Creato da PituGuli il 23/10/2008

Appuntanate

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Colpi di sole

Post n°5 pubblicato il 07 Novembre 2008 da PituGuli

Mah. Quando l'ho sentita, dalla sua viva voce, mi è caduta la forchetta nel piatto.
Io non credo sia stata una battuta volutamente razzista, nel senso che non credo che Berlusconi sia razzista, però indubbiamente rivela un retropensiero per cui la razza bianca (cosa voglia poi dire, è degno di miglior studio) è superiore. E francamente, in cosa consistesse la carineria, poi mi sfugge. Ma non importa. Il punto non è questo.
Ci sono piuttosto un altro paio di cose su cui occorre riflettere.
Innanzitutto, è vero: una battuta può anche venire male. Questa è venuta male assai. Dopotutto, pure Obama col suo "maiale col rossetto" ha commesso una gaffe imperdonabile dello stesso taglio: quantomeno ci si può leggere un retropensiero per cui le donne in fondo son delle troie. Anche qui, non credo davvero corrisponda al suo pensiero, ma la questione è che quando una propria dichiarzione viene fraintesa perché fraintendibile, si deve chieder scusa, chiarire, e poi casomai si va avanti. E per l'appunto è che Berlusconi ha chiarito (e va bene), ma non chiedendo scusa ha dato del coglione a tutti, cioè al mondo intero. E finché si "limita" agli avversari politici italiani, che pure con lui non ci van leggeri, siamo abituati: non è un bene, ma non è nemmeno quel guaio in cui s'è cacciato ora, e noi come popolo con lui.

E poi c'è la questione dello stile. Che, va riconosciuto, non è particolarmente apprezzato dalla stampa e dai governanti esteri (i vari popoli, poi, non saprei, ma a naso direi che il giudizio sia lo stesso). Purtroppo, per Berllusconi e per noi, è che nei rapporti internazionali la diplomazia non è soltanto, e neanche principalmente una finzione, un gioco delle parti, cui qualcuno può sottrarsi facendo il Bertoldo di turno. Nella diplomazia la forma è sostanza, esattamente perché è di questo che si tratta: rispetto, senso estremo della misura e della moderazione. Può anche essere che nei momenti conviviali tra governanti, risulti simpatico andare oltre il protocollo - sempre sino ad un certo punto, naturalmente - ma certo non lo è e non può esserlo nei momenti ufficiali, come ad esempio durante una conferenza stampa. Non lo è, non è apprezzato, e quel che è peggio è terribilmente scorretto, perchè significa dimostrare quantomeno di non conoscere le regole del gioco. Retropensiero? No, purtroppo. Regole della diplomazia.
Gli americani già hanno un senso dell'umorismo molto diverso dal nostro, ma accettano molto male insinuazioni sulle differenze razziali. Il che sembrerà strano, nel paese del Ku Klux Klan,  ma non lo è affatto, per la semplice ragione che la questione razziale è un nervo scoperto di quella cultura e di quel paese. Figuriamoci se a riderci su - e a ridere su un Presidente appena eletto in modo quasi plebiscitario - è il Capo di un governo straniero. Amico sin che vuoi, ma straniero. E che dio voglia che non gli vengano in mente le sperticate e ridicole lodi tessute da Berlusconi a Bush: gli americani saranno scemi sin che vogliamo, ma due più due lo sanno fare.
E poi c'è il resto del mondo. Ahimé. Per il quale un Capo di Governo rappresenta il suo paese e la sua cultura (cosa che peraltro Berlusconi non nega affatto, anzi...). Purtroppo la questione non è cosa pensino Veltroni o Di Pietro, ma cosa pensano tutti gli altri cittadini del mondo. Temo, e temo davvero, che la cosa non finisca affatto qua, e soprattutto non finisca affatto così. Già la reazione del ministro Ronchi alla notizia dovrebbe far rizzare le orecchie a tutti. Purtroppo siamo in una situazione in cui nessuno ha la capacità, il potere e la voglia di tirare Berlusconi per la giacca e spiegargli il guaio che ha combinato: molto più facile fare il servo sciocco e attaccare chi ha ripreso il premier.
Certo, non è che la reazione dell'opposizione sia stata molto incoraggiante: mai una volta, nemmeno ora in cui sono in ballo gli interessi del paese, che sia capace di una risposta che non preveda lo stracciarsi le vesti, nell'impeto di giocarsi la cosa politicamente. E anche questo è disdicevole assai.

 
 
 

"Per favore, no!"

