pasqualezollaIl blog di Pasquale Zolla |
Messaggi di Aprile 2015
Post n°136 pubblicato il 30 Aprile 2015 da pasquale.zolla
1° Maggio: Festa dei lavoratori senza lavoro Il 1° maggio nacque come momento di lotta dei lavoratori per raggiungere obiettivi di miglioramento della propria condizione di vita. «Otto ore di lavoro, otto di svago e otto per dormire», fu il motto coniato in Australia nel 1855 e condiviso da quasi tutti i movimenti sindacali del primo novecento. Dal congresso dell’Associazione internazionale dei lavoratori riunito a Ginevra nel settembre del 1866, venne fuori la proposta concreta: «Otto ore come limite legale dell’attività lavorativa.» Lo Stato dell’Illinois nel 1866 approvò una legge che introduceva la giornata lavorativa di otto ore e l’entrata in vigore avvenne il 1° Maggio del 1867, con una grande manifestazione a Chicago. Il 1° Maggio divenne festa per tutti il 20 luglio 1889, durante il congresso della Seconda internazionale a Parigi. Era una scelta simbolica in quando tre anni prima (1 maggio 1886) a Chicago una grande manifestazione operaia venne repressa nel sangue. Il ricordo di quei morti divenne simbolo di lotta per le otto ore e veniva fatta rivivere nella giornata ad essi dedicata. In Italia nel 1898 ci furono i “Moti del Pane” che terminarono tragicamente a Milano. Ma il 1° Maggio, nei primi del novecento, si caratterizzò anche per la rivendicazione del suffraggio universale e per la protesta contro l’impresa libica e contro la partecipazione dell’Italia alla guerra mondiale. Il 1° Maggio 1919 i metallurgici e altre categorie di lavoratori festeggiarono il conseguimento dell’obiettivo originario della ricorrenza: le otto ore di lavoro. Durante il fascismo la festa del lavoro venne spostata al 21 aprile, giorno del cosidetto Natale di Roma, ma all’indomani della Liberazione, il 1° Maggio 1945, i lavoratori si ritrovarono nelle piazze in un clima di entusiasmo. Due anni dopo il 1° Maggio venne funestato dalla strage di Portella della Ginestra, dove gli uomini del bandito Giuliano fecero fuoco contro i lavoratori che assistevano al comizio. Dopo la spaccatura del sindacato, i lavoratori tornarono uniti in piazza a celebrare il 1° Maggio nel 1970 e continua ancora oggi, anche se la Festa del Lavoro viene celebrata senza lavoro! ‘A fatighe ògge u passate de kraje éje L’òme nenn’éje pòvre kuanne ndéne ninde, ma kuanne ne nfatighe pekkè ‘a fatighe ‘a nòj’u vizzj’è u bbesuggne allundanéje. Cirte ‘a fatighe nen pjace kuase kuase a nessciune, appèrò éje sckitte nd’a fatighe ka l’òme ‘a pussebbeletà téne de se trùuà. Kòmbete éje de ki gùuèrne ‘a fatighe trùuà, sckitte akkussì ògge u passate se krjarrà d’u kraje pekkè ‘a fatighe éje u mizze cchjùmmègghje pe fà passà u kambà. ‘A luvére lebbertà d’òggnè òme èsiste ne mbóde sènza sekurèzze èkunòmeke è ndepennènze. ‘A ggènde k’a lópe è ssènza fatighe paste addevendéje p’i dettature. Pettande gògge ‘a grazzjòne k’avarrèmme agavezà éje: «Ddìje mìje damme ‘a fatighe, fenakkè u kambà mìje n’nze kunglude, è u kambà, fenakkè ‘a fatiga mìje nen nzìje a tèrmene purtate!» Il Lavoro oggi è il passato di domani L’uomo non è povero quando non ha nulla, ma quando non lavora perché il lavoro la noia il vizio e il bisogno allontana. Certo il lavoro non piace quasi a nessuno, però è solo nel lavoro che l’uomo ha la possibilità di trovare se stesso. È compito di chi governa trovare il lavoro, solo così oggi si creerà il passato di domani perché il lavoro è il mezzo migliore per far passare la vita. La vera libertà individuale non può esistere senza sicurezza economica e indipendenza. La gente affamata e senza lavoro diventa pasta per le dittature. Pertanto oggi la preghiera che dovremmo innalzare è: «Dio mio dammi il lavoro, finché la mia vita non si conclude, e la vita, finché il mio lavoro non sia finito!»
