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Profughi: dove sono i Paesi umanitari?

Post n°189 pubblicato il 20 Giugno 2016 da pasquale.zolla

 

I migranti tra morte nel Mediterraneo e menefreghismo della comunità internazionale

Il Mar Mediterraneo è stato sempre al centro delle vicende della storia dell’umanità: dall’antagonismo fra gli imperi del mondo fino alle rivalità fra nazioni del secolo scorso.

Oggi il Mediterraneo non rappresenta più una lotta per il potere, ma la sofferenza di chi è inerme.

I corpi che la marea porta a riva sulle spiagge d’Europa, le imbarcazioni affollate alla deriva e le famiglie che rischiano tutto per fare quel viaggio pieno di insidie che ha una sola semplice interpretazione: l’incapacità della comunità internazionale di affrontare la crisi e di farlo in modo umano e compassionevole.

Ogni giorno sulle coste meridionali d’Italia giungono profughi che hanno dovuto abbandonare le proprie case fuggendo da guerre fratricide e creando implicazioni pesantissime sulla struttura economica e sociale dei paesi ospitanti.

Sono in continua crescita e spesso vengono accampati in tende e baracche senza servizi e senza documenti validi né permessi di lavoro.

La situazione si aggrava ogni giorno di più nel sostanziale disinteresse della comunità internazionale.

Gente che chiede assistenza e solidarietà perché arriva affamata e in condizioni precarie, fuggendo dall’orrore della morte, dal morso del terrore e trovando, molte volte, la morte nelle acque del Mediterraneo.

È necessario, una buona volta, che i governanti dei Paesi del mondo intero si riuniscano intorno ad un tavolo per discutere seriamente del problema e cercare una soluzione partendo dall’eliminazione delle fabbriche che vendono armi sottobanco con il loro beneplacito.

Basta fare lo scaricabarile chiudendo gli occhi davanti ad una delle più grandi tragedie della storia contemporanea.

E ai guerrafondai orientali dico di non nascondere i loro loschi interessi dietro a credi religiosi, perché il male fatto alla propria gente è un male fatto a Dio, che è Pace e Amore, in qualsiasi modo lo si voglia chiamare.


 


Skappà d’ò pròbbete kambà

Nu sckuppe lundane, remure

de vattagghje ka s’avvecinene

sèmbe de chjù. ‘A pavure è i lagreme

l’ucchje jènghene, ka da mise nen vèdene

sckitte mòrte è rruvine. ‘Na bòmme

kògghje n’areve avvecine a’ kase.

De furje chjù ka se póde, se pigghjene

mbrazze i krjature chjù pecceninne

è tra lukkule è chjande de kòrze

s’aèsce d’a kase. Timbe ne nge ne stà

de pegghjà ninde: ce se arretròve

ammizze a’ strate è subbete ngammine.

Kòrre! Skappà lundane! Abbesugne

jì vìje subbete subbete pekkè kraje

tròppe tarde   apputarrìje ghèsse;

kraje ‘a kase ghèsse putarrìje

nu mendòne de sderrupe. Se fernèsce

sóp’a nu varkòne pe skappà nen nzule

d’a uèrre, ma pure d’ò pròbbete kambà,

da tuttekuille ka se tenéve, kumbrése

u ‘vvenì ka p’i figghje se sunnave!

Fuggire dalla propria vita

Uno scoppio lontano, rumori

di battaglie che si avvicinano

sempre più. Il terrore e le lacrime

riempiono gli occhi, che da mesi vedono

solo morte e macerie. Una bomba

colpisce un albero vicino casa.

Veloce più che non si può, si prendono

in braccio i bimbi più piccoli

e tra grida e pianti di corsa

si esce di casa. Non c’è tempo

di prendere nulla: ci si ritrova

per strada e subito in cammino.

Correre! Fuggire lontano! Bisogna

Andare via subito perché domani

Potrebbe essere troppo tardi;

domani la casa potrebbe essere

un mucchio di macerie. Si finisce

su di un barcone per fuggire non solo

dalla guerra, ma anche dalla propria vita,

da tutto ciò che si aveva, compreso

il futuro che si sognava per i figli!



