Creato da paoloalbert il 20/12/2009

CHIMICA sperimentale

Esperienze in home-lab: considerazioni di chimica sperimentale e altro

 

Messaggi di Giugno 2011

Classificazione chimica dei coloranti

Post n°115 pubblicato il 30 Giugno 2011 da paoloalbert

Oggi ho deciso di ripassare (queste note le scrivo essenzialmente per me...) la classificazione dei coloranti organici secondo la costituzione chimica, cioè in funzione dei gruppi cromofori presenti nella sua molecola o in funzione della struttura.

Un elenco potrebbe essere questo:

-COLORANTI AZOICI: sono i più importanti e sono caratterizzati da avere nella molecola uno o più gruppi -azo -N=N- . Vengono preparati per "diazocopulazione" di una ammina aromatica primaria (capostipite è la famosa anilina); inizialmente l'ammina viene diazotata con acido nitroso e poi il sale di diazonio prodotto viene unito con un altro composto aromatico contenente gruppi attivati. Gli esempi sono innumerevoli e le sottoclassi degli azoici anche, ma riferendoci per semplicità sempre alla nostra crisoina, l'ammina è rappresentata dall'acido solfanilico ed il composto aromatico copulato è la resorcina, con due ossidrili in posizione meta.

 

Resorcina

 

-COLORANTI ETILENICI: contengono il cromoforo etilenico -CH=CH- più volte ripetuto. Importanti in questo gruppo sono i carotenoidi del mondo vegetale: ecco le formule del β-carotene (in alto, giallo) delle carote e del licopene (in basso, rosso) dei pomodori, con la loro bellissima e chilometrica serie di doppi legami coniugati.

 

Carotene licopene   

 

-COLORANTI NITROSO E NITRO: si ottengono nitrosando o nitrando fenoli o naftoli e quindi contengono i gruppi -NO ed -NO2, associati al gruppo ossidrile. Formano facilmente dei complessi di coordinazione con alcuni metalli, generando lacche insolubili che si fissano al substrato. Un esempio è l'α-nitroso-β-naftolo che si colora in rosso legandosi col cobalto, con una sensibile reazione sfruttata in chimica analitica.
Il più antico nitrocolorante è invece il famoso acido picrico (trinitrofenolo) conosciuto fin dalla fine del '700 per le sue potenti proprietà di colorare in giallo (non solo quelle...).

 

Picrico

 

-COLORANTI DEL FIFENILMETANO: hanno il cromoforo chetoimminico C6H5-C(=NH)-C6H5, dove negli anelli aromatici appaiono anche gruppi attivanti in posizione para. Un esempio nei colori classici è il giallo auramina.

 

Auramina

 

- COLORANTI DEL TRIFENILMETANO: si basano sui gruppi del fucsone (a sinistra) o della fucsoimmina (a destra), dove ai legami liberi del carbonio in alto vengono attaccati altri due anelli aromatici sostituiti in para con gruppi attivanti amminici (più o meno sostituiti) od ossidrili. Esempi noti sono il cristalvioletto ed il verde malachite, metilati nei due gruppi amminici.

 

Cristalvioletto     Verde malachite

 

-COLORANTI INDIGOIDI: sono caratterizzati dal cromoforo in figura, dove X è un gruppo aromatico più o meno complesso. Naturalmente il colorante più importante di questa classe è l'indaco (naturale o artificiale). Il suo dibromoderivato (due atomi di bromo negli anelli benzenici) costituisce la famosa porpora di Tiro degli antichi.

 

Indaco   

 

-COLORANTI XANTENICI: è una classe numerosa in cui è presente la molecola base xantene, poi variamente sostituita e resa più complessa. 
Fluoresceina, eosina, rodamina, ecc, non hanno bisogno di presentazione. Ecco la rodamina B.

 

Rodamina

 

-COLORANTI OSSAZINICI E TIOAZINICI: contengono l'anello eterociclico azinico con un atomo di azoto sostituito da uno di ossigeno o di zolfo. Il più rappresentativo è forse il blù di metilene, figura, usato anche in istologia per le proprietà di colorare selettivamente tessuti cellulari.