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Post n°135 pubblicato il 28 Aprile 2015 da pasquale.zolla
Caterina: la Santa Patrona d’Italia Nasce a Siena il 25 marzo 1347 ed era la ventiquattresima figlia di Jacopo Benincasa, tintore, e Lapa di Puccio de’ Piacenti. Aveva solo sei anni quando le apparve Gesù vestito maestosamente, con tre corone sul capo ed un manto rosso, accanto al quale stavano San Pietro, San Giovanni e San Paolo. A sette anni fece voto di verginità. Preghiere, pemitenze, digiuni costellarono le sue giornate, intraprendendo la via della perfezione cristiana: ridusse cibo e sonno; abolì la carne; si nutrì di erbe crude, di qualche frutto e utilizzò il cilicio. I suoi avviarono discorsi di maritaggio quando aveva dodici anni. Ma disse sempre di no e la spuntò. Si tagliò i capelli, si coprì il capo con un velo e si serrò in casa. Risolutivo fu poi ciò che un giorno il padre vide: sorprese una colomba aleggiare sulla figlia in preghiera. Nel 1363 vestì l’abito delle mantellate (abito bianco e mantello nero) e chiese solo una stanzetta che diverrà cenacolo di artisti e dotti, religiosi e processionisti, tutta gente istruita. Pur essendo analfabeta, ricevette dal Signore il dono di saper leggere e imparò anche a scrivere, ma usò spesso il metodo della dettatura per i suoi messaggi, coi quali parla a papi, re, donne di casa, regine e ai carcerati. Al termine del carnevale del 1367 compì le mistiche nozze: da Gesù ebbe in dono un anello adorno di rubini. Fra Cristo, il bene amato sopra ogni altro bene, e Caterina si stabilì un rapporto di intimità particolarissimo e di intensa comunione, tanto da arrivare ad uno scambio fisico di cuore. Cristo vive in lei e la sua attività caritatevole era tutta a vantaggio dei poveri, degli ammalati, dei carcerati. E soffrì indicibilmente per il mondo, che era in balia della disgregazione e del peccato: fame, malattia, corruzione, sofferenze, sopraffazioni e ingiustizie erano all’ordine del giorno. (E oggi più che mai l’umanità sta attraversando un periodo buio e tertro peggio d’allora, per cui ci vorrebbe la nascita di un’altra Santa, come Caterina, per aiutarla a venirne fuori dal marasma!) Si recò ad Avignone per una missione di pace, non riuscita, da parte dei fiorentini con Gregorio XI. Ebbe, però, l’effetto di far ritornare il Papa a Roma nel 1377. Si recò, poi, a Roma, chiamata da Papa Urbano VI dopo la ribellione di una parte dei cardinali che diede inizio allo scisma d’Occidente. Ma lì s’ammalò e decedette , a soli trentatre anni. Venne canonizzata nel 1461 da Pio II e nel 1939 Pio XII la dichiarò Patrona d’Italia con San Francesco d’Assisi.
Katarine: ‘a Sande ka mènd’è kkure skutéje
Nda ‘n’èbbeke travagghjate p’u kambà
d’a Cchjìse è dd’u ndére dessute
suciale u Seggnòre scegghjute t’have
p’i mènde è i kure de l’ummene
skutè prùuùkanne kumberzjòne
è rrennùuàminde. K’u vestite janghe
è nu mande nireve addedekate
te sì ke prjèzze è òbbre de karetà
è dde bbéne, tande ka ò’ mennekande
k’a ‘lemòsene t’addummannave
u mande da ngulle te sì lùuàte
è a kuille ce l’haje arrjalate.
