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L’opera lirica è un posto dove

 un uomo viene pugnalato ed,

 invece di morire, canta.

 

 

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giuseppe verdi-quarta parte

Post n°105 pubblicato il 03 Febbraio 2010 da peonia99

Durante la vita di Verdi, che abbraccia poco meno di un secolo, l’Italia si trasformò, da paese sotto il dominio straniero a quello di uno stato unificato indipendente, desideroso di far parte delle grandi potenze europee. Verdi si sentì sempre partecipe di questo processo e mai si rinchiuse in un’arte d’élite, distante dai problemi della realtà della sua epoca. Al compositore sorgeva la necessità di intraprendere un dialogo con il presente e con l’attualità storica. Scrissero di lui: “Diede una voce alla speranza e ai lutti. Pianse e amò per tutti”. La sua arte si può considerare popolare, nel significato più alto della parola, nella misura in cui si parla al fruitore in un linguaggio che egli può comprendere immediatamente. Un linguaggio che, spesso, si presenta sotto forma di dramma, in perfetta sintonia con i grandi ideali del momento. Il Risorgimento, con le sue lotte per l’unificazione d’Italia, non poteva essere per il compositore indifferente; infatti va considerato come l’humus dove s’immergono le radici del Nabucco, dei Lombardi, di Attila e di Macbeth, ovvero di quelle pagine corali dove Verdi esprime il suo sincero amore patriottico e il suo dolore per un popolo oppresso e soggiogato. D’altra parte venne presto avvicinato dagli intellettuali lombardi più importanti in quel momento, che mai nascosero i loro sentimenti antiaustriaci. Questo non vuol dire che Verdi abbia partecipato attivamente alla vita politica, anche se aveva idee fortemente repubblicane; solo dopo l’incontro con il Cavour venne indotto ad aderire al progetto di unificazione d’Italia sotto la guida dei re della casa dei Savoia.
L’unico momento in cui Verdi manifesta senza indugi i suoi ideali patriottici è nel 1848, quando la libertà dell’Italia sembra essere molto vicina.
Sono indicative le parole che scrive al suo amico Piave il 21 aprile 1848 “L’ora della liberazione è arrivata, capacitatene.

E’ il popolo che la desidera; e quando il popolo la vuole, non vi è nessun potere assoluto che può opporre resistenza! Potranno impedire con tutto quello che possono, coloro che credono che sia necessaria la forza, però non riusciranno più a privare il popolo dei propri diritti. Sì, in pochi anni, forse mesi, l’Italia sarà libera, sarà una Repubblica”. In questo clima il compositore accetta l’invito di Mazzini, che conoscerà a Londra nel 1847, a comporre un inno con i versi di Goffredo Mameli, “Suona la tromba”. In seguito scrive un’opera con un messaggio politico evidente, “La battaglia di Legnano”, dove l’espulsione di Federico Barbarossa simboleggia la cacciata, da parte degli italiani, degli stranieri dal paese. Quando però i movimenti rivoluzionari del 1848 sfociano in un bagno di sangue , Verdi si allontanerà dalla linea di battaglia e tornerà ad essere, prima di tutto, un compositore che continua a sperare in privato nella libertà nazionale.
Il suo nome rimane comunque vincolato agli ideali del Risorgimento, trasformandosi in un acrostico rivoluzionario che venne dipinto, per la prima volta, sulle mura di Roma, all’epoca del “Un ballo in maschera”. L’idea si diffonderà rapidamente per tutto il paese, che era sottoposto ad un clima di controllo politico molto duro e asfissiante.

viva VERDI

Viva V.E.R.D.I.
(C. Gatti , Verdi nelle immagini, Milano, Garzanti, 1941)

Il graffito “Viva Verdi”, dall’aspetto così innocuo, alludeva in realtà, a un’aspirazione che con gli anni stava diventando sempre più popolare e condivisa: “Viva V[ittorio] E[manuele] R[e] DI[talia]”, ovvero, Viva Vittorio Emanuele re d’Italia! Lo stesso Verdi finisce per aderire a questo progetto quando capisce che l’unità del paese si poteva concretizzare non attraverso l’insurrezione popolare e l’utopia repubblicana di Mazzini, ma esclusivamente mediante il paziente lavoro diplomatico, che si andava realizzando in nome della casa dei Savoia, la quale aveva la possibilità di ottenere l’appoggio delle cancellerie dei paesi più importanti d’Europa.
Tuttavia, le alchimie politiche sono estranee alla personalità di Verdi, come si deduce dal fatto che, quando si concretizza l’unità d’Italia, il musicista entra in Parlamento soltanto per cinque anni, dal 1861 al 1865. Successivamente, lascia da parte questa attività con la convinzione di essere più utile al suo paese come artista che come deputato. Il suo impegno politico, dopo l’unità, si trasforma in un fermo richiamo agli ideali di pace e di fraternità, a un livello superiore, distante da ogni compromesso e dalle strategie machiavelliche dei partiti politici.