Post n°4 pubblicato il 29 Ottobre 2008 da PituGuli

Adesso si parla di referendum. Ci mancava solo questo. E "per favore no!"
Per carità, idea legittima; ma pessima. Perché di tutto avrà bisogno la scuola, tranne che di una nuova guerra di religione nella quale ha tutto da perdere e niente da guadagnare. Perché? vediamo gli scenari possibili, che sono ovviamente tre:


Il referendum non "passa", cioè non raggiunge il 50% dei votanti (probabile)
La gran parte degli elettori di destra non andrebbe alle urne (e si parla di una base di partenza del 60% dell'elettorato), e in ogni caso smuovere il culo alla maggioranza degli italiani per decidere se ci vogliono uno o tre maestri è impresa improba, e per una serie di ottimi motivi.
Questa sarebbe la certificazione che della scuola non frega veramente granché alla maggioranza degli italiani. Il che spunterebbe l'argomento principe dei contestatori della riforma (e di chi è seriamente interessato alla qualità dell'istruzione).
A questo punto, il Governo avrebbe mano libera verso ogni sorta di riforma e determinazione: soprattutto lo libererebbe definitivamente dall'obbligo del confronto con operatori della scuola e di ogni altra forma di riflessione, esattamente come è successo con la fecondazione assistita, di cui infatti nessuno parla più.
In ogni caso il referendum un risultato lo otterrebbe: arroccare le due parti politiche sulle rispettive posizioni, perché la posta in palio sarebbe ben altra che non i moduli o i grembiulini; e buonanotte al confronto tanto auspicato proprio dalla sinistra.

Il referendum "passa" e vince il no (discretamente possibile)
Buonanotte davvero: per un paio di decenni di didattica non si parlerebbe più, tanto per cominciare. Anche un ipotetico futuro governo di sinistra avrebbe i suoi impacci a dribblare il risultato di un referendum fresco di non più di tre anni, a iniziare dal semplice dato politico che sarebbe lo sconfessare le fresche scelte dell'elettorato. Senza contare il fatto che di presentarsi alle elezioni mettendo un programma una "restaurazione" della scuola vorrebbe dire più o meno un suicidio, e nessun politico sarà così scemo da rischiarlo. Per cui la scuola verrebbe in ogni caso lasciata a se stessa, e di sicuro lasciata com'è, coi suoi grossi problemi e le sue ambasce.
Se poi consideriamo l'uso che ne farebbe il Governo, che a quel punto avrebbe mano libera, col mandato degli elettori, beh, ci si pensi bene... anzi benissimo.
Si consideri che la stragrande maggioranza degli elettori di destra voterebbe No per fedeltà allo schieramento

Il referendum "passa" e vince il sì (molto poco probabile)
I sondaggi di partenza dicono che, oggi, una buona metà degli italiani vedono di buon occhio il maestro unico, e anche ammesso che tutti i contrari vadano alle urne e vincano, cosa si otterrebbe? Il Governo avrebbe facilissimo gioco a dire "Ok, questo significa rimettere nella scuola una baracca di soldi, per trovare i quali si dovranno alzare le tasse". La tassa dei maestri: ci si immagina? (Argomento tra l'altro che farà perdere il referendum in partenza).
E cosa si otterrebbe in ogni caso? Una scuola (e una Università) che resta quella attuale: che non forma adeguatamente, e che non potrà più essere toccata. E' questo che si vuole? E' questo quello di cui la scuola ha bisogno?
In ogni caso, sarebbe la vittoria di una parte su di un'altra, con buona pace di parla - ancora - di dialogo, di scuola di tutti: diventerebbe una scuola di classe al contrario, vista come "nemico" da quasi la metà dei cittadini italiani.
A vincere sarebbe soltanto il PD, che di fatto diventerebbe nume tutelare della scuola, su cui costruirebbe le basi per una (possibile, ma tutt'altro che certa) rivincita elettorale. E allora la domanda è: sarebbe un referendum per l'istruzione o per il suo uso da parte di un partito politico? Posso capire Veltroni, capirei meno insegnanti e operatori scolastici...
Perché se poi le elezioni le rivince la destra, per la scuola sarebbero cazzi amarissimi, esattamente come se il referendum desse i primi due risultati sopra descritti. E se qualcuno è così ingenuo da pensare che una eventuale vittoria della sinistra porterebbe chissà quali innovazioni e risorse nella scuola, allora farebbe meglio a riverdersi le politiche scolastiche dei sette anni di Prodi: tante chiacchiere, e i risultati che son sotto gli occhi di tutti... 
Se poi si conta sull'appoggio della Chiesa per vincere, si pensa forse che lo farebbe così, agratis, per amore della libertà della didattica? Beh...

