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L'ALBERGO (Capitolo II)

Post n°112 pubblicato il 05 Maggio 2010 da fittavolo
 

Quando cominciai questo mestiere, mi dissero di essere sempre rispettoso verso i clienti perché qualsiasi cosa succedesse nessuno avrebbe mai preso le mie difese, anche se loro avessero avuto torto marcio. Insomma il cliente ha sempre ragione. Allora c’era Gino, un simpatico anzianotto che m’insegnò i trucchi del mestiere facendomi mille raccomandazioni. Una in particolare la riteneva più importante delle altre, mi disse “non dare mai confidenza ai clienti, non diventare loro amico, faglielo credere, ma non lasciarti mai coinvolgere sentimentalmente. Ne andrebbe della tua integrità lavorativa, non saresti più obbiettivo e poi c’è una cosa molto importante che non devi fare mai, assolutamente mai: fidarti di loro. Potrei raccontarti mille episodi che mi sono successi in tanti anni di lavoro, alcuni mi bruciano ancora”.
Lo diceva tenendo il dito indice in alto e con una faccia seria che mi incuteva timore, come quando si alterava per un mio errore. Per tanto tempo ho seguito questo consiglio, almeno fino a ieri sera, fino alla chiacchierata fatta con la signora della 115. Ma forse non è successo nulla di compromettente, nulla che potesse attaccare la mia integrità lavorativa, in fondo ero un libero cittadino, lontano dal lavoro.
La sveglia comincia a suonare. Emette un verso che mi strappa via, prepotentemente, dal mondo dei sogni. Al mattino svegliarmi non è mai stato un problema, ho sempre avuto un sonno leggero. Dopo qualche minuto, il tempo necessario per rendermi conto di essere ancora vivo, mi catapulto in bagno. Proprio per la mia tendenza a non soffrire per il poco sonno, mi prendo ampi margini temporali, rispetto all’inizio della mia attività lavorativa. Così ho tutto il tempo di fare la doccia e la colazione con molta calma. La radio mi tiene compagnia, un tizio legge le ultime notizie alternandole a qualche brano musicale. Non ho mai capito chi fosse, e sinceramente non me ne frega niente di saperlo, è solo un sottofondo: il mio inizio di giornata, mi aiuta a prepararmi alle stressanti ore che mi attendono. Sono pronto e mancano venti muniti per timbrare il cartellino. Si fa per dire, noi in albergo il cartellino non l’abbiamo, basta scendere giù in cucina o farsi vedere nella hall che automaticamente sei in servizio. E chi s’intrattiene in camera mandano qualcuno a chiamarlo. Una volta toccò pure a me questo ingrato compito, chi mancava era Simone, era in ritardo di quaranta minuti. Era tornato a notte tardi e a dirla tutta era un po’ brillo, così il mattino non sentì la sveglia e continuò a russare. Gli fecero una bella strigliata, con minacce di licenziamento. Non ha fatto più tardi. Probabilmente ora è già in cucina che prepara le colazioni dei clienti prima ancora di fare la sua. Il balconcino è l’ultimo posto dove vado prima di scendere giù. Mi piace l’aria frizzante del mattino presto, guardare tutte le persiane chiuse e immaginare la gente a letto che ronfa, stanca per aver fatto le ore piccole. La mia stanza è su un lato dell’albergo, all’ultimo piano, anzi l’ultimissimo, dopo c’è solo il paradiso. Da quell’altezza, nonostante la posizione sghemba riesco a vedere il mare e sentire il rumore delle onde. La sdraio è ancora lì, il mio amico bagnino, fra un po’, la rimetterà insieme alle altre, pronte ad accogliere i bagnanti. Mi torna in mente la signora della 115, ma è solo un attimo, poi cancello tutto.
Come ogni mattino, Simone ha preparato i cornetti, mi accoglie con un ampio sorriso, e mi dice cosa rimane da disporre. Ormai le prime ore del giorno si assomigliano tutte, sino a quando non cominciano ad affluire i clienti, da quel momento le casistiche possono essere molteplici, in tanti anni di servizio ho imparato a capire a colpo d’occhio chi rompe e chi no, e per quale motivo. Quest’anno si è aggiunto il caso della coppia in crisi, e per poco non ho rischiato di esserne travolto. Elogio mentalmente la mia grande capacità di svincolarmi dai tentacoli appiccicosi dei problemi altrui, anche se ammetto con amarezza, che ieri notte potevo fare di meglio. Continuo a ripetermelo per scaramanzia, so perfettamente che la prova del nove ci sarà molto presto, quando incontrerò la signora. Se mostrerà indifferenza allora sarà fatta e l’avrò scampata; se invece dovesse ripescare il discorso interrotto bruscamente, altrettanto bruscamente dovrò evitarla, così da non darle alcuna speranza di poterlo continuare. Come se non bastasse Simone mi fa una domanda che accresce la mia ansia.