D’akkanòssce Ddìje dind’a tè stèsse
è ttè stèsse dind’a Ddìje te sì
sfurzate pe te rènne kumbòrme
a Kriste kruggefisse, tande d’arrevà
a nu skaggne fiseke de kòre
ka i stimmete ngrùuènde haje
pegghjate. A tè, Katarine, mò
vògghje addummannà de ambònne
u penzire mìje è l’alma mìje
k’u ggnòstre d’a ‘Mmòre pekkè pòzze
fà u bbéne, ajutà ki nd’u bbesuggne
stace è ‘a certèzze avè d’angundrà
u ‘Tèrne pe nd’i vrazze suje m’arrepusà!
Caterina: la Santa che scuote menti e cuori
In un’epoca travagliata per la vita
della chiesa e dell’intero tessuto
sociale il Signore ti ha scelto
per le menti e i cuori degli uomini
scuotere provocando conversione
e rinnovamento. Con l’abito bianco
e un mantello nero dedicata
ti sei con letizia alle opere di carità
e di bene, tanto che al mendicante
che ti chiedeva l’elemosina
il mantello di dosso ti sei tolto
e a lui lo hai donato.
Di conoscere Dio in te stessa
e te stessa in Dio ti sei
sforzata per renderti conforme
a Cristo crocifisso, tanto da arrivare
ad uno scambio fisico di cuore
che le stimmate incruente hai
ricevuto. A te, Caterina, ora
voglio chiedere di intingere
il mio pensiero e la mia anima
con l’inchiostro dell’Amore perché possa
fare del bene, aiutare chi nel bisgogno
è e avere la certezza d’incontrare
l’Eterno per riposarmi tra le sue braccia! |
Post n°134 pubblicato il 24 Aprile 2015 da pasquale.zolla
25 Aprile 2015: L’Italia è ancora un Paese libero? Il 25 Aprile di settant’anni fa (1945) il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia proclamò l’insurrezione in tutti i territori occupati ancora dai nazifascisti, dando ordine alle forze partigiane di attaccare i presidi fascisti e tedeschi per imporre la resa; inboltre emanò dei decreti legislativi in cui assumeva il potere in nome del popolo italiano. Stabilì, tra l’altro, la condanna a morte per tutti i gerarchi fascisti. Ciò avveniva qualche giorno prima dell’arrivo delle truppe alleate. Tutta l’Italia settentrionale fu liberata entro il 1° Maggio, cosa che mise fine a venti anni di dittatura fascista ed a cinque anni di guerra. Il 25 Aprile rappresenta simbolicamente il culmine della fase militare della Resistenza e l’avvio effettivo di un governo che porterà al referendum del 2 Giugno 1946 per la scelta fra monarchia e repubblica. Il termine reale della guerra sul territorio italiano si ebbe il 3 Maggio! Su proposta del Presidente del Consiglio Alcide de Gasperi,il principe Umberto, allora luogotenente del regno d’Italia, istituì la festa per il 1946 con un decreto in cui era scritto: “A celebrazione della totale liberazione del territorio italiano, il 25 Aprile 1946 è dichiarato festa nazionale!” Celebrazione che verrà ripetuta anche negli anni successivi e lo è ancora ai giorni nostri, con manifestazioni in tutte le città per ricordare l’evento. 25 Abbrile 25 Abbrile: fèsta nazzjunale! Dind’i kambesande de uèrre è avvecine è munumènde è kadute, nda tuttekuande i pajìse d’Italje appujate vènene kròne de fjure p’arrekurdà tuttekuille k’hanne luttate pe nu Pajése cchjùmmègghje ce dà: nu Pajése sènz’udje è razzisme, ma chjìne de pace è llebbertà a ndò ggnune kujéte putèsse kambà. Ma u saggrefice de tanda ggènde pe nu vvenì dèggne d’èsse kambate ce dà, ògge nd’i fatte rekaggnate nenn’éje è sckitte ke paròle rekurdate véne. Kurruzzjòne è mmalaffare sònn’addevendate i pale de ‘na nòve dettature ka u pòple taljane allupéje. A vuje, ummene, fèmmene, privete è krjature ka u kambà vustre pe nuje avete saggrefekate, ògge u grazzje mìje è dde tuttekuande i uniste cettadine vace, pure si ki guvèrne l’Italje a karte kuarandòtte ce stà purtanne! 25 Aprile 25 Aprile: festa nazionale! Nei cimiteri di guerra e vicino ai monumenti dei caduti, in tutti i paesi d’Italia posate vengono corone di fiori per ricordare tutti coloro che hanno lottato per un Paese migliore donarci: un Paese senza odio e razzismo, ma pieno di pace e libertà dove ognuno sereno potesse vivere. Ma il sacrificio di tante persone per un futuro degno di essere vissuto donarci, oggi nei fatti ricambiato non è e solo con parole ricordato viene. Corruzione e malaffare sono diventati i pilastri di una nuova dittatura che affama il popolo italiano. A voi, uomini, donne, preti e ragazzi che per noi la vostra vita avete sacrificato, oggi il ringraziamento mio e di tutti gli onesti cittadini va, anche se chi governa l’Italia alla rovina ci sta portando!