Per cui, dati causa e pretesto, il referendum no, "per favore no!"
Partita chiusa allora? E perché mai? Il bello viene adesso. Il Governo ha imposto il suo decreto, motivandolo con (ottime) ragioni economiche e col solenne impegno a potenziare il tempo pieno. Bene, è il momento di stringerlo sui fatti, di incalzarlo sulle promesse... Ma se gli si concede il vantaggio di mettersi all'angolo, col referendum, allora la partita 9 su 10 è chiusa davvero.

 
 
 

Politica (dell)e balle

Post n°3 pubblicato il 26 Ottobre 2008 da PituGuli

Il Circo Massimo ha una estensione di circa 70.000 metri quadrati (m 620 x 118), sta in qualunque libro, o semplicemente su  Wikipedia.
Quanta gente sta in un metro quadrato? Basta fare una prova: non più di quattro persone. Moltiplicate per 70.000 fa meno di 300.000. 
Ora, perché raccontare balle? Perché parlare di due milioni di persone? Che significato ha? Perché un partito che dice di denunciare la verità sulle balle del governo, ricorre a una balla così sesquipedale? Chi racconta balle?
E perché questo partito dice che gli italiani non devono credere alle balle del governo, e poi pretende che si creda alle sue? Chi è che crede che gli italiani siano creduloni, e li tratta da tali?
Veltroni ha poi difeso accanitamente scuola e università italiane. Va bene. Ma perché ha mandato sua figlia a studiare a New York allora? Non vale per il PD la regola che valeva per la moglie di Cesare? Evidentemente no.
E non è tutto (magari lo fosse). Per la pargola ha comperato un appartamento a Manhattan, il posto in cui le case sono le più care del mondo. Si è giustificato (?) dicendo che erano soldi ricevuti come diritti d'autore del suo libro, in cui spiega come l'Italia va risanata e salvata. A parte che io scrivo libri, e so che se anche vendono tantissimo, neanche mi ci compero un garage in campagna, quindi quella di Veltroni è un'altra balla. Ma perché raccontarla? Si vergogna a dire di avere i soldi? O non può ammetterlo nel momento in cui si pone alla testa dei 7 milioni (300mila secondo la Questura) di nuovi poveri creati dal governo Berlusconi (in cinque mesi, un vero record)? E in ogni caso, non sarebbe stato molto più corretto istituire magari una borsa di studio per i figli di questi nuovi poveri, invece che pagare quelli della sola sua prole?
Che poi, gli italiani hanno pagato a Veltroni MILIONI per farsi raccontare come rendere più ricca l'Italia. Mi pare la storia di quello che scriveva libri sul tema "come diventare milionario in sei mesi". Svolgimento: scrivete un libro con la ricetta per rendere più ricchi gli italiani. Sarete milionari in un amen.

E io dovrei andare in piazza per gli interessi di un tipo così? E dovrei credere alla sua affermazione che il governo racconta balle?
Mah.

 
 
 

Vorrei, ma non posso...

Post n°2 pubblicato il 25 Ottobre 2008 da PituGuli


Mi piacerebbe che qualcuno sapesse smentire il 
fondo di oggi di Ernesto Galli della Loggia sul Corrierone; o quantomeno, sapesse controargomentare in modo convincente.
Semmai, interessanti sono le 
osservazioni di Edmondo Berselli su La Repubblica, sulla necessità di un populismo di sinistra, che ne completino e integrino le rivendicazioni civili e intellettuali.
Insieme, i due articoli disegnano benissimo, in modo sintetico e completo la realtà italiana d'oggidì. Da una parte, Galli della Loggia è abilissimo nell'evitare la trappola della divisione tra "chi fa" e "chi sta a sindacare su tutto"; dall'altra, ci pensa Berselli a metter in chiaro che da una parte c'è chi fa, sia pure in nome e per conto del propri affari, e dall'altra chi si perde in concetti che sconfinano facilmente nell'astratto. E, chiosa mia ma neanche tanto, non è poi strano se il 60% degli italiani preferiscono i primi.
Tanto per dirne una, c'è qualcuno che sa per cosa precisamente il PD oggi scende in piazza? Per rivendicare cosa? Protestare per i tagli va bene, ma se lo fanno gli studenti è un discorso, però il secondo partito italiano ha il dovere di presentare proposte alternative, economiche e sociali, che vadano al di là della più nobile delle arie fritte. Tutto sommato, non si capisce perché perseguire astratti pareggi di bilanci e direttive europee, sia alta politica solo se lo fa la sinistra: se invece lo fa Tremonti è un macellaio. 
L'impressione è che sia una manifestazione fatta per rinserrare le fila, perché di proposte alternative per la scuola non se ne vede l'ombra, e men che meno si vede la presa d'atto che così come sono, oggi scuola e università non sono difendibili sotto nessun punto di vista. E allora il discorso di Galli della Loggia comincia ad avere nomi e cognomi dei protagonisti... 