 

Blù metilene

 

-COLORANTI FLAVONICI: dulcis in fundo, sostituendo variamente nel 2-fenilcromene (flavone),

 

Flavone

 

alcuni atomi di idrogeno negli anelli benzenici con gruppi alchilici o ossidrilici, si formano molti di quei colori che la natura fornisce ai fiori e ai frutti, ovvero le antocianine.
Ecco la formula generale:

 

Antocianina

 

Al posto di un -R mettiamoci qualche -CH3 o qualche -OH e godiamoci il bellissimo colore risultante, come quello della cianidina, che dà il colore alle rose e ai fiordalsi e modifica il colore a seconda del pH della linfa... Magia della natura, magia della chimica!

 

Cianidina   e cambiando qualche ossidrile...

 

Rosa    Fiordaliso

L'elenco di cui sopra è sicuramente incompleto, e serve solo come prima veloce individuazione di un colorante organico in una classe definita. Se mi verrà in mente qualcos'altro scartabellando in giro o per qualche buon gradito suggerimento, lo aggiungerò.

 
 
 

Corrosione elettrochimica

Post n°114 pubblicato il 26 Giugno 2011 da paoloalbert

Certi esperimenti costano tempo, denaro e fatica... certi altri non costano proprio nulla...
L'esperimento di oggi fa parte a pieno titolo di questa seconda categoria.
Ho voluto verificare, a tempo perso ed in forma eclatante, il fenomeno della corrosione elettrochimica.
Quando due metalli diversi vengono posti a contatto in presenza di un elettrolita (cioè una soluzione acquosa) si genera un flusso di elettroni (in pratica si forma una pila) che vanno dal metallo meno nobile verso quello più nobile .
Perdere elettroni vuol dire "ossidarsi", acquistare elettroni vuol dire "ridursi".

Ogni metallo possiede una sua ben definita "nobiltà", più o meno come gli umani di qualche decennio fa: ci sono addirittura metalli "di sangue reale o imperiale" (Loro Maestà l'oro, il platino, l'iridio...), poi metalli con parecchio sangue blù, come il mercurio, l'argento, il rame..., poi viene la borghesia ed infine il popolo: il piombo, lo stagno, il ferro, lo zinco...
Scivolando sempre più verso il basso, troveremo alla fine la vera plebe: il magnesio, il sodio, il litio... questi ultimi dei veri paria nella serie elettrochimica.
Sia ben chiaro che questo elenco "dei ricchi e dei poveri" si riferisce solo ed esclusivamente alla facilità o meno con cui questi metalli possono cedere elettroni, e a null'altro!
I più nobili sono anche i più tirchi: cercano di tenerseli tutti ben stretti i loro elettroni.
Come tanti matrimoni, se le differenze di condizione sociale sono troppo elevate, è molto probabile che prima o poi il matrimonio si sfasci (per gli umani succede anche per molto meno!).

Allora, mettendo in contatto due metalli molto "diversi", uno vorrà perdere elettroni e l'altro vorrà prenderseli, a spese del primo; perchè l'intermediazione vada a buon fine serve però un terzo incomodo, come dicevo all'inizio, cioè l'elettrolita; ma per questo non c'è problema: basta una leggera traccia di umidità e la soluzione per gli ioni è bell'e pronta.

L'esperimento

Basta ciance, procediamo.
I due metalli che ho costretto a convivere forzatamente (matrimonio di convenienza, non di amore) sono il rame ed il ferro.
Il primo è elettropositivo (è un seminobile nella serie elettrochimica, +0,34 V)), il secondo è un vile plebeo elettronegativo che sperpera volentieri i propri elettroni (-0,45 V).
Ho preso uno spezzone di tubo di ferro verniciato, l'ho abraso per bene con la lima nel punto di unione col rame ed in qualche altro punto, in modo che fosse perfettamente pulito e lucente.
Ho fatto la stessa operazione con una bandella di rame, ed ho poi fissato quest'ultima al tubo tramite un foro passante ed un rivetto stretto con l'apposita pinza.
In questo modo il contatto elettrico tra i due metalli è sicuramente perfetto.
Ho poi simulato una condizione reale interrando per metà l'oggetto sotto una pianta di rose rampicanti, la cui terra era tenuta qualche volta umida dalla pioggia o dalle occasionali annaffiature.

