Creato da fittavolo il 03/12/2007
I MIEI RACCONTI, LE MIE FANTASIE, LE MIE ESPERIENZE.

Area personale

 

Tag

 

Archivio messaggi

 
 << Maggio 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
    1 2 3 4 5
6 7 8 9 10 11 12
13 14 15 16 17 18 19
20 21 22 23 24 25 26
27 28 29 30 31    
 
 

Cerca in questo Blog

  Trova
 
Citazioni nei Blog Amici: 5
 

Ultime visite al Blog

fittavolostellamarisdgl11stellamarisOdgldglallegra.gioiamario_ameriomakavelikatempestadamore1900enrico505robi19700Seria_le_Ladychiarasanyblaisemodestylorenzoemanuegesu_risortoannunz1
 

Ultimi commenti

What weather today,What weather today in United States,...
Inviato da: What weather today
il 04/04/2022 alle 17:37
 
Un racconto molto breve,più che altro,un ricordo pieno di...
Inviato da: stellamarisodgl
il 24/09/2014 alle 14:47
 
mi dà SEMPRE i brividi questo testo
Inviato da: sonosaffitrina
il 02/06/2012 alle 09:19
 
LACRIME
Inviato da: puzzle bubble
il 07/05/2012 alle 23:36
 
e il seguito???
Inviato da: Arabafelice0
il 20/04/2012 alle 09:38
 
 

Chi può scrivere sul blog

Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti possono pubblicare commenti.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 

 

« L'ALBERGO (capitolo III)L'ALBERGO (CAPITOLO V) »

L'ALBERGO (capitolo IV)

