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Messaggi di Febbraio 2022

Ucraina: una barbara invasione russa con false argomentazioni

Post n°403 pubblicato il 28 Febbraio 2022 da pasquale.zolla
Foto di pasquale.zolla

La guerra porta con sé solo povertà e dolore

Il novello zar del Cremlino anziché cercare un dialogo con la parte avversa, che ha tutto il diritto di autogovernarsi e prendere decisioni comuni con i propri cittadini, ha fatto prevaricare  la violenza e l’ingiustizia al dialogo e al confronto, portando così distruzione, morte e povertà ai russi e agli ucraini coinvolti in questa folle guerra. Tanto questa guerra da lui scatenata, lui non la combatte.

Sigmund Freud a proposito della guerra ha scritto: Lo Stato in guerra si permette tutte le ingiustizie, tutte le violenze, la più piccola delle quali basterebbe a disonorare l’individuo. Esso ha fatto ricorso, nei confronti del nemico, non solo a quel tanto di astuzia permessa, ma anche alla menzogna cosciente e voluta, e questo in una misura che va al di là di tutto ciò che si era visto nelle guerre precedenti. Lo Stato impone ai cittadini il massimo di obbedienza e di sacrificio, ma li tratta da sottomessi, nascondendo loro la verità e sottomettendo tutte le comunicazioni e tutti i modi di espressione delle opinioni ad una censura che rende la gente, già intellettualmente depressa, incapace di resistere ad una situazione sfavorevole o ad una cattiva notizia. Si distacca da tutti i trattati e da tutte le convenzioni che lo legano agli altri Stati, ammette senza timore la propria rapacità e la propria sete di potenza, che l’individuo è costretto ad approvare e a sanzionare per patriottismo.

E Mao Tse Tung, a sua volta, riteneva che la politica è guerra senza spargimento di sangue e la guerra è politica con spargimento di sangue.

Eventualmente chi ha scatenato questo massacro di tanti innocenti non ha avuto il sentore di quanto detto da Freud e Mao!

 


‘A uèrre jènere sckitte destruzjune è mòrte

Nda Ukrajìne è state inarrevate

‘na uèrre usanne ‘a fòrze d’i arme nò

p’arrestaurà deritte, ma p’addefenì

putére. U use d’a fòrze éje ‘na

suluzjòne pòvrassaje pe kuarzìjeze

prubléme è véne aduprate sckitte

d’è krjature è d’è granne nazjune.

‘A uèrre jeneréje uèrre, nennarresòrve

ninde è ‘a vènge katasrufeke éje

kuande ‘a pèrde, pekkè a ‘a pavà

sarranne sèmbe cettadine ndefise.

Éje stata akkumengiate ke kaville

ngunzestènde è annande purtate ke

faveze justefekazjune. Kuanne

véne dechjarate ‘na uèrre, u prime

murte éje ‘a Veretà. ‘A uèrre éje

u ‘ccidje de gènde ka nzakkanòscene,

pekkunde de gènde ka s’akkanòscene

ma ne nzaccidene. Èsse separéje

è strude famighje è kumbagne; uaste

i prjèzze chjù chjare è ‘a kundendèzze

ka Dìje ce have kungedute nda stu

munne; jènghe i kure d’i kummattènde

de rangure ‘mméce kè d’a ‘mmòre è ruìne

‘a facce d’u terretòrje. Kuanne sta uèrre

fernarrà, lassarrà ‘a Russje è ‘a Ukrajìne

ke trè ‘sèrcete: vune de zuppe, vune

de gènde ndu lutte è vune de marjule.

La guerra genera solo distruzioni e morte

In Ucraina è stata inalberata

una guerra usando la forza delle armi non

per restaurare diritti, ma per ridefinire

poteri. L’uso della forza è una

soluzione poverissima per qualsiasi

problema e viene utilizzata solo

dai bambini e dalle grandi nazioni.

La guerra genera guerra, non risolve

niente e vincerla è disastroso

quanto perderla, perché a pagarla

saranno sempre civili inermi.