 

Corrosione



Ecco fatta una bella pila: c'è il polo positivo (il rame), il polo negativo (il ferro), l'elettrolita (l'acqua e le soluzioni saline della terra).

Ho misurato la tensione a vuoto tra gli elettrodi in condizioni reali prima di porli in contatto: 0,30 volt con terreno umido.

Ho lasciato semisepolto questo accrocco nella terra per nove mesi, ed ecco i risultati come si vedono in foto.

Il rame naturalmente è intatto (a parte una ovvia ossidazione superficialissima) mentre il ferro si è corroso pesantemente, ricoprendosi nei punti non protetti dalla vernice di ruggine profonda (ossido idrato di ferro).

Se non fosse stato a contatto del rame si sarebbe ossidato lo stesso, ma in maniera molto più leggera.

Morale della favola?

Non c'era proprio niente da scoprire, se non mettere il naso che tra due metalli in contatto quello più elettropositivo si salva, a scapito di quello più elettronegativo, che si ossida anche per l'altro.
E' quello che si fa di solito in pratica per certe opere metalliche interrate, come per esempio le bombole per il GPL ampiamente usate in zone rurali: le si collega ad un anodo in magnesio interrato, il quale, essendo molto elettronegativo (-2,37 V), si corroderà sacrificando lentamente se stesso e salvando la struttura molto più costosa.
Non per niente quello di magnesio si chiama "anodo sacrificale"...

Talvolta in grandi opere si giunge perfino a controbilanciare le correnti di origine elettrochimica con degli appositi alimentatori, collegando al polo negativo la grande struttura da proteggere ed al positivo un anodo di ferro sacrificale piantato profondamente nel terreno.

 
 
 

Riflessioni sui coloranti organici

Post n°113 pubblicato il 24 Giugno 2011 da paoloalbert
Foto di paoloalbert

A proposito della crisoina dell'altra volta, e parafrasando un noto presentatore, si potrebbe dire che "sorge spontanea una domanda": perchè questa sostanza è un colorante e mille altre non lo sono?
Come mai certe molecole hanno questa bella caratteristica?

Non si può naturalmente rispondere a questa domanda in poche righe, ma si può tentare di riassumere qualche concetto utile.
Il colore di un composto dipende dalla lunghezza d'onda λ della luce che esso assorbe.
Se la luce viene assorbita fuori dal campo del visibile (diciamo tra 380 e 680 nm), il composto appare senza colore.
La percezione cromatica si ha in corrispondenza del colore complementare della radiazione aasorbita: la luce che arriva all'occhio manca proprio di quella radiazione assorbita e l'occhio vede il colore complementare.


Cerchio cromatico

 

Siccome l'occhio umano non è in grado di distinguere i vari colori quando viene colpito contemporaneamente da radiazioni di λ diversa, oltre ai colori "puri", esistono infinite combinazioni diverse, che danno la sensazione della tonalità cromatica a seconda dell'assorbimento più o meno selettivo da parte della sostanza colorata.

La presenza di una particolare struttura e di certi raggruppamenti atomici nella molecola di un composto chimico conferisce la capacità di assorbire selettivamente luce visibile e rendere quel composto colorato.
L'assorbimento delle radiazioni (quindi energia!) da parte delle molecole è in grado di provocare delle transizioni energetiche nelle orbite degli elettroni più esterni, impegnati o non impegnati in un legame, che passano da uno stato fondamentale ad uno stato eccitato.
Questi elettroni possono appartenere ad un legame σ (per es. legami semplici :C-C:), oppure π (legami doppi :C=C:) oppure a doppietti elettronici liberi (su O, N, ecc.).
Ad elettroni meno legati corrisponde una minore quantità di energia da fornire da parte della radiazione per portarli ad uno stato eccitato, e siccome l'energia di una radiazione è inversamente proporzionale alla lunghezza d'onda λ, sostanze con legami π (nei quali gli elettroni sono meno legati) saranno eccitabili da radiazioni maggior lunghezza d'onda, cioè nel visibile.
I composti con solo legami σ, più forti, saranno eccitati da piccole lunghezze d'onda, magari nell'ultravioletto, e quindi la sostanza appare non colorata.

