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Il viaggio visto da Padoncione Andrea

Post n°87 pubblicato il 12 Dicembre 2006 da nano_blog

Carissimi,

 

eccomi di ritorno da questo emozionante viaggio negli USA! È stato un viaggio lungo e variegato, pieno di emozioni e scoperte. Ho visto e conosciuto luoghi, paesaggi, città e culture che solo nei film avevo potuto vagamente scorgere. Mi piacerebbe condividere con voi, come ho fatto con i miei compagni di avventura (che ci leggono in cc) tutte le situazioni, ma sono state troppe per riassumerle in poche righe quindi ho pensato di condensarle tramite una giornata che mi è sembrata esemplificativa dell’America che ho avuto modo di incontrare.

È stata dura scegliere: San Francisco è stata la città che mi ha accolto, vi ho passato 3 giorni con la mascella spalancata; il parco dello Yosemite mi ha mostrato la natura, la valle della morte   e la monument valley i paesaggi di tanti film di quando ero ragazzo; Las Vegas   il sogno, ecc.

Credo però che una giornata mi abbia fornito più di altre una fotografia degli americani, del loro modo di vedere le cose e di leggere gli eventi, dei loro pregi e dei loro difetti: una giornata agli Universal Studios di Hollywood   . Ebbene già, penso che uno strumento per capire molto della cultura di un popolo sia vedere come si diverte e quindi cosa c’è di meglio di THE ENTRERTAINMENT CAPITAL OF L.A. (così recita lo spot che si vede anche in televisione, ovviamente L.A. sta per città degli Angeli – Los Angeles).

 

Signori, quando ci “sta da fare” spettacolo gli americani non hanno uguali e non sono secondi a nessuno! Danno il loro meglio e lo fanno alla grande. Come diceva il mio amico Luigi (provocando reazioni scaramantiche, di diverso genere): Hollywood è il bersaglio perfetto per il prossimo attacco terroristico, dopo l’attacco al simbolo economico del potere americano – le torri gemelle - e al simbolo politico – il Pentagono – manca l’attacco al simbolo culturale….

Da qui infatti gli Americani sfornano la cultura occidentale e la trasmettono in tutto il globo. Intendo la cultura di Fonsie, American Pie, Mission Impossible, Beverly Hill, ecc.

 

Partiamo dal principio: gli Studios sono un enorme parco divertimenti creato intorno, e dentro, ai famigerati set cinematografici di Hollywood; i set cinematografici sono una ricostruzione artefatta di luoghi predisposti per girare un film; Hollywood è il luogo del mito, dove i sogni posso diventare realtà; se ne ricava che gli Studios sono un luogo di divertimento creato sull’impalpabile e sull’etereo. Va notato inoltre che a differenza dei parchi che abbiamo in Europa questo non è uno spazio creato ad hoc: si utilizzano arredamenti, spazi, macchinari e coreografie già esistenti (quelle dei film) per edificarvi sopra attività ricreative. Faccio un esempio: la prima giostra che abbiamo visto, lo Studio Tour, non è niente altro che una visita guidata, fatta con un trenino tecnologico, di set cinematografici, ambientazioni, effetti speciali e attrezzature utilizzate in diversi film o sceneggiati famosi (Lo Squalo, Waterworld, Ritorno al Futuro, Desperate Housewives, ecc.). Ecco una delle invenzioni americane: il metabusiness il business sul business.

 

Ma partiamo con il resoconto.