 
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giuseppe verdi-terza parte

Post n°104 pubblicato il 03 Febbraio 2010 da peonia99

Gli anni che vanno dal 1843 al 1850 sono un periodo di lavoro incessante ed esasperante, durante il quale Verdi firma il contratto di ogni nuova opera ancor prima di terminare la precedente. Questa concatenazione di impegni, se da una parte gli consente di consolidarsi sempre di più sui palcoscenici italiani e internazionali, dall’altra ha come contropartita quella di ridurre considerevolmente le sue possibilità di dedicarsi seriamente e tranquillamente alla composizione. Durante questo periodo, che proprio il Verdi definisce come i suoi “anni di galera”, perché si sente condannato ai lavori forzati, davvero sfinenti, periodo aggravato inoltre dai suoi gravi problemi di salute (un giornale tedesco annuncia persino la sua morte), dà vita a dodici nuove opere. La prima della serie, “I Lombardi alla prima crociata”, su libretto di Temistocle Solera, che si basa sul poema omonimo in ottave di Tommaso Grossi, ripete la formula vincente del “Nabucco”. Inoltre, con “I Lombardi”, che fu molto apprezzata dal pubblico, si concludono gli impegni contrattuali di Verdi con l’impresario Merelli e con La Scala.
Adesso Verdi ha la libertà di scegliere tra le proposte che gli giungono dai diversi teatri italiani. Decide così di accettare l’offerta del Teatro La Fenice di Venezia, per il quale scrive “Ernani”, ricostruzione del dramma omonimo di Victor Hugo. E’ la prima volta che Verdi si avvicina
alle tematiche del teatro romantico europeo, lasciando da parte le storie che hanno come protagonisti i popoli interi, per concentrarsi sui conflitti individuali. D’altra parte, “Ernani” segna l’inizio della collaborazione di Verdi con chi sarebbe stato il più fedele e docile dei suoi librettisti, Francesco Maria Piave, il quale era stato scritturato poco prima dal Teatro La Fenice come poeta. Malgrado il lavoro mediocre dei cantanti, che erano stati comunque selezionati tra i migliori dell’epoca, l’opera, che debutta il 9 marzo 1844, ottiene una buona risposta dal pubblico e con il passare del tempo si trasforma in un vero successo.

R. Focosi
Vestito da guerrieri – figurino per Macbeth
Litografia pubblicata sulla “Gazzetta musicale” di Milano, 1847
Parma - Istituto nazionale di studi verdiani.

The Corsar

George Gordon Lord Byron
(1788 – 1842)
Autore di “The Corsar” opera alla quale si ispirò Verdi per il soggetto della sua opera
Parma – Istituto nazionale di studi verdiani