È stata iniziata con pretesti

futili e portata avanti con

false giustificazioni. Quando

viene dichiarata una guerra, la prima

vittima è la Verità. La guerra è

il massacro di persone che non si conoscono,

per conto di persone che si conoscono

ma non si massacrano. Essa separa

e distrugge famiglie e amici; guasta

le gioie più pure e la felicità

che Dio ci ha concesso in questo

mondo; riempie i cuori dei combattenti

di odio invece che dell’amore e devasta

il volto del territorio. Quando questa guerra

terminerà, lascerà la Russia e l’Ucraina

con tre eserciti: uno di storpi, uno

di persone in lutto e uno di ladri.

 
 
 

Un carnevale poco carnevale

Post n°402 pubblicato il 15 Febbraio 2022 da pasquale.zolla

 

PERCHÉ SI FESTEGGIA IL CARNEVALE   

Il Carnevale ha come scopo principale quello di sciogliere temporaneamente un gruppo sociale dagli obblighi che lo incatenano al proprio ruolo. Nelle dionisiache greche lo schiavo diventa padrone e viceversa, i prigionieri vengono liberati, si cessa temporaneamente il lavoro. Il caso, insomma, prende il posto dell'ordine, fino a che, con la chiusura dei festeggiamenti, la Cosmogonia non viene ripristinata, e l'ordine torna nella società fino al ciclo successivo.

Ed ecco la funzione della maschera, tanto più tipica nei Saturnalia decembrini dell'Antica Roma: la maschera cela l'identità di schiavi e prigionieri, anche e soprattutto nei banchetti, grassi e licenziosi. Ma c'è anche un altro ruolo attribuito alla maschera: quella di "volto" per le presenze infere che abitano il regno dei vivi in questo mondo rovesciato. La funzione della maschera è apotropaica: allontana il male prestandole un corpo in cui vivere temporaneamente, in modo che con l'arrivo della primavera e la rinascita della terra gli spiriti liberati dai festeggiamenti tornino in quiete fino all'anno successivo.

A Lucera, ai tempi della mia fanciullezza e gioventù, il posto in cui si scatenava di più il Carnevale era Piazza Duomo e per la maggior parte dei ragazzi i vestiti indossati erano quelli delle sorelle e viceversa, con maschere di cartone fatte in proprio o comprate con pochi soldi.

Si andava su e giù per la piazza facendo il più possibile schiamazzo e buttando coriandoli, a volte fatti con pezzi di carta. La festa terminava con la cuccagna e il pupazzo raffigurante Carnevale bruciato e, a mezzanotte, iniziava il Mercoledì delle Ceneri con bambole vestite di nero (Kuarandane), che si appendevano agli angoli delle strade vicino ai lampioni della luce,  con  ai piedi un’arancia e 5 penne di galline, per ricordare il periodo della Quaresima, che venivano tolte ogni dieci giorni.


Vune, nesciune è chjù de vune

L’òme pòrte pe anne ‘a faccia suje

ngape appezzekate è ‘a muréja suje

è pite arrepezzate è jammaje

arrjèsce a kapì kuale d’i dòje

téne u piseme decchjù. Kakkèvvóte

assapuréje u mbulze ngundrullabele

de i stukkà è i mbènne a nu chjuve

è arrumanè allà ndèrre assettate

kum’a nu pupazze de stajèlle a kuje

‘na mane pjetòse u file have tagghjate.

Pènze a kuanda mumènde d’i jurnate

suje isse è state isse, sckitte isse,

vune ò fòrze nesciune ò chjù de vune.

Pe kuande avéve repetute ‘na masckere,

nu jèste mbuste da nu derettòre

ka nze vedéve è ka ne nganuscéve.

Vèrz’a fine d’a vite, pròbete kume

succéde vèrz’a fine de nu balle

masckuarate, kuanne tuttekuande

se lèvene ‘a masckere, fenarmènde

s’arrjèsce a vedè ki èvene p’alluvére

kuille k’i kuale ngundatte s’éve

venute lunghe u jì suje sóp’a tèrre.

 

Uno, nessuno e più di uno

L’uomo porta per anni la sua faccia

appiccicata alla testa e la sua ombra

cucita ai piedi e giammai

riesce a capire quale delle due

pesa di più. Qualche volta

prova l’impulso irrefrenabile

di staccarle e appenderle a un chiodo

e restare lì seduto per terra

come un burattino a cui

una mano pietosa il filo ha tagliato.

