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Joaquìn Maria Otuvas

Che cos'è la vita? "Che ne so...confusione...cose ...cose" E allora, qual è la qualità più importante per un uomo? "Lo stupore"

 
 

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Dolore: una malattia da eliminare?

Post n°13 pubblicato il 28 Gennaio 2008 da otuvas

Recentemente i giornali si sono occupati di un fenomeno che sembra in espansione: la persecuzione degli ex da parte di amanti, fidanzati/e, mogli, mariti, che non accettano il congedo. Tale persecuzione si può esprimere nei modi “gentili”, comunque sempre molesti, di telefonate assidue, invio di fiori e regali, insistenti richieste di riallacciare il rapporto, o assumere il carattere di un vero e proprio braccaggio, con appostamenti, pedinamenti, scenate, minacce.

Tali comportamenti, un tempo più frequenti nelle donne abbandonate, sembrano oggi diventati propri degli uomini.

Effetto della femminilizzazione del maschio in atto?  Il fenomeno fa comunque riflettere sull’incapacità della nostra società di accettare il rifiuto, di sopportare la frustrazione. Siamo stati abituati a volere tutto e subito, e non siamo più in grado di gestire il desiderio, quel desiderio che esalta l’eros, che alimenta la passione.

Non c’è più spazio per il corteggiamento e per la seduzione, per il vagheggiamento e le fantasie, tutto viene consumato in fretta. Il modello consumistico ha invaso anche l’intimità del rapporto amoroso: se il partner è un oggetto da conquistare e consumare, un oggetto del mio possesso, da una parte lo svilisco a cosa, lo privo di ogni aura, ma dall’altra non posso e non voglio permettere di esserne derubato.

Oggi la soglia di frustrazione si è drasticamente abbassata: si inghiottono pillole o si va dallo psicologo perché si è “tristi”, in situazioni in cui è giusto, è doveroso essere tristi, perché si vede nel pianto un segno di disagio da eliminare, quando è naturale, è sano, è catartico piangere.

La morte di un figlio può essere un evento devastante, ma la scomparsa di genitori in età avanzata , la fine di un amore sono nell’ordine naturale delle cose: sono una perdita per cui giustamente piangere, un lutto da elaborare, non un dolore da anestetizzare prontamente ricorrendo al terapeuta.

Il dolore viene ormai vissuto come qualcosa che spaventa, come una malattia da eliminare.

 

 
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