Arrivo la mattina presto, tutti i dubbi sulla difficoltà a trovare gli Studios sono dissipati all’istante: non puoi mancarli neanche volendo. Dalla Freeway c’è l’uscita ben segnalata e ci finisci dentro. Piccola digressione: le freeway statunitensi, e in particolar modo quelle di L.A., sono condotti veicolari che arrivano fino a sette (!!!) corsie per senso di marcia più corsie di emergenza e spazi di fuga; fate un po’ voi il calcolo di quanto sono grandi. Pensate che ho avuto la fortuna (e non lo dico in senso ironico perché è stata veramente un’esperienza sconcertante) di percorrerle anche in un momento di traffico intenso, con tutte macchine ferme incolonnate. Tutte le corsie intasate, fatta eccezione per le Pool Car, corsie riservate ai veicoli che trasportano almeno due persone (pensate che ci sono agenzie che per 10 dollari, mancia inclusa, affittano persone -di solito messicani- che si fanno trovare sotto casa vostra e percorrono con voi il tratto di strada che dovete viaggiare permettendovi così di prendere queste corsie). Dicevamo arrivo la mattina presto e senza troppi problemi; giunti al parcheggio si pone la prima scelta: VIP o regular? Devo ancora fare una digressione: in America il contrario di big, vip, largest, enormus è regular. Per capirci è la misura sotto il medium al fast food, il bicchiere più piccolo di bibita. Credo sia da intendersi un po’ come mediocre o ordinario, ma suona meglio; “small” o “little” non sono contemplati (sarà una questione di virilità simbolica?). Quando al cassiere dici “regular”, lui ti guarda come se fossi un poveraccio e di solito ti chiede la carta d’identità quando paghi con la carta di credito, se avessi preso un menù maxi invece saresti andato via liscio con un bel sorriso. Ma dicevamo che alla scelta Vip o Regular noi sei ci siamo guardati e senza pensarci troppo abbiamo detto: regular. Ora non ce lo siamo mai detto chiaramente ma non credo sia pulcianeria, ma sarà il fatto che semo romani e che quando ci chiamano Vip ci sentiamo perculati: a Roma o sei Tom Cruise, e io non ne vedo di Top Gun in giro, o quando ti chiamano vip, ti stanno rifilando una sola. Quindi con il nostro ticket per parcheggio economico nel cruscotto abbiamo dovuto camminare un po’ di più per arrivare all’entrata, ma niente di trascendentale.

Siamo arrivati all’ingresso dove si fanno i biglietti, noi con il nostro sconto di 8 dollaroni a testa rimediati nonsodove dal mitico Francesco leggiamo: ingressi annuali, settimanali, per gruppi, VIP e Regular. E che ve lo dico a fa’? Indovinate cosa abbiamo scelto? In verità Luigi voleva farmi passare per un famoso giocatore di pallanuoto per poter entrare come “celebrità”, ma l’impresa non ha avuto successo. La cifra non è stata eccessivamente onerosa: 51 $ sconto compreso, che sono circa 35 euri, contro i 92 $ dei Vip; a questo ci abbiamo aggiunto 19,5 $ a coppia di “all you can eat”!!! Eccola la vera istituzione americana, il sogno dell’Omer Simpson che è in ogni sano maschio, quello che ad ogni romano fa esclamare “mo te sfonno e te faccio male!”. Anche qui siamo stati romani noi, invece di prenderne uno a persona ne abbiamo preso uno a coppia (“tanto poi troviamo il modo di fregarli”), ma sono stati anche un po’ romani loro, non è incluso il bere, è vietato sherare il mangiare e puoi prendere 1 portata ogni fila che fai (e visto che le file ai posti ristoro duravano anche 40 minuti…). Fatto salvo questa situazione piuttosto borderline, gli all you can eat americani sono di tutto rispetto; tanto per darvi un idea la maggior parte dei fast food ti permettono di riprenderti da bere quante volte vuoi (il cosiddetto cocacola a go-go), tu compri il bicchiere e ne paghi la dimensione (ovviamente per noi romani regular, anche perché è difficile capire perché dovrei pagare per un bicchiere più grande quando posso ricaricarlo quante volte voglio…) e vai alla macchinetta dispensa bibite ogni volta che ti pare, volendo puoi anche prendere ogni volta una bibita diversa o mixarti i cocktail a tuo piacimento (PS alcune macchinette riportano anche improbabili miscugli fatti di diet coke, fanta e dottorpepper); in pratica tu compri il fatto di essere sfamato o dissetato, lo stop lo darà la tua discrezione o il tuo stomaco.

 

Ma ritorniamo a noi che finalmente siamo entrati.