Succede che se in una molecola sono presenti doppi legami coniugati (-C=C-C=C-) gli elettroni risultano maggiormente delocalizzati, con conseguente ulteriore diminuzione energetica tra un livello e l'altro e più facile eccitabilità da parte di una radiazione visibile.
Ciò può essere necessario ma non sufficiente ad impartire colore ad una sostanza, rendendosi indispensabile la presenza di gruppi attivanti per diminuire ultriormente l'energia di eccitazione.

La vecchia teoria classica di Witt (più intuitiva in un semplice contesto come questo) affema che una molecola per apparire colorata deve possedere almeno un gruppo "cromoforo" e percolorare almeno un gruppo "auxocromo".
I gruppi cromofori sono i seguenti:

:C=C: etilenico
:C=O carbonilico
:C=NH imminico
-N=O nitroso
-NO2 nitrico
-N=N- azo
-N=NO- ossiazo


I gruppi auxocromi sono i seguenti:

-OH ossidrilico
-OR alcossilico
-NH2 amminico e derivati -NHR, -NR2, -NHAr, -NHOH, -NH-NH-
-SO2OH solfonico
-COOH carbossilico

Un auxocromo permette sia la fissazione del colorante ad un substrato sia di aumentare la λ della radiazione assorbita rendendo colorata una molecola che senza di esso assorbirebbe nell'UV, oppure di spostare verso il rosso la tonalità (diverso effetto di una stessa causa).

La teoria di Witt è incompleta e non spiega per esempio la colorazione dell'importantissima classe di sostanze derivate dal trifenilmetano; allo stesso modo non è detto che un composto che abbia un semplice gruppo cromoforo ed uno auxocromo sia un colorante... ci vogliono altre condizioni (una bella serie di doppi legami coniugati per esempio), la complessità molecolare, ecc.

Per concludere queste semplici riflessioni, torniamo alla crisoina e verifichiamo:

-c'è il fondamentale gruppo -azo? Sì!
-c'è il gruppo solfonico? Sì!
-ci sono ossidrili? Sì!
-ci sono doppi legami coniugati? Sì!
-il tutto è sistemato in una bella molecola abbastanza complessa? Certo!

Jawohl! esclama allora Herr Otto Witt,... perchè mai la crisoina non avrebbe il sacrosanto diritto di farti una bella macchia gialla sulla camicia?

 

 
 
 

Sintesi della Crisoina

Post n°112 pubblicato il 16 Giugno 2011 da paoloalbert

Dopo qualche divagazione "elettrostatica" (ma fatta con molta soddisfazione!) torniamo a noi, ovvero alla chimica sperimentale.

Attore protagonista odierno è personaggio secondario della saga dei coloranti azoici derivati dall'acido solfanilico.
L'acido solfanilico (p-aminobenzensolfonico NH2-C6H4-SO2-OH) dà origine ad una notevole serie di prodotti intensamente colorati in genere nei toni rossi, i più noti dei quali sono il metilarancio (solfanilico + dimetilanilina) e l'Arancio II (solfanilico + beta-naftolo).

Ho provato a fare un azoico meno conosciuto, derivato dalla copulazione (termine di chimica organica...) dell'acido solfanilico con la resorcina; il colorante risultante era impiegato in passato per la tintura di lana e seta e addirittura come colorante alimentare (E103, ora proibito): si tratta della crisoina [Sodio p-(2,4-diidrossifenilazo)-benzensulfonato].


