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L'ALBERGO (CAPITOLO V)

Post n°115 pubblicato il 25 Agosto 2010 da fittavolo
 

Siamo partiti mezz’ora fa e abbiamo quindici minuti di ritardo. Da poco abbiamo lasciato Ischitella e ora siamo diretti a Carpino, il paese dell’olio d’oliva. Il treno risale il promontorio del Gargano, lasciandosi il mare alle spalle. In lontananza, verso destra, comincia a vedersi il lago di Varano. La gigantesca insenatura separata da un sottile cordolo di terra dall’Adriatico, luccica sotto i raggi del sole. Le sue acque sono calme.
“Che bel panorama! Non pensavo fosse così bello di mattino presto. L’avevo visto qualche giorno fa, quando sono scesa per le vacanze, ma avevo fatto un’altra strada. Era molto più vicino ed era più in basso” dice.
“Eravate sulla statale 693. Scorre lungo la costa seguendo il perimetro del tallone. Eravate Luigia, non eri sola…ricordi?” dico.
La mia precisazione non l’è piaciuta, mi guarda come se abbia detto qualcosa di fastidioso.
“Lo so…non pensare che l’abbia dimenticato…pero per questi due giorni ho deciso che non ho un uomo. Sono sola, single per quarantotto ore” dice.
Questa notizia mi fa sorridere, e non glielo nascondo, anzi scoppio quasi a ridere, a tal punto da essere contagioso. Comincia a ridere anche lei e io non insisto su questo argomento, avrò altre occasioni per meglio comprenderla. Invece sostengo il buon umore che all’improvviso è scoppiato, facendole dimenticare tutti i contrattempi che sono successi dalla partenza. Man mano che ci allontaniamo dall’albergo mi appare sotto un’altra luce. Tutto comincia ad avere il sapore di casa, e stranamente, anche lei ne fa parte. Gli odori portati dal vento cominciano a mescolarsi a quelli respirati fino a pochi attimi fa, che sapevano di mare. La sabbia e la salsedine saturano le narici e sottomettono gli altri aromi. Ora la campagna inizia ed essere vicina, inizia a dominare nelle fragranze, anche se siamo ancora molto lontani dal tavoliere. Trascorriamo momenti in silenzio ad osservare il panorama, ognuno perso nei propri pensieri, è bello pure così. Incrociamo gli sguardi mentre giriamo la testa da una parte all’altra, per osservare ora ciò che resta del mare, ora ciò che l’entroterra ci propone. Sono terre selvagge, adatte solo alla pastorizia.
Nella carrozza c’è un brusio di fondo che non da fastidio, anzi si concilia benissimo con i nostri silenzi e aiuta a tenere lontano l’imbarazzo. Quello che ho sempre pensato delle chiacchiere forzate è valido anche ora: a volte con c’è compagnia più bella dell’intreccio dei pensieri che si sfiorano senza parlare. È così con lei. Questa donna che mi ha convinto a fare una cosa che mai avrei pensato di fare, riesce ad incastrarsi perfettamente con il mio silenzio.
In testa della carrozza scorgo due sagome. Due persone si sono alzate e poi si è sentito un forte rumore. Un tonfo come qualcosa che è caduta al suolo.
“Santa miseria, non potete stare più attenti, per poco non mi cadeva in testa” grida qualcuno.
“Scusi, scusi tanto, ma mi è scivolata di mano, Per fortuna non ha colpito nessuno” dice il giovanotto in piedi.
“Per fortuna, non certo grazie a voi!” esclama ancora qualcuno.
Il giovanotto prende la valigia e un altro bagaglio e insieme a una ragazza si avviano verso la coda della carrozza, vengono verso di noi.
“Sono liberi questi posti” dice indicandoli.
“Certo” rispondo.
Sistema la valigia sul portapacchi, con una tale imperizia che mi spingo contro lo schienale per paura che gli sfugga di mano. Comprendo le osservazioni fatte dagli altri viaggiatori, poco fa.
“In testa comincia a fare un caldo insopportabile, qui invece c’è un bel circolo d’aria, si sta meglio! Aveva ragione Don Peppino, lui ha viaggiato tanto” dice il giovanotto.
“Don Peppino è il nostro padrino e il nostro testimone di nozze” dice la ragazza.
Ma questi due sono i parenti dei tizi che hanno bloccato il treno a Rodi. Ora li riconosco, e li riconosce pure Luigia.
“Chi erano i tizi che hanno bloccato il treno a Rodi?” chiede senza tanti complimenti.
I due ragazzi si guardano con aria meravigliata, come se il non saperlo fosse una cosa strana.
“Quei tizi, come li chiami tu, sono nostri parenti” risponde secco il ragazzo.