A questo punto avviene un fenomeno che mi è capitato di esperire anche a Gardaland, uno strano avvenimento possibile solo in ipnosi e nei parchi giochi: regredisci di età! Io ho perso almeno 20 anni. Vedi Frankenstein e gli chiedi di farsi una foto con te mentre lo abbracci, vedi i pinguini di Madagascar (per intenderci quelli “teneri e coccolosi” per chi ha visto il cartone animato) e fai una foto mentre saluti con la manina alzata, impazzisci per la Delorean, imiti l’incredibile Hulk e così via. I bambini, quelli veri, intanto stanno in un parco acquatico a prendersi a secchiate d’acqua; loro lo trovano più divertente anche perché molte di quelle attrazioni proprio non le capiscono: cosa ci sarà mai di tanto divertente nel vedere un motel diroccato con alla finestra la sagoma di una vecchina su una sedia a dondolo? O nel vedere la ricostruzione di Cabot Cove, sfigata cittadina del Maine? E questo fast food tutto pieno di foto di un canuto scapigliato, tale doc Brown? (PS per chi ha capito a chi mi riferisco e magari se lo ricorda bene, rammento che il film è uscito nel lontano ’85!!! Beccatevi questa botta di vecchiaia!). Quindi la questione è chiara: negli Studios gli under 18 sono fuori luogo, anzi danno anche un po’ di fastidio quando piangono, piagnucolano o fanno storie. Tendenzialmente i genitori più clementi li parcheggiano negli appositi spazi e li passano a riprendere diverse ore dopo quando la stanchezza, più che il senso di responsabilità o di maternità/paternità, li fanno decidere che per il bambino “è tardi e deve andare a dormire”. È come la definizione di “golfino”: indumento che il bambino indossa quando la mamma ha freddo. Su questo gli statunitensi sono molto meno ipocriti di noi: non hanno bisogno di scusarsi dicendo che vanno al parco giochi per far divertire i bambini, nello spot televisivo tutto ciò è chiaro non vedi festanti ragazzini, ma solo“maturi” adolescenti (trentenni per capirci).

Ma si diceva inizialmente della bravura degli americani nel fare show (business). Tutto è pensato al dettaglio, anche il fatto che tu non debba pensare; devi agire di impulso, non devi aver modo di riflettere, ragionare o avere perplessità. È tutto immediato, facile, pronto e digerito. Non hai tempi e spazi vuoti, tutto è riempito intorno a te. Sembra paradossale perché con l’incredibile quantità di persone che sono presenti, le file e i momenti organizzativi sono molti ma qui scatta il genio. Pensate che quel giorno c’erano file che riportavano la scritta “attesa 70 minuti! (e quando danno una cifra state sicuri che sarà quella. Non so come facciano ma spacca il minuto la precisione con la quale stimano le attese) e non tutti gli spazi utilizzati per le file erano completi, quindi sono possibili anche file più lunghe. Ora l’idea eccezionale è che durante la “line” tu hai sempre qualcosa da fare: ci sono le fontanelle, i teleschermi ovunque che trasmettono filmati del film da cui è ripresa l’attrazione, poster con attori famosi ripresi in scene tipiche (per cui tu passi il tempo a fare a gara a chi riconosce più film o a chi cita più battute o che riconosce il film di cui citi la battuta). Poi ci sono alcune trovate magnifiche: la fila scorre sempre, magari piano ma scorre –quindi hai sempre la sensazione di avvicinarti; per quando sia lunga non puoi mai vedere la fila per intero – per un gioco di angoli, siepi e cartelli la colonna umana non ti apparirà mai nel suo intero; ci sono sempre le indicazione su cartelloni elettronici di quanto sono lunghe le attese, ma non sono mai visibili dall’interno della fila – quindi quando sei in coda non sai più quanto manca, ma sai che ti stai avvicinando; gli attori, gli uomini pupazzo e gli show man sono sempre frizzanti e sorridenti, magari fanno la stessa battuta 30 volte al giorno ma non ho mai avuto la sensazione di avere di fronte una persona scocciata, anzi sembra che anche loro siano felici perchè fanno il miglior mestiere del mondo. L’acqua è vaporizzata da miriadi di fontanelle sparse ovunque e anche il caldo è battuto. Quando si stanno riempiendo gli spazi dove saranno gli spettatori (operazione che data la numerosità di persone può richiedere qualche decina di minuti) ci sono dei personaggi, sempre vestiti a tema con l’attrazione, che ti distraggono con giochi interattivi.

La fila contraddistingue anche i posti ristoro, i vari ristoranti e i fast food sparsi per tutto il parco. Tutti rigorosamente tematici: Doc Brown, Jurassic cafè, Louie’s Pizza & Pasta, ecc. Queste sono vere e proprie catene di montaggio del mangiare: fila – ordini; fila – paghi; fila – bicchiere; fila – ritiri il mangiare; fila riempi il bicchiere; fila – prendi il posto; finalmente mangi. Durata dell’operazione almeno 60’ di cui non più di 15/20 per ingurgitare. Tutto è organizzatissimo, sincronizzato e standardizzato: durante la prima fila decidi cosa mangerai e berrai, i cartelli ti dicono di chiedere il numero corrispondente al tuo menù, è molto semplice e non devi perdere tempo a spiegare “quello con le patatine e le cosce di pollo fritte” dici “3” e la cassiera batte, neanche ti guarda in faccia (al massimo guarda il tuo braccio per vedere se hai il braccialetto che segnala che hai pagato l’all you can eat), ti da un numero e avanti il prossimo, cassa - paghi, chiamano il tuo numero e ritiri da mangiare, passi davanti alle macchinette del bere e prendi ciò che vuoi. Anche qui le file sono scorrevoli e allietate dai poster, cartelloni, schermi del caso.