“Bepi ma ieri che ci facevi con la signora Versi sulla spiaggia? Sai che suo marito quando è tornato la cercava e credo che l’abbia vista in tua compagnia, anzi in tua dolce compagnia” e scoppia a ridere come un deficiente. Io lo guardo in cagnesco e vorrei sbranarlo, ma poi sospetto che mi stia solo prendendo in giro e liquido il discorso dicendogli che era in spiaggia per caso, aveva bisogno di un po’ d’aria fresca.
“O di una minchia fresca!” insiste, quando Simone ci si mette è veramente insopportabile.
“Sì…sì…vado in cella a prendere della frutta” cerco scampo, ma qualcuno mi chiama.
“Bepi Bepi devi dare il cambio a Vittorio perché Alberto non è ancora arrivato” grida il capocuoco.
“Prendo della frutta e vado subito” dico.
“Lascia stare la frutta, vai ora” dice categoricamente.
Vittorio è il portiere notturno, da quando lo conosco ha sempre lavorato di notte e s’incazza parecchio se il cambio ritarda. In questo caso il cambio è Alberto. Lui cura la reception durante il giorno e si occupa di sbrigare alcune pratiche burocratiche nelle ore serali, e spesso fa tardi, per cui al mattino da buca. Il direttore lo tollera, considerato il grande lavoro che fa per l’albergo, ma Vittorio non lo sopporta perché i suoi ritardi li paga lui.
Cerco di darmi un contegno, in reception bisogna essere perfetti, sempre in tiro e sempre con il sorriso stampato sulla faccia, qualsiasi cosa accada. Ultimamente mi capita spesso questo ruolo, e di solito si esaurisce in tarda mattinata, quando arriva Alberto. Non mi dispiace affatto, anzi a volte è molto più gradevole stare dietro il banco, che sbattersi tra la cucina e la sala, per servire i clienti. Al mattino presto è una pacchia, pochissima gente nella hall, poca che va e che viene, fino alle otto sono tranquillo. Sfoglio distrattamente il registro delle presenze, l’albergo è quasi al completo. Scorro il dito sui nomi, come per impararli a memoria; sbircio la stanza 115, occupata dai signori Versi. Luigia lei, Felice lui. Stanza fronte mare, con terrazzino, prenotata il 22 novembre dello scorso anno tramite un’agenzia di Pavia. C’è scritto tutto sul registro. Si chiama Luigia, ieri notte non ci siamo neppure presentati. Lei sicuramente il mio nome lo sa, è sempre ben in vista, scritto sul cartellino identificativo che porto appeso al petto. Accanto a ogni nome c’è il numero del documento d’identità e la data di nascita. Luigia ha quarant’anni suo marito cinque anni in più. Il leggero rumore dell’apertura dell’ascensore, mi distrae. Alzo gli occhi e salto sugli attenti.
“Buongiorno signori Versi, cosa posso fare per voi?” chiedo mostrando i denti e chiudendo il registro.
“Salve – mi saluta spavaldamente, enfatizzando la s – devo assentarmi per tre giorni, motivi di lavoro”
Lo guardo mostrando meraviglia e un po’ d’apprensione, mentre sua moglie resta zitta e guarda verso la sala da pranzo.
“La signora…” dico.
“La signora resta qui in albergo, mi raccomando che non le manchi niente, in mia assenza” dice.
“Sarà nostra cura non farle mancare nulla, ne sia certo” dico con un sorriso che convincerebbe anche il più scettico degli uomini, ma mento elegantemente. È quella fase del mio lavoro che amo e odio allo stesso tempo, perché non mi permette di essere me stesso, però mi dà la possibilità di prendere per il culo.
Certo che ci prenderemo cura della signora, cosa crede! I nostri servigi non mutano in sua assenza. Benedetto uomo ma chi crede che noi siamo? La banda bassotti…noi non rapiniamo i nostri clienti. Parole che scorrono nella testa e che vorrebbero uscire, ma restano bloccate nel vuoto creato dal detto “il cliente ha sempre ragione”, e lì muoiono.
La signora mi guarda, mostra indifferenza. Bene è fatta!
“Quando posso fare colazione?” chiede.
“Normalmente cominciamo alle otto, ma se vuole gliela faccio preparare subito” dico.
Il marito mi guarda con aria soddisfatta.
“Bene! Vedo che mi ha preso alla lettera. Bravo” dice.
Ma va a cagher! Penso.
“Non si preoccupi alle otto va benissimo” dice con gentilezza, quasi ad annullare l’arroganza del consorte.
Li vedo allontanarsi, uscire dall’albergo e salire su un taxi.
Quella donna mi fa un po’ pena, ora l’accompagna in stazione, poi ritornerà per passare tre giorni da sola! Mi chiedo come mai non l’abbia seguito. Che senso ha stare qui da sola? A certe scelte non trovo spiegazione.

 
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