Pensa a quanti minuti delle giornate

sue lui è stato lui, solo lui,

uno o forse nessuno o più di uno.

Per quanti aveva replicato una maschera,

un gesto imposto da un regista

che non si vedeva e che ignorava.

Verso la fine della vita, proprio come

avviene verso la fine di un ballo

mascherato, quando tutti

si tolgono la maschera, finalmente

si riesce a vedere veramente chi erano

quelli coi quali si era in contatto

venuto durante il suo viaggio terreno.

 


 

 

 
 
 

Per San Valentino

Post n°401 pubblicato il 13 Febbraio 2022 da pasquale.zolla
Foto di pasquale.zolla

 

Quando e come nacque la festa degli innamorati  

Si racconta che il 14 febbraio dell’anno 496, giorno di san Valentino, papa Gelasio avesse celebrato una messa per tutte le coppie di fidanzati di Roma che si sarebbero sposate entro l’anno.

Al termine della messa gli innamorati avevano sfilato di fronte al papa che aveva benedetto la loro unione donando ad ogni coppia una rosa rossa, ripetendo così il gesto compiuto da Valentino 250 anni prima e dando origine alla festa degli innamorati.

Si racconta, appunto. Ma non è vero: perché in realtà quella dell’istituzione della festa di San Valentino non è altro che una leggenda nella leggenda.

La cerimonia descritta dalla leggenda, detta festa dalla promessa, nella realtà è stata introdotta dai frati carmelitani a cavallo tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta del XX secolo nella basilica ternana. Luogo dove ogni anno il vescovo di Terni celebra una messa per le coppie di fidanzati che si sposeranno entro l’anno.

La cerimonia è approdata in Vaticano solo il 14 febbraio 2014, quando il presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia Vincenzo Paglia, ex vescovo di Terni, ha organizzato in Piazza San Pietro l’incontro dei fidanzati con papa Francesco.

La festa di san Valentino non è mai stata – e non lo è nemmeno oggi – una solennità della Chiesa, tanto che in quell’occasione lo stesso papa Francesco aveva ammesso privatamente di non sapere chi fosse san Valentino e di aver sempre associato il giorno degli innamorati ad una ricorrenza squisitamente consumistica.

Il primo ad associare il giorno di san Valentino con l’amore romantico viene considerato Geoffry Chaucer nel Parlamento degli uccelli, dove afferma che Riccardo II d’Inghilterra lo aveva scelto per sancire il fidanzamento con Anna di Boemia. In realtà, però, i due si sono fidanzati il 2 maggio, giorno in cui la Chiesa celebra un altro san Valentino: il primo vescovo di Genova, martirizzato nel 325. In compenso il 14 febbraio 1400 a Parigi sarebbe stato fondato “L’alto tribunale dell’Amore” istituzione ispirata ai principi dell’amor cortese, mentre al 1415 risale il primo “valentino” della storia: a scriverlo Carlo d’Orléans, detenuto nella Torre di Londra dopo la sconfitta nella battaglia di Agincourt, che si rivolse a sua moglie con le parole: “Je suis desja d’amour tanné, ma tres doulce Valentinée….”.Anche in questo caso, però, si tratterebbe semplicemente del nome della donna, senza reali riferimenti al Patrono dell’Amore.

 

Tu è ìje

Prime de te ngundrà ‘na vite kambave

ka nenn’éve ‘a mìje, skumbeghjate

nd’a kutedjanetà è nd’i ngertèzze mìje,

kunuscènnete nasce fatte haje nd’u kòre

mìje u arkuvaléne è ìje mbarate agghje

a kambà ‘a vite, è i ngertèzze mìje

se sònne sperdute. Tu è ìje, sènza chjù

tu nè ìje, aunute ce sime nvesebilje,

lite è kundènde, è libere d’i ‘nutele

paróle; tu è ìje aunute d’ò chjù fórte,

d’ò chjù kare avvrazze, è kumughjate

de ‘na tòste kurazze, rerute avime

a tuttekuande sènza manghe ‘na pavure.