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Post n°133 pubblicato il 14 Aprile 2015 da pasquale.zolla
Italia: Repubblica delle bustarelle Con la cacciata dei Savoia e l’avvento della Repubblica si pensava che l’Italia sarebbe stato un Paese idilliaco dove tutti avrebbero avuto possibilità di progredire e dal punto di vista sociale che politico ed economico. La Costituzione sanciva un Paese all’avanguardia per salvaguardare diritti e doveri di tutti. Ma i politici non la pensavano così, tanto che cominciarono ad aumentare di numero in modo spropositato inserendosi dappertutto e prendendo a piene mani tutto ciò che capitava loro a tiro. I soldi nelle loro mani si moltiplicavano e Tangentopoli cercò di arginare il fenomeno degli “illeciti” sotto forme di bustarelle e quant’altro. Divenne, l’Italia, la Repubblica delle banane perché si tendeva a mettere in evidenza solo capacità di corrutela che, con la seconda Repubblica, sarebbe dovuta sparire. Invece leggi ad personam, privilegi, gettoni di presenza, società fasulle continuavano ad ardere sotto la cenere e, ogni qualvolta un politico (o un suo luogotenente) veniva preso con le mani nel sacco, le lamentele contro giudici “comunisti” si elevavano al cielo per proclamare la loro innocenza. Anzi quando non si poteva negare il maltolto agli onesti cittadini, si attaccavano a leggi, fatte da loro stessi per se stessi, che prevedevano “privilegi e gettoni”, clientelismo, nepotismo e intrallazzi, pur riscaldando le panche in Enti, Province, Comuni, Regioni e Parlamento dove ogni mese la paga era (ed è!) dieci volte di più di quella di un lavoratore. Oggi, non so se siamo giunti alla terza o alla quarta Repubblica, la corrutela dei politici e di quanti ruotano attorno ad essi è arrivata a tal punto che possiamo definire la nostra Italia la Repubblica più corrotta che esista al mondo. E intanto i giudici che per anni trovano prove del mal fatto, in Cassazione le sentenze di condanna vengono quasi sempre mutate in assoluzioni, soprattutto per quanto concerne i politici. E allora c’è da chiedersi: perché in Italia la classe dirigente non controlla, onde non dare adito alla dilagante corruzione sia in alto (capi) che in basso (luogotenenti, aiutanti e lacché) che continua ad impervesare in lungo e in largo per il Paese? Intanto le condanne per concussione, grazie alle leggi ad personam, sono andate sempre più diminuendo anche per la decorrenza dei termini imposti nei processi. Oggi il governo intende far ruotare i burocrati onde non costruirsi feudi, tenendoli non più di sei anni negli incarichi assegnati. È una proposta assai discutibile perché non viene assicurata la tutela degli interessi dello Stato. E non si assicura nemmeno che non si rubi, perché chi lo fa non viene mai emarginato, ma premiato, spostandolo verso altri lidi. In una società ben ordinata i corrotti non dovrebbero andare molto al di là della qualifica di “impiegati d’ordine”; invece nella nostra società, che non è una società, arrivano ai vertici e ci stanno fin che il contesto stesso che li ha prodotti non decade. Forse ha ragione Roberto Benigni quando, nel commentare il Settimo Comandamento in tv, ha detto: “Dio ci ha fatto un trattamento di favore, perché ha scritto questo comandamento proprio per noi italiani; è una norma ad personam, anzi pare lo abbia scritto direttamente in italiano. È quello al quale si obbedisce di meno! In Italia lo capiscono anche i bambini, ma forse solo quelli. Oggi essere ladri non fa più nessun effetto, eppure vendere la propria anima è il punto più basso della storia dell’umanità!” Un poeta, di cui mi sfugge il nome, ha scritto: “Nei tempi antichi, barbari e feroci,/ i ladri s’appendevano alle croci:/ ma nei presenti tempi più leggiadri,/ s’appendono le croci in petto ai ladri!” Verità sacrosante! L’unico a pagare è e sarà sempre l’onesto cittadino!