Verdi assiste a tutte le prove e suggerisce ai cantanti di prestare somma attenzione alla recitazione, per servire “meglio il poeta che il maestro”. Questo particolare delinea magistralmente un’altra delle tipiche caratteristiche verdiane; il maestro si occupa personalmente di tutti gli aspetti della creazione dell’opera, non soltanto della parte musicale, ma anche di quella drammaturgica e visiva. Ciò fa di Verdi innanzitutto un uomo di teatro, così come lui stesso si definiva di solito: un uomo a cui interessa, soprattutto, la relazione intima che nasce tra la parola e la musica. La novità di questa impostazione si avverte nel Teatro La Pergola di Firenze, dove “Macbeth” debutta il 14 marzo del 1847 ottenendo uno strepitoso successo.
Nel 1847 avviene il prudente debutto di Verdi all’estero. Il 22 luglio si rappresenta nel Her Majestys’ Theatre di Londra, “I Masnadieri”, su libretto di Maffei, ispirato a Shiller. Sebbene al debutto assista la regina Vittoria, la risposta del pubblico fu deludente. Il 26 novembre l’Opéra di Parigi rappresenta “Jerusalemme”, ovvero una nuova versione de “I Lombardi alla prima crociata”, che ottiene un discreto successo. Nel teatro più importante d’Europa, Verdi adotta la stessa tattica che usava Rossini vent’anni prima: riscrive per il pubblico francese un’opera italiana di successo.
Una volta consolidata la sua fama e vivendo ormai nella tranquillità economica, a cui contribuisce un contratto a lunga durata firmato con l’editore Ricordi, tra l’aprile e il maggio 1848, il musicista realizza il suo sogno di comprare una casa nella campagna di Santa Agata, località nei dintorni di Busseto. Qui trascorrerà lunghi periodi, dedicandosi ai lavori agricoli che tanto gli piacevano; ciò nonostante prosegue l’incessante concatenazione di impegni. Così debutta “Il Corsaro” nel Teatro Grande di Trieste, il 25 ottobre del 1848. Il 27 gennaio del 1849, nel Teatro Argentina di Roma, presenta, nel clima di patriottismo ardente che ispirava la Repubblica Romana, “La Battaglia di Legnano”, la sua opera più intrisa delle idee del Risorgimento che sfocieranno poi nell’unificazione del paese.

Macbeth

Macbeth
Incisione di R. Focosi presa dal frontespizio della partitura per canto e pianoforte
Milano, Ricordi (dopo il 1851)
Parma – Istituto nazionale studi verdiani

Verdi assiste a tutte le prove e suggerisce ai cantanti di prestare somma attenzione alla recitazione, per servire “meglio il poeta che il maestro”. Questo particolare delinea magistralmente un’altra delle tipiche caratteristiche verdiane; il maestro si occupa personalmente di tutti gli aspetti della creazione dell’opera, non soltanto della parte musicale, ma anche di quella drammaturgica e visiva. Ciò fa di Verdi innanzitutto un uomo di teatro, così come lui stesso si definiva di solito: un uomo a cui interessa, soprattutto, la relazione intima che nasce tra la parola e la musica. La novità di questa impostazione si avverte nel Teatro La Pergola di Firenze, dove “Macbeth” debutta il 14 marzo del 1847 ottenendo uno strepitoso successo.
Nel 1847 avviene il prudente debutto di Verdi all’estero. Il 22 luglio si rappresenta nel Her Majestys’ Theatre di Londra, “I Masnadieri”, su libretto di Maffei, ispirato a Shiller. Sebbene al debutto assista la regina Vittoria, la risposta del pubblico fu deludente. Il 26 novembre l’Opéra di Parigi rappresenta “Jerusalemme”, ovvero una nuova versione de “I Lombardi alla prima crociata”, che ottiene un discreto successo. Nel teatro più importante d’Europa, Verdi adotta la stessa tattica che usava Rossini vent’anni prima: riscrive per il pubblico francese un’opera italiana di successo.
Una volta consolidata la sua fama e vivendo ormai nella tranquillità economica, a cui contribuisce un contratto a lunga durata firmato con l’editore Ricordi, tra l’aprile e il maggio 1848, il musicista realizza il suo sogno di comprare una casa nella campagna di Santa Agata, località nei dintorni di Busseto. Qui trascorrerà lunghi periodi, dedicandosi ai lavori agricoli che tanto gli piacevano; ciò nonostante prosegue l’incessante concatenazione di impegni. Così debutta “Il Corsaro” nel Teatro Grande di Trieste, il 25 ottobre del 1848. Il 27 gennaio del 1849, nel Teatro Argentina di Roma, presenta, nel clima di patriottismo ardente che ispirava la Repubblica Romana, “La Battaglia di Legnano”, la sua opera più intrisa delle idee del Risorgimento che sfocieranno poi nell’unificazione del paese.