Post n°114 pubblicato il 01 Giugno 2010 da fittavolo
 

La stazione ferroviaria alle sei è vuota. Qualche pendolare, un cane sdraiato sulla banchina, il capostazione e noi due. Il treno delle Ferrovie Del Gargano è già sul binario. Non è possibile fare i biglietti allo sportello, a quest’ora è chiuso, però in questi treni si possono ancora comprare a bordo senza sovrapprezzo. Sono dei treni locali, fermano a tutte le stazioni, anche le più piccole, quelle composte solo dal marciapiede e da una casupola abbandonata, dove un tempo ci viveva il personale delle ferrovie. Noi dobbiamo scendere proprio a una di queste fermate: stazione Vaccarella, a pochi passi da Foggia. Lì ci aspetterà mio padre con l’unico mezzo a motore che possiede, un vecchio ApeCar della Piaggio. L’ha ereditato da suo padre, molti anni fa. Il nonno è morto ormai da venti anni lasciando tutti gli averi ai suoi due figli: mio padre e lo zio Umberto. Lo zio vive a Foggia, fa l’avvocato e ha sempre detestato la vita del contadino, anche se grazie a quella ha potuto studiare. Mio padre è il maggiore dei due e sin da piccolo seguiva il nonno nei campi. È riuscito con molta fatica a prendere la licenza media, ma posso garantire che a far di conto, è meglio di un ragioniere. Ha comprato la parte di eredità dello zio Umberto, che gliela ceduta ad un prezzo di favore. Ricordo quel giorno che siglarono il passaggio di proprietà, mio padre firmò una montagna di cambiali, ma volle lo stesso festeggiare portandoci fuori a cena tutti, invitò anche suo fratello con la sua famiglia. Lo zio era stupito di tanta contentezza per aver comprato un pezzo di terra; anche lui era contento per essersene liberato, guadagnandoci qualche milione di lire. Invece, per mio padre Antonio era la vita, la realizzazione di un sogno che covava da bambino.
Il treno parte da Peschici Calenella in orario. Impiegherà circa un paio d’ore per arrivare a Foggia. Un paio d’ore per percorrere cento chilometri. Il paesaggio è molto suggestivo: da un lato possiamo vedere il mare Adriatico dall’altro il Gargano con la macchia mediterranea. Il sole appare all’orizzonte come una palla di fuoco che si prepara ad ardere il giorno. In fondo, annegate nella luce accecante del primo mattino a malapena si distinguono le Isole Tremiti. Non fa caldo, ma i finestrini sono aperti ugualmente. L’aria che entra spazza il vagone da testa a coda, rinfresca.
“Simpatico questo trenino, sembra di essere su una giostra per bambini” dice.
Non posso darle torto, in effetti, il convoglio è formato solo da due carrozze che saltellano sui binari invece di scivolarci sopra.
“È una linea molto vecchia, la sua costruzione risale ai tempi del fascismo, e solo di recente hanno cominciato a ristrutturata” dico.
“La stanno ristrutturando male!” afferma.
“Qualcuno in albergo mi ha detto che dopo aver messo a posto i binari, le stazioni, cambieranno anche i treni, li sostituiranno con convogli moderni molto confortevoli. Però il paesaggio ci ripaga del disagio, e vedrai fra un po’ come cambierà: ne sarai affascinata” dico.
“Hai ragione, devo lasciami andare, abbandonarmi a questi posti…sai che mi sembra di essere tornata indietro di vent’anni, forse anche più. Quando vivevo a Milano alcuni tram extraurbani erano così, come questo treno” dice.
“Hai vissuto a Milano, sei nata lì” chiedo.
“No, sono di Pavia, dove vivo ancor oggi. Ho vissuto a Milano ai tempi dell’università” risponde.
“Anch’io ho trascorso un paio d’anni al nord, lavorai in un hotel” dico.
“Infatti, quel va a cagher pronunciato in malo modo, non è di questi luoghi” dice.
Attenta a tutto! Chissà quando me lo ha sentito dire. Chissà da quando sta lì ad osservare le mie azioni. Oppure è stata solo una casualità: per caso ha ascoltato ed è stata attratta da quel suono familiare e non ha potuto far a meno di notare chi l’ha emesso. Preferisco pensare che sia andata così…
Il treno si ferma in una stazione che sembra abbandonata, non scende e non sale nessuno. Dopo cinque minuti, la vedo impaziente, continua a guardare l’orologio. Si alza guarda fuori del finestrino, mette un piede su una leggera sporgenza della parete e fa leva per tirarsi su. Poi si dirige verso il finestrino del lato opposto, fa la stessa cosa. Rientra e mi guarda con aria seccata, come se non riuscisse a capacitarsi di qualcosa. Si risiede, sembra essersi calmata. Passa un minuto e ricomincia.
“Non riparte più questo treno?” chiede.
Cerco di tranquillizzarla con un sorriso. Viene dalla città, un luogo dove il tempo scorre più veloce e le azioni devono accelerare di conseguenza. Lontana dal posto scelto per villeggiare e riavvicinata al suo mondo da questo mezzo su rotaie, ha indossato i panni della lavoratrice, dell’impiegata legata all’orario d’ufficio. È difficile perdere certe abitudini, anche se si è lontani chilometri dal cartellino.
“Perché ti agiti tanto, che fretta c’è?” chiedo.
La domanda la riporta alla realtà, come una doccia fredda la risveglia in un mondo che non è il suo, e d’un tratto si tranquillizza e scoppia a ridere. Ride talmente tanto che le escono le lacrime agli occhi. Prende un fazzoletto e le asciuga.