Crisoina


Materiale occorrente

- Acido solfanilico p-NH2-C6H4-SO2-OH
- Resorcina m-HO-C6H4-OH
- Sodio nitrito NaNO2
- Acido cloridrico
- Sodio idrossido
- Sodio cloruro
Vetreria opportuna e ghiaccio

- In un becker da 100 ml sciogliere 2,5 g di acido solfanilico e 1 g di NaOH in 40 ml di acqua.
Aggiungere 1,3 g di NaNO2 sciolti in 5 ml di acqua e portare tutto a circa 2-3° con bagno di acqua e ghiaccio. Aggiungere goccia a goccia HCl al 25% fino a reazione acida, sempre mescolando energicamente ed evitando che la temperatura salga oltre i 5°.
In un becker da 50 ml preparare intanto una soluzione di 1,6 g di resorcina e 1,2 g di NaOH in 15 ml di acqua, posti sempre nel medesimo bagno di acqua e ghiaccio.
Mescolando, aggiungere pian piano la seconda soluzione alla prima: il liquido assumerà immediatamente prima una colorazione aranciata e poi sempre più scura fino a copulazione avvenuta.

Crisoina 1Il problema maggiore a questo punto è che la separazione, perchè la soluzione alcalina di crisoina e la crisoina stessa è solubile in acqua. Innanzitutto neutralizzare cautamente con HCl e portare fino a reazione acida, quindi aggiungere NaCl solido fino a saturare la soluzione (ne serve circa una ventina di g), mescolando con pazienza fino a dissoluzione completa del sale, eventualmente aggiungendone.

Crisoina 2La maggior parte della crisoina precipita sotto forma di polvere rosso-arancio; lasciare in riposo un paio d'ore e poi filtrare su buchner sotto buona aspirazione perchè il colorante tende fortemente ad intasare il filtro formando una massa appiccicosa.

Crisoina 3

 

Lavare con soluzione satura di sale, aspirando bene per eliminare quanto più liquido possibile e poi essicare lentamente e con fatica all'aria.
Purtroppo il colorante rimane un po' impregnato del cloruro di sodio rimasto nella poca acqua sul filtro; non è molto ma comunque il prodotto è leggermente "salato".

Ho provato a purificare per soluzione ma è quasi impossibile perchè la crisoina non è solubile nei solventi apolari; sicuramente una buona passata nel soxhlet con etanolo riuscirebbe a risolvere il problema, ma per ora ho tenuto il prodotto così com'è.

 

Crisoina 4

 

La crisoina secca si presenta come una polvere color ruggine, discretamente solubile in acqua e in etanolo; tinge i tessuti in colore dai toni caldi dal giallo all'ocra ed è anche un indicatore di pH nel range basico 11-12,7 (giallo per pH <11 e rosso per pH >12,7

 

Crisoina 5

 
 
 

Generatore elettrostatico Van de Graaff - Seconda parte

Post n°111 pubblicato il 11 Giugno 2011 da paoloalbert

Ecco la macchina di Van de Graaff completa!

 

Vdg 1


La cinghia
è il componente che più mi ha impegnato nelle sperimentazioni... alla fine è risultato vincente un elastico nero da 40 mm lungo un metro, debitamente incollato a formare un nastro continuo; è composto per l'84% da fibra poliacrilica e il 16% da fili di gomma.
Altrettanto bene funzionano il PVC ed il polietilene (quello delle coperture per le serre), ma quest'ultimo è difficilissimo da incollare e poco elastico.
Il nastro di gomma gialla di tipo "para" funziona benissimo ma è di più difficile reperimento.
Invece la tipica gomma nera da camera d'aria di bicicletta ha un rendimento pari esattamente a zero .

Chi avesse la vaga intenzione di fare un modello di questo interessante generatore elettrostatico si guardi anche la serie triboelettrica dei materiali, nella quale sono elencate le proprietà di elettrizzazione per strofinio reciproco fra molti materiali con i quali costruire i rulli e la cinghia.

La tensione di uscita risente pesantemente dell'umidità atmosferica, andando quasi a zero quando l'umidità è molto elevata; in una giornata particolarmente secca supera invece i 200 mila volt.
Le scariche luminose (uno schiocco secco, s-tak!) arrivano ad un massimo di circa 8 cm (sono tanti!), mentre le scariche scure (un rumore sordo, quasi un "bop-bop") per effetto corona sono più lunghe e ramificate, fatte esattamente come dei microfulmini naturali.
L'effetto "peli sul braccio" si sente con tempo secco fino a quasi mezzo metro.