“Mentre per strada ci hanno scortato gli uomini di Don Peppino, bloccando tutti gli incroci per avere la strada libera” dice la ragazza sgranando gli occhi.
Luigia mi guarda. Intuisco cosa vorrebbe dire. Le faccio un cenno col capo chiudendo gli occhi e serrando le labbra, come per dire lascia perdere.
“Perché tutta questa mobilitazione per farvi prendere questo treno?” chiede curiosa e io capisco che l’intesa che ho con questa donna, è molto alta.
“Perché dobbiamo partire per il viaggio di nozze, ieri ci siamo sposati” risponde la ragazza.
In due hanno quarant’anni, sono giovanissimi, devono volersi molto bene oppure hanno un motivo molto importante per fare un passo del genere a questa età.
“Quanti anni avete?” chiede Luigia con un’espressione meravigliata.
“Io ventuno, lei venti, perché anche tu ritieni che sia troppo presto per il matrimonio?” dice il giovanotto.
Luigia resta un attimo a guardarli, la risposta se pur ovvia l’ha lasciata a bocca aperta. Non è abituata a cose del genere nel luogo dove vive, a meno di un grave motivo.
“Perché vi siete sposati così giovani, non sarebbe stato meglio aspettare di conoscervi meglio?” chiede. Mi piace questa donna, diretta senza tanti giri di parole.
“Già ci conosciamo, non abbiamo bisogno di altro tempo. Noi ci amiamo” dice il giovanotto e prende la mano della ragazza stringendola forte. La ragazza ricambia con un sorriso.
“Potevate aspettare comunque, nessuno ve l’avrebbe impedito, e intanto vivere ancora un po’ spensierati con i vostri genitori” dice Luigia.
I due si guardano, un velo di tristezza li copre. D’un tratto è gelo.
“I suoi non volevano – dice il giovanotto tirando a sé la ragazza per abbracciarla – è la solita storia, siamo stati costretti ad anticipare le cose”
“Allora non è amore” dice Luigia senza aggiungere altro.
Un’affermazione tanto forte necessita di una spiegazione urgente, prima che lo stupore dei due giovani si trasformi in ira. Ma Luigia toglie lo sguardo dai due e riprende a guardare fuori dal finestrino. Non vuole aggiungere altro o forse sta solo aspettando che qualcuno reagisca, che chieda ragioni. Invece i due giovani hanno sopportato bene il colpo e tenendosi stretti per mano, cercano di distrarsi guardandosi in giro.
“Perché?” chiedo d’un tratto e riattizzo l’attenzione.
Non se lo aspettava, da me no.
“L’amore ha bisogno di tempo per crescere, per essere confermato ed avere una consistenza, una dimensione. Loro si sono innamorati e si piacciono, ora stanno bene insieme: ma non è amore” dice con una tale convinzione che quasi sembra rabbia.
“La loro promessa d’amore non ha consistenza? Il loro futuro è basato su questa promessa” dico.
“Una promessa, appunto, non una certezza” dice.
“Certezza? Ma di quale certezza parli? In quanti matrimoni hai visto la certezza di un amore eterno, di un rapporto basato certamente su questo sentimento? Non capisco! Sul serio Luigia, mi sfugge il senso delle tue parole. La maggior parte delle scelte importanti sono appoggiate sulle incertezze del successo. La promessa è un modo per impegnarsi al fine del successo” dico.
“Sono giovani, è questo il fatto…troppo giovani e soprattutto non si conoscono. Pecco di presunzione, lo so, ma qualcuno mi dimostri che il poco tempo concessosi sia bastato per imparare a stare insieme” dice.
“Impareranno e cresceranno insieme” dico.
“Lo spero, ma non sarà facile. Io non…lasciamo stare…sono stata poco sensibile. Auguri ragazzi” dice e si alza e si affaccia al finestrino.
I due ragazzi si abbracciano e si baciano, incuranti della nostra presenza, lontani anni luce dalle parole di Luigia.

 
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nnsmettodsognare
nnsmettodsognare il 25/08/10 alle 17:52 via WEB
Il treno è perennemente in ritardo, soprattutto quando in Puglia non vedi l'ora di tornarci. E nel treno c'è sempre da imparare o soltanto da riflettere. Come in questo viaggio che racconti. Per quanto riguarda l'amore, prenderei un po' della tua tesi e un po' di quella della tua amica. L'amore non nasce, va costruito ma da qualche parte bisogna pur cominciare. Attendere troppo non serve. Ciao. Carla
(Rispondi)
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