“Come fate voi, come fai tu?” chiede.
“A fare?” lo so, non è elegante rispondere con una domanda, ma voglio costringerla a precisare la sua curiosità.
“Come fate a rimanere sempre così calmi?” precisa.
“Non siamo sempre calmi, anche noi corriamo, lo faccio anch’io, ma solo quando serve” rispondo.
“Il tempo perso in questa fermata e quello buttato via per altri svariati motivi, non lo ridarà nessuno” dice.
“ Perché dici che è tempo perso?” chiedo.
“Perché non concepisco il motivo di stare fermi in una stazione, se non scende e non sale nessuno” dice e si alza per riguardare fuori.
Un sibilo, come un soffio sottile, lontano. Pochi secondi e il rumore assordante del passaggio dell’espresso 534 copre qualsiasi cosa. Lo spostamento d’aria è notevole, le muove i capelli che sembrano danzare come mossi da fili invisibili. Si risiede, ha gli occhi sbarrati, porta le mani al petto ed esclama, che paura! Le prime volte faceva lo stesso effetto anche a me, poi l’abitudine ha cancellato ogni emozione.
“Ecco il motivo: dovevamo aspettare il transito di questo treno. Adesso comincia un tratto di circa dieci chilometri a binario unico. Il treno su cui viaggiamo non ha alcun diritto di precedenza, è un piccolo locale. Comunque oggi l’espresso 534 è stato puntuale, l’ultima volta era in ritardo di quindici minuti” spiego.
Aggrotta la fronte, socchiude gli occhi e contrae il viso, mentre ripete a rallentatore quin-dici-mi-nu-ti! Un’eternità!
“Quante fermate ci sono fino a Foggia?” chiede.
“Dieci dodici fermate” rispondo.
“Dieci o dodici?” chiede.
Non rispondo le sorrido, faccio finta di non aver capito. Non insiste.
“Che importanza ha saperlo con esattezza, corri forse il rischio di far tardi ad un appuntamento?” chiedo.
Mi guarda sorpresa con il sopraciglio dell’occhio sinistro alzato, ha mangiato la foglia! Stavolta è lei a non rispondermi. Giungiamo a Rodi Garganico, il treno lentamente rallenta sino a fermarsi. Questa volta resta seduta, non vuole darmi soddisfazione, ma non sa che è questo il comportamento che preferisco. La calma assoluta, in un viaggio predefinito, immobile. Cosa può mai capitare? Un vocio sostenuto, ci spinge a curiosare fuori dal finestrino. Ci aggrappiamo per sporgerci e ci incastriamo entrambi nella piccola apertura. In testa al treno un gruppo di persone è indecisa se salire. Discutono con il capotreno e il capostazione. Qualcuno grida in continuazione “un momento soltanto un momento che sarà mai qualche minuto di ritardo” e intanto rimane fermo con un piede sul gradino e con una mano impedisce al portellone di chiudersi. Altre sei persone, tra cui due donne, contrastano il capotreno, che grida e minaccia di chiamare i carabinieri.
“Ma cosa vogliono, perché ostacolano la partenza del treno?” chiede.
Il motivo esatto lo ignoro, ma ho un sospetto che se si rivelerà esatto, la farà scoppiare dalla rabbia.
“Non so! Forse aspettano qualcuno che deve ancora arrivare” dico.
“Roba da matti! Da codice penale!” dice.
Intanto qualche viaggiatore, stufato dalla prolungata attesa, comincia a gridare. Le proteste non sono ben accolte, e uno degli uomini si dirige verso chi grida. Nasce uno scambio verbale con parole che preferisco non riportare. La situazione è molto incandescente. Il capotreno interviene per pacare gli animi. Si insinua tra i due e, con molta fatica, cerca di allontanarli. Si ode la lontano un claxon impazzito, in sottofondo una sirena si avvicina velocemente. Entra in stazione un ApeCar attraversa la banchina e si ferma sul binario, davanti al treno. L’uomo che blocca l’ingresso del treno, grida “sono arrivati ora potete partire” e lascia libero il portellone. Dall’ApeCar scendono un uomo e una donna, di giovane età e ben vestiti, sembra che siano fuggiti da una cerimonia. Prendono dei bagagli dal cassone e velocemente si portano verso il treno e salgono. C’è un via vai frenetico. Uno degli uomini entra nell’ApeCar e libera il binario, si ferma sulla banchina e aspetta. Le altre persone che bloccavano il treno lasciano il campo e salgono sul mezzo a tre ruote, le due donne in cabina, gli altri dietro nel cassone. L’ApeCar parte a tutta birra, schizzando fuori dalla stazione. Il capotreno chiude il portellone e il capostazione fischia il via libera. Il treno riparte con noi ancora incastrati nel finestrino. Lentamente guardiamo la stazione di Rodi Garganico passare e allontanarsi, mentre la sirena giunge e cessa di stridere. Dall’auto scendono due uomini in divisa e parlano con il capostazione, è tutto quello che riusciamo a vedere prima che il treno curva verso Ischitella.

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 
La URL per il Trackback di questo messaggio è:
https://blog.libero.it/narrare/trackback.php?msg=8891368

I blog che hanno inviato un Trackback a questo messaggio:
 
Nessun Trackback
 
Commenti al Post:
hengelucedivita
hengelucedivita il 22/06/10 alle 12:06 via WEB
Buongiorno!!!!un bacetto tvtb!baciotto!
(Rispondi)
Gli Ospiti sono gli utenti non iscritti alla Community di Libero.
 
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963