Sèmbe pure d’òggnè pekkate sònne
“Ne nge stace attenzjune ka kuanne
lópe se téne; ne nge stace uardjane
attinde si ne ndòrme; ne nge stace
kujéte sènza pavure; ne nge stace
féde sènza mbedeltà!” Ȯgge cchjù ka
maje tale mude de dì, n’Italje, éje
assaje de móde sòpattutte ngambe
puliteke a ndò u kljèndelisme,
neputisme, ndrallazz’è ppettegulèzze
kunzederate vènene mudèlle
necessarje de kumburtaminde
murale. Ȯre ka lubbrefekéje,
tangènde, uljature de ngranagge,
vallòppe è prevelègge paròle
sònne d’òrdene de ummene k’i mane
mbaste è ppuletekande ka, grazzje
a lègge appruprjate è dda lóre
apprùuàte, sèmbe arresultèjene
libbere d’òggnè pekkate. Appure
sapènne ka ki kerròmbe éje
‘na perzòna lòrde pekkè vennènne
‘a pròbbeta alme u punde cchjù vassce
d’a stòrje d’a umanetà ‘rraggiungéje,
u pitte dind’a cchjìse, ‘a dumèneke
è nd’i fèste kumannate, a vatte se và:
“Mea culpa!... Mea culpa!... Mea culpa!”
Sono sempre mondi da ogni peccato
“Non c’è attenzione che quando
si ha fame; non c’è guardiano
attento se non dorme; non c’è
tranquillità senza paura; non c’è
fede senza infedeltà!*” Oggi più che
mai tale affermazione, in Italia, è
attualissima soprattutto nel campo
politico dove clientelismo,
nepotismo, intrallazzi e pettegolezzi
vengono considerati modelli
intrinseci di comportamento
morale. Oro che lubrifica,
tangenti, unzione di ingranaggi,
bustarelle e privilegi parole
d’ordine sono di uomini d’affari
e politici che, grazie
a leggi appropriate e da loro stessi
approvate, risultano sempre
mondi da ogni peccato. Anche
sapendo che il corrotto è
una persona sporca perché vendendo
la propria anima il punto più basso
della storia dell’umanità raggiunge,
il petto in chiesa, la domenica
e nelle feste comandate, si va a battere:
“Mia colpa!... Mia colpa!... Mia colpa!”