Ne nge sime prukkupate de kuille

 ka u destine pe nuje decise avéve;

kammenate avime anzime mane

nd’a mane, ke l’alme de krjature

de kuille ka béne se vònne ‘mmanére 

skitte. U ammòre ka dinde purtavame

have avute nu putére mbenite

ngrade de suprà i kumbine d’u kambà

è date ce have ‘a pussebeletà d’amà

sènza timbe. A tè, Ammòre mìje,   

pe l’allerìje, i rerute, i lagreme

è i rekurde k’avime kunnevise dind’i anne,

è pe avè attraverzate pure i nòtte chjù skurde

ka se jenghèvene de brellòkke d’u cile

k’i kurje nustre k’abballavene kungòrde

è i musse nustre ka se avveveravene

reciprukamènde, bune sande Valendine.

Te vòghje béne ògnè jurne de chjù!

 

 

 

Tu e io

Prima d’incontrarti vivevo una vita

che non era la mia, ingarbugliata

nella quotidianità e nelle mie incertezze,

conoscendoti hai fatto nascere nel cuore

mio l’arcobaleno e io ho imparato

a vivere la vita, e le mie incertezze

si sono dissolte. Tu e io, senza più

tu né io, ci siamo uniti nell’estasi,

lieti e felici, e liberi dalle vane

parole; tu e io uniti dal più forte,

dal più caro legame, e ricoperti

di una dura corazza, abbiamo sorriso

a tutti senza paura alcuna.

Non ci siamo preoccupati di quello

che il destino per noi aveva stabilito;

abbiamo camminato insieme mano

nella mano, con l’anima infantile

di quelli che si amano in modo

puro. L’amore che dentro portavamo

ha avuto un potere infinito

in grado di superare i confini della vita

e ci ha dato la possibilità di amare

senza tempo. A te, Amore mio,  

per l’allegria, i sorrisi, le lacrime,

e i ricordi che abbiamo condiviso negli anni,

e per aver attraversato anche le notti più buie

che si riempivano di stelle

con i nostri corpi che danzavano all’unisono

e le nostre labbra che si dissetavano

scambievolmente, buon san Valentino.

Ti amo ogni giorno  di più!

 

 


 

 

 
 
 

Festività della Madonna di Lourdes

Post n°400 pubblicato il 11 Febbraio 2022 da pasquale.zolla
Foto di pasquale.zolla

Festa della Madonna di Lourdes (11/2/22)

Tra l’11 febbraio e il 16 luglio 1858, la giovane Bernardette Soubirous, quattordicenne del luogo, disse di aver assistito a diciotto apparizioni di una bella signora in una grotta poco distante dal piccolo sobborgo di Massabielle.

Nel parlare della prima apparizione la giovanetta affermò: - Io scorsi una signora vestita di bianco. Indossava un abito bianco, un velo bianco, una cintura blu e una rosa gialla sui piedi.

Nel luogo delle apparizioni, indicato da Bernardette, fu posta nel 1864 una statua della Madonna e, nel tempo, intorno alla grotta delle apparizioni si è sviluppato un imponente santuario, meta di milioni di pellegrini.


Marìje, mamme de speranze è de feduce

‘Mmakulate Marìje, Tu ka nd’u fridde

è nd’u skurde d’u virne sendì fatte haje

u kavete d’a presènza  tuje, d’a lustra

tuje è d’i bellizze tuje a na krjature,

apparènne nda nu spakke de nu macigne,

ògge nuje grazjune te facime

k’a jenuenetà d’a krjature Velardètte

affenghè nd’i ferìte e nd’a skurdetà

d’u kambà nustre, nd’i frazjunaminde

d’u munne andò u male putènde éje,

Tu purte speranze è feduce  arrjalljaje.

Vèrgene Sandisseme, Tu ka saje uarì

ne nzule i mbermetà d’i alme d’u kurje,

ma appure kuèlle d’u spirde, liberece

i alme da ògnè pekkate, pe putè  èsse

sèmbe digne d’a ‘mecizje è d’a grazje

d’u Fighje tuje Gesù è akkurdece pure

de kunzeguì ‘a salute grurifeke ‘mmude

d’arrajjunge ke tè ‘a prjèzze è ‘a lustre d’u cile!