 

Più tardi Verdi si basa su “Kabale und Liebe” di Shiller, con l’obiettivo di scrivere “Luisa Miller”, su libretto di Cammarano, per il teatro San Carlo di Napoli, che debutta l’8 dicembre del 1849 con un discreto successo. Segue “Stiffelio”, a Trieste, il 16 novembre del 1850. La fonte di questo libretto di Piave è una piece francese dell’epoca, che tratta il tema scandaloso dell’adulterio e il perdono della donna da parte del marito tradito.
Questo veloce resoconto delle opere che Verdi ha composto durante i suoi “anni di carcere”, mostra con evidenza, al di là dei pregi e dei difetti specifici di ogni lavoro, la sua capacità di rinnovarsi continuamente e di affrontare tematiche molto diverse le une dalle altre, conferendo ad ognuna una sfumatura drammatica precisa, che Verdi definisce “tinta”. Allo stesso tempo, Verdi passa dal dramma storico al dramma intimista e dall’individualismo romantico alle trame corali, alla ricerca infinita di “temi nuovi, grandi, belli, vari ed estremamente audaci, con forme nuove e adatte allo stesso tempo, per essere narrate con la musica.”

 

 
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guseppe verdi-seconda parte

Post n°103 pubblicato il 29 Gennaio 2010 da peonia99

 

Verdi

L. De Vigni
Giuseppe Verdi ai tempi del Nabucco (1842)
Litografia realizzata da un disegno di G. Turchi
Busseto – Casa Barezzi, Amici di Verdi

Quando Verdi arrivò a Milano, verso la fine del 1832, per l’esame d’ingresso al Conservatorio di musica, la città era la capitale del Regno Lombardo – Veneto che faceva parte dell’Impero Austro-ungarico. La commissione esaminatrice approvò il suo esame di composizione ma non quello di piano, per la posizione scorretta della mano. Verdi inoltre superava di quattro anni l’età richiesta per entrare al conservatorio e per tali ragioni non venne accettato.
Era improbabile che Verdi potesse continuare contando soltanto sulla borsa di studio del Monte di Pietà; perciò intervenne Barezzi che pagò di tasca propria la permanenza del giovane nella città e le lezioni curate da Vincenzo Lavinia, maestro di clavicembalo nel teatro della Scala. Sotto i suoi insegnamenti il giovane apprese la tecnica del contrappunto ed iniziò assiduamente ad essere presente nello scenario milanese, ai tempi in cui avevano molto successo le opere di Mercadante e Donizetti.
Con queste solide basi, Verdi inizia a fare i suoi primi passi all’interno della sua professione: nell’aprile del 1834 dirige La creazione di Haydn nel teatro dei Filodrammatici, con il coro formato da alcuni membri dell’aristocrazia milanese. Grazie a loro entra in contatto con i circoli culturali della città, che ruotano attorno ad alcune figure femminili di spicco come le contesse Giulia Samoyloff, Giuseppina Appiani e Clarina Maffei, con idee anticonformiste ed antiaustriache.
Nel 1833 muore l’organista Provesi ed iniziano i complotti per la sua successione che provocheranno furibondi risentimenti. A Verdi si oppone Giovanni Ferrari, maestro di cappella di Gustalla, che nel 1834 gli soffia il posto vacante. Ma il 28 febbraio 1836 Verdi si guadagna il ruolo di maestro di musica di Busseto: da questo momento ritorna al suo paese nativo, abbandonando momentaneamente i suoi sogni di gloria, e il quattro di maggio si sposa con la fedele Margherita Barezzi.

Gli affetti della vita familiare saranno presto turbati dalla morte prematura di Virginia, la primogenita della giovane coppia. Questi anni a Busseto, dal 1836 al 1838, rallentano il processo d’inserimento di Verdi nel mondo della musica milanese, senza però interromperlo. Infatti, l’editore Canti di Milano pubblica le sue “ Sei Romanze per canto e piano”, mentre con il Notturno a tre voci “Guarda che Luna bianca” ottiene gli elogi calorosi della Gazzetta privilegiata di Milano. Infine la promessa della messa in scena della sua prima opera, “Oberto conte di San Bonifacio" al teatro dei Filodrammatici dà a Verdi un forte impulso per un salto di qualità; a febbraio del 1839 rinuncia al ruolo di maestro di musica andandosene da Busseto per trasferirsi definitivamente con sua moglie e suo figlio Icilio a Milano. L’inizio non è facile: a causa dell’indisposizione del tenore, la rappresentazione di Oberto, con una prima compagnia di canto che includeva la celebre soprano Giuseppina Strepponi, viene annullata.
La Strepponi raccomanda la partitura di Verdi all’impresario del teatro della Scala, Bartolomeo Merelli, che decide di correre il rischio di far sì che il giovane compositore debutti nel teatro più importante della città.
Quando l’opera viene messa in scena, il 17 novembre 1839, ottiene un grande successo, che in parte allevia il dolore dei coniugi Verdi per la morte di Icilio, avvenuta pochi giorni prima del debutto. Dati i buoni risultati Merelli offre a Verdi un contratto per tre nuove opere. La prima tratta un tema comico e si basa su un vecchio libretto scritto da Felice Romani nel 1818, “Un giorno da Sovrano” o “Stanislao falso re di Polonia”. Durante la lavorazione di quest’opera si abbatte una nuova tragedia familiare: muore, il 18 giugno 1840, Margherita Verdi. La nuova opera, che viene messa in scena alla Scala il 5 settembre 1840, non piace al pubblico e viene definita “un fiasco”. Verdi, sommerso dalle difficoltà, decide di abbandonare tutto e sollecita Merelli ad annullare il contratto. L’impresario, che continua ad avere fede nelle capacità di Verdi, accetta senza recidere completamente i rapporti con il giovane compositore.