 

 

I migranti tra morte nel Mediterraneo e menefreghismo della comunità internazionale

Il Mar Mediterraneo è stato sempre al centro delle vicende della storia dell’umanità: dall’antagonismo fra gli imperi del mondo fino alle rivalità fra nazioni del secolo scorso.

Oggi il Mediterraneo non rappresenta più una lotta per il potere, ma la sofferenza di chi è inerme.

I corpi che la marea porta a riva sulle spiagge d’Europa, le imbarcazioni affollate alla deriva e le famiglie che rischiano tutto per fare quel viaggio pieno di insidie che ha una sola semplice interpretazione: l’incapacità della comunità internazionale di affrontare la crisi e di farlo in modo umano e compassionevole.

Ogni giorno sulle coste meridionali d’Italia giungono profughi che hanno dovuto abbandonare le proprie case fuggendo da guerre fratricide e creando implicazioni pesantissime sulla struttura economica e sociale dei paesi ospitanti.

Sono in continua crescita e spesso vengono accampati in tende e baracche senza servizi e senza documenti validi né permessi di lavoro.

La situazione si aggrava ogni giorno di più nel sostanziale disinteresse della comunità internazionale.

Gente che chiede assistenza e solidarietà perché arriva affamata e in condizioni precarie, fuggendo dall’orrore della morte, dal morso del terrore e trovando, molte volte, la morte nelle acque del Mediterraneo.

È necessario, una buona volta, che i governanti dei Paesi del mondo intero si riuniscano intorno ad un tavolo per discutere seriamente del problema e cercare una soluzione partendo dall’eliminazione delle fabbriche che vendono armi sottobanco con il loro beneplacito.

Basta fare lo scaricabarile chiudendo gli occhi davanti ad una delle più grandi tragedie della storia contemporanea.

E ai guerrafondai orientali dico di non nascondere i loro loschi interessi dietro a credi religiosi, perché il male fatto alla propria gente è un male fatto a Dio, che è Pace e Amore, in qualsiasi modo lo si voglia chiamare.


 


Skappà d’ò pròbbete kambà

Nu sckuppe lundane, remure

de vattagghje ka s’avvecinene

sèmbe de chjù. ‘A pavure è i lagreme

l’ucchje jènghene, ka da mise nen vèdene

sckitte mòrte è rruvine. ‘Na bòmme

kògghje n’areve avvecine a’ kase.

De furje chjù ka se póde, se pigghjene

mbrazze i krjature chjù pecceninne

è tra lukkule è chjande de kòrze

s’aèsce d’a kase. Timbe ne nge ne stà

de pegghjà ninde: ce se arretròve

ammizze a’ strate è subbete ngammine.

Kòrre! Skappà lundane! Abbesugne

jì vìje subbete subbete pekkè kraje

tròppe tarde   apputarrìje ghèsse;

kraje ‘a kase ghèsse putarrìje

nu mendòne de sderrupe. Se fernèsce

sóp’a nu varkòne pe skappà nen nzule

d’a uèrre, ma pure d’ò pròbbete kambà,

da tuttekuille ka se tenéve, kumbrése

u ‘vvenì ka p’i figghje se sunnave!

Fuggire dalla propria vita

Uno scoppio lontano, rumori

di battaglie che si avvicinano

sempre più. Il terrore e le lacrime

riempiono gli occhi, che da mesi vedono

solo morte e macerie. Una bomba

colpisce un albero vicino casa.

Veloce più che non si può, si prendono

in braccio i bimbi più piccoli

e tra grida e pianti di corsa

si esce di casa. Non c’è tempo

di prendere nulla: ci si ritrova

per strada e subito in cammino.

Correre! Fuggire lontano! Bisogna

Andare via subito perché domani

Potrebbe essere troppo tardi;

domani la casa potrebbe essere

un mucchio di macerie. Si finisce

su di un barcone per fuggire non solo

dalla guerra, ma anche dalla propria vita,

da tutto ciò che si aveva, compreso

il futuro che si sognava per i figli!



 

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