*François Villon
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Post n°132 pubblicato il 03 Aprile 2015 da pasquale.zolla
Pasqua La Pasqua del Signore inaugura il tempo della nostra salvezza, di una grazia che chiede solo di essere accolta per poter trasformare le nostre esistenze. Cristo ci ha salvati, ci ha redenti! Oggi, purtroppo, la tentazione di non vivere da risorti è grande perché sopraffatti dalle preoccupazioni del mondo: sofferenze ingiustamente subite, contraddizioni laceranti che sperimentiamo nella nostra vita, la possibilità stessa che i nostri desideri possano non adempiersi. Realtà che spesso sfociano nell’ira, nell’odio e nella violenza. La resurrezione di Gesù rischiara queste miserie umane. Papa Francesco, qualche tempo fa, ha detto: «Gesù non è morto, è risorto, è vivente! Non è semplicemente tornato in vita, ma è la vita stessa, perché è il Figlio di Dio. Gesù non è più nel passato, ma vive nel presente, è l’oggi di Dio. Cammina davanti a noi, ci precede e ci apre la via. Egli non è venuto ad insegnare una filosofia, un’ideologia, ma una via, una strada da percorrere con Lui per irradiare nel mondo il Suo Amore!» Apriamoci, pertanto, alla gioia vera, a quella gioia del Vangelo che ci aiuta a dare il giusto peso delle cose del mondo. La Pasqua ci dona la pace che si costruisce attraverso le relazioni umane nell’impegno del quotidiano vivendo il proprio essere in Cristo, mettendosi a servizio dell’uomo che vive in situazione di marginalità, povertà e bisogno. Bisogna soffrire come ci ha insegnato San Francesco Antonio Fasani e San Pio, vicino alla Croce di Gesù, poiché distante da essa è impossibile. L’incontro con Cristo non deve essere demandato solo ai tempi ultimi e finali della nostra esistenza, ma avviene qui e ora, nelle nostre vicende terrene e nel nostro servizio.
Paskuele: certèzze de speranze U kóre de l’òme tén’i ritteme d’a nasscete è dd’a mòrte, d’a prjèzze è dd’u celizzje, d’u ghèsse è dd’u avè, d’u ‘mmanènde è dd’u trasscennènde, d’u fernute è dd’u mbenite. ‘A lòtte kutedjane tra u bbéne è u male éje, tra mòrte è kkambbà. A’ fine éje sckitte u kambà ka vènge ‘a mòrte nd’a paradussale partite nda ndò vènge ki mòre, pekkè nen mòre ma arresurgéje. Ma ò’ kóre de l’òme nenn’avastene sckitte prèreke, umelìje, leturgìje, necessarje a ‘ppreparà u spirde sóp’a strate d’u sebbuleke a ndò i fèmmene akkurrute chjamene a uardà u merakule. Akkòrre pure ‘na mane de karne, ka u pigghje ke ghèsse è u pórte nda nu kóre cchjùgranne, nu kóre mbenite de meserekòrdje, d’ammóre: u kóre de Ddìje. Paskuele! Mò u timbbe éje p’arruciulà vìj‘a préte d’u sebbuleke p’arretrùuà i bbellizze d’a purèzze, ‘a certèzze d’a speranze è n’Ammóre mbenite ka ce face speremendà ‘a resurrezzjòne d’a karne ka ce pórte a n’atu kambà, a n’atu kóre: kuille d’u Patatèrne è dde Ggesekriste.
Pasqua: certezza di speranza Il cuore dell’uomo tiene i ritmi della nascita e della morte, della gioia e del dolore, dell’essere e dell’avere, dell’immanente e del trascendente, del finito e dell’infinito. La lotta quotidiana è tra bene e male, tra morte e vita. Alla fine è solo la vita che vince la morte nella paradossale partita in cui vince chi muore, perché non muore ma risorge. Ma al cuore dell’uomo non bastano solo prediche, omelie, liturgie, necessarie a preparare lo spirito sulla via del sepolcro dove le donne accorse chiamano a guardare il miracolo. Occorre anche una mano di carne, che lo prende con sé e lo porta in un cuore più grande, un infinito cuore di misericordia, di amore: il cuore di Dio. Pasqua! Ora è il tempo per rotolare via la pietra del sepolcro per ritrovare la bellezza della purezza, la certezza della speranza e un Amore infinito che ci faccia sperimentare la resurrezione della carne che ci porta a un’altra vita, a un altro cuore: quello di Dio e di Gesù Cristo.
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Inviato da: cassetta2
il 14/02/2024 alle 18:49
Inviato da: pasquale.zolla
il 25/11/2023 alle 12:53
Inviato da: cassetta2
il 19/11/2023 alle 17:05
Inviato da: pasquale.zolla
il 17/10/2023 alle 18:41
Inviato da: amorino11
il 25/07/2023 alle 19:11