Si tenga presente che per scariche fra sfere abbastanza grandi (non fra punte) la tensione di rottura in aria secca e in corrente continua è abbastanza lineare ed è attendibile considerarla 25/30000 volt/cm.
Più di così è difficile ottenere da sfere di queste dimensioni perchè si autoscaricano per effluvio, soprattutto dalla parte forata inferiore verso la cinghia.

Attenzione a non confondere questo generatore, che funziona in corrente continua, con un generatore di Tesla, che funziona in alta frequenza.
I due dispositivi non hanno NIENTE in comune, e men che meno la potenza impegnata ed il tipo di scarica.


Se la sfera presenta anche una minima discontinuità appuntita (basta un millimetro) la tensione sfugge alla grande per effetto corona e per questo non è possibile far avvenire le scariche tra due punte.
Come scaricatore si usa una sfera (le dimensioni non sono critiche, dai 50 mm di diametro in su) fissata su un sostegno isolante e collegata a massa, ovvero al pettine inferiore del generatore e a tutte le parti metalliche adiacenti.

Nonostante la tensione sia elevatissima, la corrente è estremamente bassa e l'energia accumulata in un condensatore di capacità così piccola (17 pF) è minima, di conseguenza le scariche sono del tutto innoque; occorre solo il (notevole!) coraggio di prendere la prima scossa, poi le altre vengono da sè: non dico che ci si diverta a mettere le nocche delle dita e prendere una stecca da un centinaio di kilovolt, ma è un'impresa fattibile...
(Vista l'esperienza che mi è capitata con più circuiti elettronici nelle vicinanze, per chi ha il pacemaker direi che giocare con una VdG è un sistema quasi infallibile per tentare di fermarlo...).

La sperimentazione per l'ottimizzazione del generatore è stata stimolante ma molto impegnativa, con la conseguenza che ho dovuto smontare e rimontare i perni dei rulli un'infinità di volte per poter provare cinghie, distanze, pettini, ... (senza i cuscinetti avrei svergolato i fori nella plastica in maniera indecente).

Ci sono begli esperimenti di elettrostatica da fare con la VdG: per ora li lascio alla fantasia dei lettori.

(Una doverosa conclusione: da tempo il mio amico Guglielmo mi incoraggiava a fare questa macchinetta; siccome ora sta passando un periodo personale veramente difficile, a lui dedico questo lavoro).

 
 
 

Generatore elettrostatico Van de Graaff - Prima parte

Post n°110 pubblicato il 08 Giugno 2011 da paoloalbert

Se è vero che alla fine tutti i nodi vengono al pettine, è arrivato finalmente al pettine anche questo nodo: la costruzione di una macchina Van de Graaff, che avevo in progetto da tempo immemorabile.
Di mister Robert Jemison ho già parlato la volta scorsa; del principio di funzionamento di questo dispositivo non parlerò perchè si trova facilmente in rete tutto quello che si vuole e quindi mi limiterò a descrivere, per così dire, solo l'hardware e le impressioni di funzionamento.

Solo due parole per i più pigri: questa macchina consiste in un motorino che fa girare una cinghia isolante impegnata da due rulli e da una grande sfera metallica cava.
La cinghia strisciando sui rulli si elettrizza e le cariche elettriche vengono trasportate dal movimento della cinghia stessa all'interno della sfera, nella quale si accumulano.
Chi non conosce niente di questa macchina... veda su YT!

 

Vdg 1

Vdg 2

 

 

 

 

 

 

Motore e rullo inferiore                  Trasformatore per il motore

 

Vdg 3

  Vdg 4

 

 

 

 

 

Cinghia e rullo superiore                Il pettine interno alla sfera

 

Premetto subito che (a meno di non fare un modellino scalcagnato) non è una costruzione facile come forse potrebbe sembrare:  una buona attrezzatura meccanica e precisione nell'esecuzione sono indispensabili.