Solamente tre mesi dopo l’insuccesso di “Un giorno da sovrano”, Verdi si confronta con un nuovo libretto, il “Nabucco” di Temistocle Solera, che stimola la sua ispirazione. Lo stesso Verdi dirà che questo testo cambierà il suo destino: ”Era un libretto voluminoso, dai grandi caratteri, lo avvolgo e, dopo il saluto di Merelli, mi incammino verso casa[...]. Con un gesto quasi violento lancio il manoscritto sul tavolo e mi pongo, ben impettito, davanti ad esso. Nel cadere sul tavolo si aprì. Senza sapere come, il mio sguardo cade sopra una pagina e mi salta alla vista questo verso: ‘Va pensiero sull’ali dorate’. Leggo i versi seguenti che mi suscitano una grande impressione. Infatti erano come una parafrasi della Bibbia la cui lettura sempre mi deliziava. Ne leggo un pezzo, ne leggo due, mi fermo con il proposito di non scrivere nulla. Mi obbligo a chiudere il libretto e me ne vado a letto. Era inutile! Il "Nabucco" viaggiava per la mia testa! ...Il sonno non arrivava. Mi alzo e leggo il libretto, non una volta, non due ma tre volte; cosicché la mattina seguente già sapevo a memoria tutto il libretto di Solera”.
Alla fine del 1841 l’opera era finita e il 9 marzo del 1942 veniva messa in scena alla Scala, con Giuseppina Strepponi nel ruolo di Abigaille. Il successo fu tale che Verdi diventò l’autore preferito del pubblico e dei circoli aristocratici. Il giovane di provincia si trasforma, in questo modo, in uno dei protagonisti della vita mondana milanese. Tutti lo ammirano e la buona società se lo contende.

 
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giuseppe verdi- prima parte

Post n°102 pubblicato il 28 Gennaio 2010 da peonia99

 

 

Giuseppe Verdi nacque il 10 ottobre 1813 a Roncole, distretto di Busseto che, a quei tempi, era una piccola città del Ducato di Parma e Piacenza. Il musicista venne al mondo come suddito francese, giacchè il Ducato faceva parte dei possedimenti dell’Impero napoleonico e si chiamava Dipartimento del Taro; nel certificato di nascita fu registrato con i nomi di battesimo di Joseph Fortunin François. Soltanto due anni dopo, a causa della sconfitta di Napoleone a Waterloo e con la restaurazione del piccolo Stato emiliano, Verdi avrà un’altra sovrana: Maria Luisa, figlia dell’imperatore austriaco Francesco I d’Asburgo e seconda sposa di Napoleone. Durante i trenta anni di governo, Maria Luisa sviluppò considerevolmente la vita culturale del Ducato, soprattutto nel campo musicale: non fu estranea a questo fervore la città di Busseto, che possedeva una chiesa collegiata con un proprio organista, una scuola di musica municipale, una Società Filarmonica ed un teatro.
Verdi non era figlio di contadini, ma di piccoli commercianti. Carlo, suo padre, dirigeva un’attività commerciale e un’osteria, mentre sua madre, Luigia Uttini, discendeva da una famiglia di locandieri della provincia di Piacenza.
A dieci anni Verdi si trasferì a Busseto per intraprendere il ginnasio diretto dal canonico Pietro Saletti. Nello stesso periodo cominciò a studiare musica con Ferdinando Provesi, maestro di cappella, organista della chiesa collegiata e direttore della Società Filarmonica. La figura chiave del futuro del giovane fu senza dubbio Antonio Barezzi, nativo di Busseto e commerciante in vino, spezie e liquori e, in quanto tale, fornitore per l’attività del padre di Verdi. Ma Barezzi era soprattutto un appassionato di musica che intuì presto le qualità del giovane Giuseppe e lo prese sotto la sua protezione.

