noi la cantiamo, perché la nave Sirio, questa Titanic della povera gente, era una bagnarola di 23 anni, piena di disperati alla ricerca di una nuova vita" .

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Nel tragico naufragio Luigi e il suo amico Palmerio si salvarono. Palmerio si salvò aggrappato alla sua valigia di cartone mentre Luigi perse tutto quel poco che aveva. Lo shock fu tale che Palmerio decise di rientrare a casa a rischio di subire la fucilazione e perciò non diede ascolto alle minacce dei traghettatori che lo volevano trattenere. Anche Luigi per lo spavento subito avrebbe voluto seguire l'amico e tornare indietro, ma fu assoggettato e persuaso dagli agenti d'emigrazione con la minaccia della fucilazione per diserzione ed emigrazione clandestina. Quindi gli amici si separarono e Luigi fu caricato su altra nave e spedito in America. Giurò allora che se avesse attraversato l'oceano sano e salvo non lo avrebbe riattraversato mai più, e così avvenne. Lo salutò con un bacio, una sconosciuta signora anche lei salvatasi dal naufragio. Un bacio benaugurale che lo accompagnerà per tutta la vita e che Luis non scorderà mai...
Sbarcò a Buenos Aires solo e senza nulla, aveva addosso un paio di pantaloni e una maglietta oramai bisunti e questo lo metteva a disagio non poco. Fu accolto e ospitato per un po' di tempo dalle suore, (forse le scalabriniane che si diffusero proprio in quegli anni a favore dei migranti, specialmente dei clandestini e dei minori senza famiglia per evitare che finissero nelle mani della criminalità o degli sfruttatori, oppure dalle suore di Santa Francesca Cabrini del Collegio "Caballito" nel sobborgo di Flores di Buenos Aires che si occupavano degli immigrati più poveri).

Da Buenos Aires andò a lavorare al nord, a San Miguel de Tucumán, dove lavorò per la ristrutturazione della Casa de Tucumán, nota anche come Casita histórica de Tucumán o Casa de la Independencia, dove il 9 luglio 1816 il Congresso riunito dichiarò l'indipendenza dell'Argentina, dalla Spagna. Oggi è monumento nazionale.

Dopo questa prima esperienza lavorativa, Luigi, girovagò, via via nel corso di due decenni, in tutto il territorio argentino, lavorando un po' ovunque. In tutti questi anni probabilmente andava anche alla ricerca di una pace interiore, di un adattamento dopo il grande impatto con un nuovo mondo e con tutto ciò che comporta lo sradicamento dal proprio ambiente di nascita.
Attaccato com'era ai ricordi della sua terra non riusciva neppure a sopire questa inquietudine con una nuova compagna pensando sempre a colei che aveva lasciato in patria. Così, sebbene corteggiato da molte donne, rimase scapolo per circa una ventina d'anni.

Dopo aver girato in lungo e in largo tutta l'Argentina, finì in Patagonia, dove già dal 1880, la "Conquista del deserto" soggiogò o sterminò le rimanenti tribù indigene della Pampa meridionale e della Patagonia, e dove c'era ancora bisogno di maggior manodopera.
Furono anni difficili sia per la lingua, sia per il clima e l'adattamento culturale. I migranti venivano trattati dai latifondisti senza scrupoli come schiavi, lavorando ininterrottamente anche dodici ore al giorno per un misero salario. I bambini venivano sfruttati senza pietà e le donne molto spesso violentate.
Nonostante le gravi difficoltà il giovane Luigi si dedicò esclusivamente al lavoro. L'adattamento e la nostalgia della sua terra lontana lo tormentavano; avrebbe voluto crearsi una famiglia e stabilizzarsi ma il suo cuore non gli dava pace: non riusciva a realizzare che quella terra sarebbe stata la sua nuova patria per sempre. Il suo carattere divenne chiuso e timido e il suo animo gravido di ricordi indelebili che si porterà nel cuore per tutta la vita.
Arrivato in Patagonia, notò una bella ragazza che pascolava le mucche nella pampa e improvvisamente, dopo tanti anni, il suo cuore gli sussultò nel petto... Ma fra i due ci fu solo uno scambio di sorrisi. Luigi non era ancora pronto a are ulteriori avances. E tutto finì con uno scambio di timidi sguardi.
... segue

 

 
 
 
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