Come materiale per tutta la struttura, a parte la base di sostegno, ho usato il plexiglass, che è un materiale esteticamente bello e adatto per lavori in alta tensione ma è schifosamente scomodo da lavorare; tuttavia avevo deciso di usare questo e con questo ho proseguito.

Per i due rulli (quello di trascinamento e quello superiore) mi sono venuti in aiuto due amici col tornio (Guglielmo e Giovanni), senza i quali li avrei  realizzati con maggiori difficoltà.
I rulli devono essere di materiali diversi: nel mio caso il rullo di trascinamento inferiore è di nylon rivestito con una boccola di alluminio e quello superiore di solo nylon; quest'ultimo è stato tornito con una forma a botte, per far sì che la cinghia si autocentri durante la rotazione.
I perni dei rulli scorrono su quattro piccoli cuscinetti a sfere e questo impone di evitare anche minimi errori nella coassialità dei fori e nella complanarità dei pezzi; nonostante le maggiori difficoltà di realizzazione consiglio caldamente questo sistema.

Il motore è un ricambio (trovato nuovo ma ad un prezzo simbolico) di un registratore a nastro professionale Lenco, con l'alberino esattamente da 6 mm e lungo quanto basta per passare da parte a parte la base della macchina; funziona in corrente continua a 30 V, e nel mio caso viene sottoalimentato a 24.

L'alimentatore
che si vede in foto è formato da un trasformatore a 24 V con ponte di diodi e condensatore; usando alimentatori switching o a regolazione elettronica si corre il fortissimo rischio che si guastino perchè i semiconduttori non reggono i rientri di picchi di alta tensione, che sono inevitabili.

La sfera superiore è costituita da due ciotole semisferiche inox del catalogo Ikea del diametro di 28 cm; ho provato con successo poco inferiore anche quelle più piccole di diametro 20 cm; la tensione d'uscita di una Van de Graaff è proporzionale al diametro della sfera.
Molto approssimativamente si può considerare che:

diametro in mm = tensione in kilovolt

Il pettine inferiore per l'effetto corona è realizzato sagomando a punte un lamierino di rame; è singolare il fatto che il massimo rendimento si ottiene posizionandolo non in corrispondenza del rullo ma spostandolo una decina di cm più in alto, lungo il nastro.
Il pettine di estrazione delle cariche all'interno della sfera consiste in un pezzo di lamierino di rame sagomato a punte, ma può più semplicemente essere costituito da un unico filo sottile (1 mm) e appuntito fissato sul vertice della calotta e scendente fin quasi a toccare il nastro.

La prossima volta concluderò il discorso hardware e vedremo il generatore completo, con i relativi commenti sul funzionamento.

 
 
 

Robert Jemison Van de Graaff, un multimilionario... in volt!

Post n°109 pubblicato il 04 Giugno 2011 da paoloalbert
Foto di paoloalbert

Robert Jemison Van de Graaff nacque a Tuscaloosa, Alabama, il 20 dicembre 1901.
Frequentò l'Università dell'Alabama, dove si laureò nel 1923 in ingegneria meccanica.
Lavorò breve tempo come assistente ricercatore, quindi continuò gli studi, prima alla Sorbona a Parigi (1924-1925) e poi ad Oxford, ricevendo altri titoli di studio in fisica (1926-1928), ed attendendo a degli esperimenti in fisica nucleare con E.Rutherford, in particolare sull'accelerazione delle particelle.
Nel 1929 ritornò negli Stati Uniti come ricercatore presso la prestigiosa Università di Princeton.
Fu in questo contesto che Van de Graaff concepì il primo modello di generatore elettrostatico che porterà il suo nome; con successivi miglioramenti, riuscì con la sua originale macchina ad ottenere nel 1931 la tensione di UN MILIONE di volt.

