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Post n°94 pubblicato il 27 Agosto 2009 da fittavolo

La vide da lontano, quando ancora le sue forme erano indefinite. Sapeva che era l’ora giusta e non si sbagliò. La fermata dell’autobus era deserta, era mattino presto. Pensò ad una circostanza curiosa: era lo stesso periodo dello scorso anno. Un incontro annuale, una volta l’anno, come la fioritura delle piante in primavera. Ed era un bel incontro, atteso e sperato. Lentamente si avvicinava, il suo passo era deciso. Aveva una borsa nella mano destra che con un leggero dondolio seguiva la sua camminata. Le scarpe bianche col tacco si accostavano delicatamente alla gonna di jeans dello stesso colore. La canotta le lasciava scoperte le spalle e metteva in risalto il seno che si mostrava timido lasciando intravedere appena l’attaccatura. Aveva lo sguardo fisso verso la fermata, come se cercasse qualcuno. Lui invece guardava davanti a sé le poche macchine passare. Avrebbe voluto incollarle gli occhi addosso, ma non voleva scoprirsi troppo, si limitò a qualche sguardo fugace, all’apparenza distratto. Arrivata alla fermata le si mise a fianco e lo guardò.
“Ciao”
“Ciao, come stai?”
“Bene, è passato un anno”
“Sì, è passato un anno”
Era passato un anno dal loro ultimo incontro, dall’ultima volta che le aveva parlato, dall’ultima volta che la aveva guardato negli occhi. Erano tante le cose da chiederle, ma in quel momento l’unica cosa che riusciva a fare era guardarla. Aveva i capelli più corti e i raggi del sole ne falsavano il colore. Immaginava le sue dita perdersi tra quei fili luminosi, in infinite carezze. Era emozionato e non cercò di nasconderlo, voleva che capisse, quanto era felice di rivederla.
“Quando sei tornata?”
“Ieri, mi fermo due giorni”
Solo due giorni, come l’anno scorso. Il suo volto si scurì e inghiottì la gioia dell’incontro. Rimase in silenzio, quelle parole l’avevano svuotato. Continuava a ripeterle dentro di sé, per annullarne l’effetto. Ma così non fu, ad ogni passaggio ne sentiva sempre di più il peso. Un peso enorme che faceva fatica a sopportare.
“Hai fatto quello che ti ho consigliato lo scorso anno?”
Lui smise di guardarla, abbassò la testa e strinse gli occhi. Lei capì che nulla era cambiato: le sue parole di un anno fa erano rimaste lì dove le aveva pronunciate, stese al suolo, inascoltate. Era ancora innamorato.
“Non sono riuscito”
“Non hai neppure provato a farlo”
“Non ho provato”
Adesso sapeva e in cuor suo sperava. Le prese la mano, gliela strinse, lì c’era tutta la sua vita. Accarezzò il suo viso e lei si abbandonò nella sua mano. La melodia del giorno appena nato mostrava tutto il suo splendore. Il suono penetrava ovunque, solleticava gli animi, inteneriva i cuori, sollecitava le molecole dei corpi. E i corpi rispondevano, nel modo in cui la natura aveva loro insegnato. Presero a girare l’uno rispetto all’altro, in un vortice sempre più intenso, profondo. Dove le leggi fisiche perdono di significato e i sentimenti si fondono, dissipando ogni dubbio e abbracciano la certezza di essere nel giusto. E’ giusto che accada. Un bacio, un leggero sfioro di labbra, un’emozione talmente intensa da lasciare senza fiato. E un unico desiderio: volerne ancora.
Uno stridio di freni. Uno sbuffo d’aria. La porta a soffietto si aprì e sbatté sulla fiancata. Il borbottio del motore dell’autobus metteva fretta.
“Mi ami?”
“Magari”
Aveva il palmo della mano schiacciato contro la porta chiusa, come se avesse voluto stamparlo nel vetro il suo saluto, mentre l’autobus copriva con una nuvola di fumo nero l’altra mano rimasta a terra e spalancata nel vuoto.

 
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