Addenda delle 12.20.

«Della manifestazione non me
ne frega niente. Non mi preoccupa - ha aggiunto Cacciari - la manifestazione,
ma che il governo ombra non abbia prodotto assolutamente nulla». «Mi augurerei
- ha proseguito il primo cittadino di Venezia - che il Pd mi dicesse come si
intende organizzare e cosa dice su scuola, crisi finanziaria e Alitalia. Mi
sembra un’invenzione strana organizzare una manifestazione di protesta con
cinque mesi di anticipo. Avrei preferito - conclude l’esponente del Pd - che il
Pd avesse elaborato delle proposte concrete sul federalismo fiscale, non
lasciando lo spazio allo spot di Lega Nord e Berlusconi, e su questo disastro
della scuola».

 
 
 

Ribellarsi è giusto?

Post n°1 pubblicato il 23 Ottobre 2008 da PituGuli

A me piace capire il perché delle cose.
Mettiamo la rivolta negli Atenei. Ora, il principio del protestare non si discute (cioè... non si DOVREBBE discutere, che poi qualcuno lo faccia in pensieri parole ed opere è già un altro discorso) e su questo personalmente non transigo: ma non è che perciò "ribellarsi è giusto" in sé; quantomeno - voglio dire - bisognerebbe anche spiegare PERCHE' si protesta, e le spiegazioni di chi protesta negli Atenei sinceramente mi sembrano deboli assai.
La questione nella sua essenza è questa: le cifre date dal ministro, sono vere o no? Perché quelle raccontano fatti; parziali sin che si vuole, ma bisognerebbe spiegare perché sono parziali. Nessuna Università italiana è considerata una delle prime 150 migliori del mondo; eppure l'autonomia delle Università esiste in Italia da una quindicina d'anni almeno. E cinque delle più grandi sono praticamente in bancarotta: come mai? E' vero poi che le università forniscono agli studenti servizi ai miei tempi inimmaginabili, benché ci sia ancora molto da fare, eppure il numero di laureati in Italia resta ampiamente il più basso di tutti i paesi avanzati (e di molti anche di quelli emergenti e arretrati): come mai? E' accettabile questo?
I professori, poi: è vero o no che in Italia c'è quasi il DOPPIO delle materie di insegnamento rispetto alla media degli altri paesi europei, ed è vero o no che moltissimi di queste cattedre sono istituite ad hoc per un docente, e che spesso questi corsi sono frequentati da uno o due studenti per anno? E' accettabile questo? E' sensato? Chiaro che riformare, o semplicemente metter mano a questo stato di cose, significa toccare privilegi, convenienze e scatenare reazioni che a me sembrano tanto immotivate per quanto sono veementi. E in Italia questo ahimé vale per tutti i campi... 

E poi c'è la sinistra. Siamo così bravi e solerti nel gridare "al fascismo" e all'autoritarismo dietro ad ogni minimo atto, ma vogliamo far finta di non vedere che dietro alle proteste della sinistra c'è una chiara motivazione politica (il termine esatto è revanscismo, desiderio di rivalsa, di rivincita) che non tocca per l'appunto MAI lo specifico di cui si parla.
Tanto per dirne una, la sinistra chiama tutti sulle barricate per ricercatori e precari dell'università, ma nei sette anni in cui è stata al governo, in due legislature, che ha fatto per la ricerca? Anzi, il solo che ci ha provato è stato Berlinguer (bene, male, non lo so: è una questione nemmeno si è posta), e infatti il governo tosto cadde e poi ci perse le elezioni. E allora? Un po' di onestà non starebbe male, prima di indire nuovi '68 e nuove Resistenze, che furono fatte per ragioni ben più difendibili. L'autoritarismo e certi toni non piacciono a nessuno, e sono senz'altro pericolosi; però a me non piace nemmeno il partito preso, la superficialità e men che mai la disonestà intellettuale.
L'Università italiana è indifendibile, e avviata su una brutta china: possiamo discutere se la ricetta Gelmini sia salutare e opportuna, ma riconoscere che il male c'è, e che questi sono i sintomi va fatto. E questo vuol dire proporre rimedi, soluzioni, che - vogliamo negarlo? - sono in ogni caso impopolari, dolorosi (per più di qualcuno), e mi sa tanto che la sinistra quand'anche sapesse farlo (e non ha saputo farlo sino ad ora), certo non può permettersi l'impopolarità: troppo comodo lasciarla tutta a Berlusconi (bersaglio facilissimo, ci mancherebbe).
Però, per favore, il fascismo lasciamolo stare: non è il caso.


 
 
 

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