Maria, mamma di speranza e di fiducia

Vergine Maria, Tu che nel freddo

e nel buio dell’inverno hai fatto sentire

il calore della tua presenza, della luce

tua e della tua bellezza ad una fanciulla,

apparendo nella fenditura di una roccia,

oggi noi ti preghiamo

con la semplicità della ragazza Bernardette

affinché nelle ferite e nell’oscurità

delle nostre vite, nelle divisioni

del mondo dove il male è potente,

Tu porti speranza e ridoni fiducia.

Vergine Santissima, Tu che sai sanare

non solo le infermità delle anime corporali,

ma anche quelle dello spirito,

liberaci l’anima da ogni colpa,

per poter essere sempre degni dell’amicizia e della grazia

del Figlio tuo Gesù e concedici anche

di conseguire la salute glorifica in modo

da raggiungere con te la gioia e la luce del cielo!

 
 
 

Ricordando le foibe

Post n°399 pubblicato il 09 Febbraio 2022 da pasquale.zolla
Foto di pasquale.zolla

Ricordando le foibe 

Le foibe sono grandi caverne verticali tipiche della regione carsica del Friuli Venezia Giulia e dell’Istria. Con il passare del tempo il termine è diventato un modo per descrivere i massacri ai danni degli italiani che si verificarono tra il concludersi della seconda guerra mondiale e l’immediato dopoguerra (1943/47), per mano dei partigiani jugoslavi.

Quella degli eccidi delle foibe è una storia di connotati tragici, a lungo rimasta nel silenzio. Per commerare le vittime dei massacri delle foibe, nel 2005 è stato istituito il Giorno del Ricordo, giornata commemorativa che si celebra ogni anno il 10 febbraio.


Rekurdanne i fòjebe

‘A cike vjulènze kòndre i taljane

nda l’Istrje akkumenzate nd’u ‘vetunne

d’u millenóvecindekuarandatrè i kundurne

nireve peghjajene de ‘na puliteke razzjale.

Umene, fèmmene, vicchje è krjature,

nda nu mute d’òdje è de ragge sanghenarje,

k’i puze attakkate ke nu file de firre

spenate, jettate venìjene nd’i gnutteture

d’i fòjebe kume a ròbbe ka se vuléve

da mizze luà, alluà pessèmbe dannanze

è ucchje è ammakare appure d’a mammòrje.

Kennute venèvene sóp’ò cighje de kuilli

puzze affunnassaje ke ngulle sckitte

i kavezune è è pite i kavezètte. Venèvene

sparate ò jettate angòre vive nda kuilli

buke andò stéve nu sulènzje funèrje.

Nu macèlle  sènza manhe ‘na rèvele éve,

stremminje, karnefecine, cedetòrje,

jenucidje, brutale vennètte, scèmbje

è rappresaghje akkumughjate da anne

de sulènzje pe puliteke desunurèvele.

Da kuilli fòjebe ògge fóre vènene

vuce pe kuilli atruce macèlle kunnannà.

 

Ricordando le foibe

La cieca violenza contro gli italiani

in Istria cominciata nell’autunno

del 1943 i contorni

sinistri assunsero di una politica etnica.

Uomini, donne, vecchi e bambini,

in un modo di odio e di furia sanguinaria,

con i polsi legati con un filo di ferro

spinato, vennero buttati negli inghiottitoi

delle foibe come roba che si voleva

eliminare, togliere per sempre

dalla vista e magari anche dalla memoria.

Condotti venivano sull’orlo di quelle

voragini con indosso solo

i pantaloni e ai piedi le calze. Venivano

sparati o buttati ancora vivi in quelle

cavità dove regnava un silenzio funereo.

Un massacro era senza limiti,

sterminio, carneficina, eccidio,

genocidio, inumani vendette, stragi

e rappresaglie coperti da anni

di silenzio per politiche infami.

Da quelle foibe oggi vengono fuori

voci per condannare  quegli atroci eccidi.

 


 

 

 

 
 
 
 

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