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LO ZEN E L'ARTE DI ZAPPARE IL GIARDINO

Ho passato gli ultimi due week end a riseminare il prato.
Detta così sembra quasi che mi sia fatto due-tre seghe in giardino, con Zora in una mano e una Tassoni gelata nell'altra, in realtà ho sfacchinato come un rapinatore recidivo di Louisville condannato ai lavori forzati.

Io non so come mai, ma va sempre a finire in questo modo.
Il bello è che a me del giardino non me ne frega un beneamato: l'unica emozione che mi suscita è farmi incazzare quando penso che alla fine sono sempre io a dovermene occupare.

Inizia sempre così.
Mia moglie aspetta con la pazienza di una tartaruga alligatore che io vada in cucina a prendere un Kinder Cereali, poi quando finalmente l'esca fa il suo effetto, lei guarda triste fuori dalla finestra della cucina e, come parlando con lo spirito di un suo avo scozzese, sussurra "MMMHHH... sarebbe ora di potare quel povero ulivo".

Io evito accuratamente di guardare l'albero, anche solo voltarmi verso il giardino potrebbe essermi fatale come fissare un cobra con gli occhiali, e lo so benissimo.
Prendo il mio Kinder, non proferisco verbo, e torno in soggiorno a vedere per la cinquecentesima volta Dove osano le aquile.

Poco dopo, a cena, mia moglie si rivolgerà ai bambini, con lo stesso sguardo che si vede nelle foto in bianco e nero delle recluse ungheresi nei lager, e dirà "Avete visto, ragazzi, che il VOSTRO povero ulivo sta soffocando nei suoi stessi rami?".
Ovviamente ai due cacciatori di taglie non gliene frega un cazzo dell'ulivo, e continuano a lanciarsi nei capelli delle bolas di polpette al sugo e spaghetti.

Un paio d'ore più tardi, a letto, le scaramucce di frontiera cominceranno a trasformarsi in qualcosa che assomiglia di più ad una battaglia: "Certo che sabato, SE NON DEVI ANDARE PROPRIO SEMPRE IN BICICLETTA, potresti almeno AIUTARMI a potare l'ulivo".
In quel momento, io sto leggendo il passaggio di L'ombra dello scorpione in cui Mother Abgail, morente, svela quello che Dio le ha rivelato nel deserto. 
Sono più lontano da quella merda di albero di quanto non lo sia il sistema di lune di De-Go-Bar e, senza aver sentito la "domanda", grugnisco due volte in tono affermativo al solo scopo di riuscire a finire in pace il cruciale capitolo.

Ed è fatta.

Ancora un paio di settimane di lavoro al corpo alla Frazier e, arrivato il sabato, sarò su una scala traballante, con le cesoie in mano e la morte nel cuore, a potare quel cazzo di ulivo, sognando di vuotargli contro un lanciafiamme.
Nel mentre, mia moglie sorveglia ogni mia mossa come un sergente addestratore dei Royal Marines, sorseggiando una cioccolata in tazza.

E così è andata anche stavolta.

In teoria avrei dovuto AIUTARLA a riseminare il prato, ma costrettovi dalla sinistra minaccia di chiamare un giardiniere (spesa minima 1000 euro), alla fine ho fatto tutto da solo.

Porca troia, ci casco sempre.