 

Verdi

verdi
Atto del battesimo di Giuseppe Verdi Roncole Verdi – Chiesa di San Michele Arcangelo
Il Nuovo teatro Ducale di Parma
fatto costruire da Maria Luisa nel 1829
Parma – Biblioteca Palatina
 
  
Lo accolse nella sua casa, centro della vita musicale del paese, dove avvenivano i concerti della Società filarmonica che proprio il Barezzi aveva fondato e presiedeva; in più lo autorizzò ad insegnare canto e piano alla sua primogenita Margherita, che presto diverrà la fidanzata del giovane maestro. Più avanti Barezzi fece del tutto per convincere il Monte della Pietà di Busseto ad offrire una borsa di studio di quattro anni a Verdi. Questo lo aiuterà a lasciare dietro di sè gli stretti orizzonti del suo paese nativo e a dirigersi verso Milano, dove poté ampliare le sue conoscenze musicali. In altre parole Barezzi fu per Verdi non solo un benefattore ma qualcosa in più; fu come un padre e un amico che mai smise di incoraggiarlo e spalleggiarlo con tutto il suo affetto. Per tali motivi il musicista si sentì sempre particolarmente unito a Barezzi, come si può notare nella dedica al Macbeth del 25 marzo 1847: “Vi dedico Macbeth, l’opera che più di tutte stimo e che maggiormente considero degna di Voi.
Il cuore Ve la offre; accettatela di cuore e che sia il testimone della memoria eterna, della gratitudine e dell’affetto che provo per Voi ...”
 
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giuseppina strepponi:soprano

Post n°101 pubblicato il 27 Gennaio 2010 da peonia99
 

 

Giuseppina Strepponi, all'anagrafe Clelia Maria Josepha Strepponi (Lodi 8 settembre 1815-Sant'Agata di Villanova sull'Arda 14 novembre1897) è stata un soprano italiano fu la seconda moglie di Giuseppe Verdi. I suoi carteggi sono tra i documenti più importanti per ricostruire la biografia verdiana.

Giuseppina Strepponi nacque a Lodi nel 1815. Si trovò a vivere in una famiglia di autentici musicisti che le trasmisero l’amore per quest’arte. Suo padre Feliciano fu maestro di cappella a Monza e a Trieste e autore di melodrammi. Studiò come soprano al Conservatorio di Milano e cantò per alcuni anni sia in Italia settentrionale che in Austria. Il suo debutto avvenne a Trieste nel 1835(Mathilde di Shabran di Gioacchino Rossini) dove si fece notare dall'impresario Bartolomeo Merelli che la portò a Vienna e, successivamente (1838), a Bologna e a Roma, dove interpretò la Lucia di Lammermoor. Nello stesso ruolo debuttò, nel 1839, al Teatro alla Scala di Milano. Cominciò a frequentare Verdi (da poco rimasto vedovo della prima moglie Margherita Barezzi) interpretando alcune sue opere, fra cui la prima assoluta di Nabucco nel 1842 e Ernani nel 1844.  Con lui divise gioie e dolori di un’esistenza piuttosto tormentata. Nonostante l’infedeltà del Maestro di Busseto, ella gli fu sempre accanto e per Verdi rappresentò sempre un importante punto di riferimento.

La salute malferma le impedì di proseguire la carriera di cantante. Così il suo nome resta soprattutto legato a quello di Giuseppe Verdi, con cui convisse dal 1848 al 1859, quando i due si sposarono il 29 aprile di quell'anno a Collonges-sous-Salève, piccola cittadina dell'Alta Savoia. Seguì poi il marito nella tenuta di Sant'Agata, nei pressi di Busseto.

Venne sepolta insieme a Verdi nell'oratorio della Casa di riposo per Artisti di Milano.

non ho trovato la sua voce...ma guardate... o meglio ascoltate cosa ho trovato!!!! 

 

 

 

 

 
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