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Un blog creato da otuvas il 29/11/2007

Joaquìn Maria Otuvas

Che cos'è la vita? "Che ne so...confusione...cose ...cose" E allora, qual è la qualità più importante per un uomo? "Lo stupore"

 
 

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Dell’uso del cilicio

Post n°15 pubblicato il 30 Gennaio 2008 da otuvas

Nella mia esperienza mi è capitato di incontrare molte donne che sembrano fare apposta per organizzare la propria vita al fine di sperimentare situazioni di sofferenza.

Sono generalmente donne belle, intelligenti, colte, talvolta ricche, spesso realizzate professionalmente. Eppure si lasciano avvilire in rapporti affettivi ansiogeni, dolorosi, umilianti, con uomini narcisisti, volgari, egoisti, in una parola amanti indegni.

Sono bensì capaci di acute analisi della loro perversione e assolutamente disincantate nei confronti del partner, ma non sanno e non vogliono veramente liberarsi da ciò che le tortura: spinte di voluptas dolendi, consumano fino in fondo la loro degradazione.

Per questo tipo di pazienti un mio amico psicoterapeuta, docente all’Università di Upsala, suggerisce la “cilicio terapia”.

Il loro bisogno di soffrire viene soddisfatto da un programma che prevede di indossare il cilicio per un tempo e secondo una frequenza determinati, valutabili da caso a caso. Dietro naturalmente compenso adeguato.

Si inizia con una fase intensiva di più sedute settimanali, meglio se mattutine, accuratamente monitorate. Assunta la dose giornaliera di sofferenza, la paziente può ritenere soddisfatto il suo bisogno.

A seguito di attente verifiche dell’andamento della cura, l’equipe decide una progressiva diminuzione dell’intensità dell’intervento, fino ad arrivare, in caso di successo, ad una seduta di mantenimento mensile.

 

 
 
 

Seni virtuali

Post n°14 pubblicato il 29 Gennaio 2008 da otuvas

Crescono nelle donne il desiderio e l’abitudine di rivolgersi al chirurgo estetico per un intervento al seno.

Ricche e meno ricche, giovani e meno giovani, tutte pronte ad affrontare l’operazione, spesso chiedendola in dono a genitori e mariti. Pare si vada diffondendo la moda di farne il regalo per i 18 anni.

Se, però, un tempo questa pratica veniva pensata come un correttivo ed il risultato era apprezzato quanto più appariva naturale, nascondendo l’artificio, oggi sembra siano proprio gli aspetti artificiosi quelli che attirano maggiormente.

Le donne vogliono non un seno più bello, ma un seno finto, un seno da bambola.

Anche la percezione maschile cambia: gli uomini sono attratti dal seno “finto”, in quanto “finto”; ciò che eccita non è il seno reale, ma il seno virtuale.

 
 
 

Dolore: una malattia da eliminare?

Post n°13 pubblicato il 28 Gennaio 2008 da otuvas

Recentemente i giornali si sono occupati di un fenomeno che sembra in espansione: la persecuzione degli ex da parte di amanti, fidanzati/e, mogli, mariti, che non accettano il congedo. Tale persecuzione si può esprimere nei modi “gentili”, comunque sempre molesti, di telefonate assidue, invio di fiori e regali, insistenti richieste di riallacciare il rapporto, o assumere il carattere di un vero e proprio braccaggio, con appostamenti, pedinamenti, scenate, minacce.

Tali comportamenti, un tempo più frequenti nelle donne abbandonate, sembrano oggi diventati propri degli uomini.

Effetto della femminilizzazione del maschio in atto?  Il fenomeno fa comunque riflettere sull’incapacità della nostra società di accettare il rifiuto, di sopportare la frustrazione. Siamo stati abituati a volere tutto e subito, e non siamo più in grado di gestire il desiderio, quel desiderio che esalta l’eros, che alimenta la passione.

Non c’è più spazio per il corteggiamento e per la seduzione, per il vagheggiamento e le fantasie, tutto viene consumato in fretta. Il modello consumistico ha invaso anche l’intimità del rapporto amoroso: se il partner è un oggetto da conquistare e consumare, un oggetto del mio possesso, da una parte lo svilisco a cosa, lo privo di ogni aura, ma dall’altra non posso e non voglio permettere di esserne derubato.

Oggi la soglia di frustrazione si è drasticamente abbassata: si inghiottono pillole o si va dallo psicologo perché si è “tristi”, in situazioni in cui è giusto, è doveroso essere tristi, perché si vede nel pianto un segno di disagio da eliminare, quando è naturale, è sano, è catartico piangere.

La morte di un figlio può essere un evento devastante, ma la scomparsa di genitori in età avanzata , la fine di un amore sono nell’ordine naturale delle cose: sono una perdita per cui giustamente piangere, un lutto da elaborare, non un dolore da anestetizzare prontamente ricorrendo al terapeuta.

Il dolore viene ormai vissuto come qualcosa che spaventa, come una malattia da eliminare.

 

 
 
 

Della felicità

Post n°12 pubblicato il 22 Gennaio 2008 da otuvas

“La felicità non ha nulla di misterioso.

Gli uomini infelici si somigliano tutti. Una vecchia ferita, un desiderio inesaudito, uno smacco dell’orgoglio, l’offerta del proprio amore rifiutata (o peggio ancora ignorata) restano loro addosso per sempre, ed essi trascorrono ogni giornata avvolti in un sudario di istanti passati.

L’uomo felice invece non si guarda indietro, né del resto guarda avanti. Vive nel presente.

Ma il guaio è proprio questo. C’è una cosa che il presente non è mai in grado di offrire: il significato.

Le strade della felicità e del significato non coincidono.

Per trovare la felicità l’uomo deve vivere nel momento, per il momento. Se, invece, anela al significato (il significato dei suoi sogni, dei suoi segreti, della sua stessa esistenza) deve ripercorrere il passato, per quanto oscuro, e vivere per il futuro, per quanto incubo.

La natura pone dunque di fronte a noi la felicità e il significato  costringendoci a scegliere l’uno o l’altra.”

Jed Rubenfeld, L’interpretazione della morte

 
 
 

L'educazione emotiva

Post n°11 pubblicato il 21 Gennaio 2008 da otuvas

Ho seguito l’inserimento al nido di mia figlia Agata, anni 2. Questa la prassi della prima giornata: i bambini vengono riuniti e giocano, presenti educatrici e genitori. Dopo una mezz’ora i genitori si allontanano per circa 20 minuti, per poi tornare a prendere i figli. Si chiama “inserimento graduale”. Al momento stabilito dico ciao ad Agata, e lei mi fa ciao con la manina e continua felice a giocare.

Ma la maestra mi richiama: non basta, il saluto va enfatizzato, reso solenne. Eseguo e il risultato è un pianto dirotto che continua per tutti i venti minuti che attendo fuori dalla porta. Confesso che la cosa mi ha fatto molto piacere.

Due riflessioni:

·          il bambino cerca sempre di accontentare i genitori dimostrando loro il proprio attaccamento

·          facendo vivere da subito l’esperienza attaccamento/separazione, forse le educatrici si ripromettono di realizzare un calo del numero di pazienti in psicoterapia

 
 
 
 

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