 

Eccolo qui il tanto decantato consumismo americano: tu sei lì e consumi in massa e in serie; ingresso, mangiare, gift, capannini con i classici giochi da fiera (tiro al bersaglio, tiro degli anelli, il martellone, ecc.), tu passi, consumi e paghi con la tua bella Visa electron in mano. La macchina fabbrica soldi funziona alla perfezione e la cosa più stupefacente è che non te ne accorgi, non ci pensi e sei felice. Se tutto funziona a dovere il tuo cervello secerne endorfine e basta. Non voglio fare il solito pippotto moralista, anzi dico proprio il contrario: se tu sei lì, con la tua carta di credito carica, il mondo ti sorride e tutto gira intorno a te; l’unica accortezza è che devi muoverti secondo gli schemi condivisi e predisposti, ma a te non te ne frega niente perché sei felice. Tutto è pensato a questo scopo, a farti divertire.

Poi grazie a Stefania che me lo ha fatto notare ho scoperto l’apoteosi del meccanismo consumista: ho scoperto il senso del ticket “Very Important Person”. Pagando l’ingresso VIP (ricordate il biglietto da 92 $) non sei tenuto a fare le file! Bello in vista da qualsiasi punto di attesa per le attrazioni c’è l’ingresso VIP, ampio e senza coda. Se paghi di più sei privilegiato e vai direttamente in testa alla fila e hai i posti centrali e riservati per ogni spettacolo. Questo consumismo prettamente americano è decisamente democratico. Democratico nel senso che è esteso a tutti senza pregiudizi o preclusioni purché abbiano i soldi. Democratico in senso geografico e religioso: durante un’attrazione un conduttore ha chiesto la nazionalità ad alcuni spettatori i quali hanno risposto l’uno dopo l’altro: Francesi, Italiani, Statunitensi, Iraniani e Israeliani; il conduttore non ha fatto una piega e ha avuto una battuta per tutti; gli iraniani convivevano seduti vicino agli israeliani e quello sconosciuto ancorman è riuscito lì dove Kofy Annan fallisce in continuazione. Democratico in senso linguistico: oltre ovviamente all’inglese, alcune attrazioni erano anche in lingua spagnola e, previo preavviso di qualche settimana, potevano essere tradotte in qualsiasi altra lingua. Democratico in senso pratico e motorio: mai vista un simile spiegamento di attrezzature per disabili! A tal proposito va però aggiunto che, così come accade anche in tutti i casinò di Las Vegas, le carrozzine elettriche sono a disposizione non solo di persone che hanno una menomazione fisica ma soprattutto per quelle che hanno una tale mole tale che sono impossibilitati a fare spostamenti poco più che brevi. Vi assicuro che questo è un problema cogente e diffuso: ho visto cose che voi umani non potete nemmeno immaginare: donne al cui confronto Ferrara sembra Don Lurio. Va però sottolineato che la presenza di bagni e parcheggi appositi è certa in qualsiasi luogo pubblico, compresi i più fetidi motel o il più sfigato fast food sperduto nel deserto e che tutti gli autobus sono dotati di strutture appropriate: è lo stesso conducente che dopo avergli fatto il biglietto predispone ed esegue il tutto mentre le autovetture che attendono la ripartenza dell’autobus non danno alcun cenno di irrequietezza (come è normale che sia in luoghi che non siano l’Italia). Certo poi questo grande senso civico si compensa con altri segnali meno edificanti tipo le inquietanti scritte appese nei bagni dei luoghi di ristorazione che ricordano a tutti i camerieri e cuochi che è necessario lavarsi le mani dopo essere stati al bagno “it’s the law” o la presenza di grandi e impressionanti ghetti monorazza dove siamo passati sono con la macchina totalmente chiusa e senza mai fermarci.

 

Ho avuto così la sensazione di esperire una parte della famigerata democrazia americana, quella che esportiamo con tanto fervore; ma questo l’ho colto solo diversi giorni dopo, sul momento non me ne è fregato nulla, ero troppo preso a cercare Alvaro Vitali tra i poster.

Cheers

Andrea

 
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