L'apice fu raggiunto nel 1933, presso l'altrettanto prestigioso MIT (Massachusetts Institute of Technology): in un hangar aeronautico l'intraprendente Robert assemblò due enormi sfere in alluminio di 5 m di diametro, isolate dalla base (un carrello ferroviario) con colonne in ceramica alte 8 metri e del diametro di quasi due, componendo una struttura alta complessivamente quasi 15 metri.
Messa in moto la cinghia (vedremo bene in seguito questi particolari...), il 28 novembre 1933 la più grande macchina elettrostatica mai costruita produsse la bellezza di SETTE MILIONI di volt!!!

 

Van de Graaf

 

Nel 1935 V.d.G. ottenne il brevetto per la sua invenzione, destinata, oltre che come acceleratore di particelle, per la produzione di raggi X penetranti per la cura di tumori.
Lo scienziato lavorò negli anni '40 a progetti e fondazioni sempre riguardanti l'impiego di altissime tensioni; i suoi acceleratori permisero in quel periodo e fino agli anni '50 notevoli progressi nello studio delle particelle e nella struttura atomica.

Van de Graaff rimase professore al MIT fino al 1960; nel 1966 ricevette un ambito premio da parte della American Phisical Society per la sua invenzione, con la motivazione:

"un dispositivo che ha permesso un immenso progresso nella ricerca nucleare".

Morì a Boston nel 1967, a soli 66 anni, lasciando in eredità molte delle sue macchine elettrostatiche funzionanti in altrettanti laboratori di ricerca sparsi per il mondo.

                                 --ooOOoo--

Perchè  questa biografia?
Perchè in onore di Robert Jemison, e per mio diletto, ho costruito una macchina Van de Graaff (non grande come la sua...!) che la prossima volta presenterò.

 
 
 

La ballata del Deodorante

Post n°108 pubblicato il 01 Giugno 2011 da paoloalbert

Accennavo l'altra volta all'idiosincrasia mediatica verso la chimica e tutto il suo mondo, indotta da un'informazione e da una cultura scientifica media che non ardisco definire.

Ho preso a caso da uno scaffale di supermercato un deodorante spray, del quale mi piace riportare la composizione chimica e le formule relative che costituiscono questo popolarissimo prodotto.

State a sentire perchè la ballata è bella ed i protagonisti sono tanti e molto articolati... nelle loro ramificazioni laterali, se così vogliamo dire.

Allora, nella bomboletta c'è dentro (maestro, vai con la musica):

- butano H3C-CH2-CH2-CH3

- propano H3C-CH2-CH3

- isobutano H3C-CH(CH3)-CH3

- ciclopentasilossano

Deod 1

-
cicloesasilossano, idem come sopra, con un anello a 12 termini


-
alluminio cloruro AlCl3

-
isopropilmiristato

Deod 2

-
trietilcitrato

Deod 3

-
quaternium-18 hectorite (sali di ammonio quaternario di acidi grassi e particolari argille: impossibile mettere la formula)

-
bisabololo

Deod 4

-
biossido di silicio SiO2

-
butilfenilmetilpropionale

Deod 5

-
benzilbenzoato

Deod 6

-
cumarina

Deod 7

-
esilcinnamale

Deod 7

-
linalolo

Deod 8

-
estratto di foglie di aloe (evviva!)

                                       M O R A L E

Ma la chimica è cattiva, è neutra, è buona o dipende da qualcos'altro?
Ma la cumarina fatta in fabbrica o fatta dalla natura sono uguali?
Ma quella sostanza che... e così via per altre mille domande che un bimbo intelligente potrebbe fare...


Perchè non insegnamo tutto ciò ai bambini, in forma scientifica, che poi lo sappiano quando sono grandi?
Perchè dosi industriali di schizofrenia chimica mediatica e poi basta prendere un banale deodorante per poterci costruire su una ballata come questa?

 

Punto interrogativo

Troppi perchè che non avranno mai una risposta.

 
 
 

ULTIME VISITE AL BLOG

bios_77graziaciottiguitarplaychiara92_bsergintdony686p_noragigrobrossigiulianoRamses670amorino11matteo_amatomaurograndi0loretolollosyama
 
 

I MIEI LINK PREFERITI

AREA PERSONALE

 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963