Creato da carlopicone1960 il 13/01/2008

paese reale

informazione

 

 

« Un giorno da cani alle P...Che brutta l'estate avellinese »

Ascesa e declino dei clan Cava e Graziano ne "La Faida" di Sperandeo

Post n°123 pubblicato il 04 Luglio 2012 da carlopicone1960
 
Foto di carlopicone1960

È un libro che si legge tutto d'un fiato "La Faida" del giornalista Giovanni Sperandeo, pubblicato di recente per i tipi della casa editrice Mephite di Fortunato Iannaccone. Un testo di straordinario rilievo informativo, che ripercorre in maniera dettagliata la storia dello strapotere delle organizzazioni camorristiche nel Vallo di Lauro, ricostruendo la lunga scia di sangue attraverso cui le due famiglie quindicesi dei Cava e Graziano hanno imposto, entrando ben presto in cruenta collisione, la loro supremazia ai danni di un territorio che stenta ancora a riconoscersi come parte integrante dell'Irpinia, vivendo una condizione del tutto particolare rispetto al resto della provincia. Di vera e propria separazione, quasi che non si trattasse di popolazioni irpine a tutti gli effetti. Quasi fosse mal tollerata la sua presenza al fianco di realtà territoriali non ancora sfiorate dalla criminalità e perciò più tranquille. Ma poi, a fare due conti, se si guarda in profondità alla situazione nostrana, leggendo i dati della relazione Censis sul fenomeno delinquenziale già nel quinquennio 2001-2006 - come riferisce il procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica di Napoli e coordinatore della Direzione Distrettuale Antimafia, Rosario Cantelmo, nelle pagine introduttive del volume -, ci si accorge che nell'avellinese il numero dei reati denunciati è in preoccupante aumento (del 36% secondo quella indagine). Ad ulteriore conferma che il luogo comune della provincia irpina come "isola felice" non ha più ragione di esistere, se mai l'ha avuta.

Così, sullo sfondo della cronaca serrata con cui viene raccontata la faida che per oltre trent'anni ha contrapposto i Cava ai Graziano, che una volta erano un gruppo unico denominato i "Quindiciari": dalla rottura iniziale ai primi morti ammazzati, dagli agguati portati a termine o solo tentati, che hanno procurato un gran numero di vittime e qualche morto innocente, fino all'eclatante strage delle donne; quello che emerge dalla narrazione di Sperandeo, corrispondente locale de "Il Mattino", è il quadro di un paese e di un circondario che, dagli anni Settanta fino ad oggi, è stato completamente sottomesso alla logica criminale dei clan. Soggiogato quasi totalmente dentro un'atmosfera da guerra continua di camorra, con sparatorie, intimidazioni, trappole, vendette trasversali e regolamenti di conti da western americano. E non può non stupire il dato di fatto che lo Stato, per ripristinare la legalità, per ripulire Quindici ed il Vallo di Lauro dal predominio assoluto della camorra, ci abbia impiegato tutto questo tempo.

Ci sono voluti i collaboratori di giustizia, i cosiddetti "infami" e tre dispendiose maxi operazioni di polizia, quelle chiamate "Rewind", "Washing" e "Tempesta", per scardinare il monolitico assetto delle organizzazioni criminali, ma ancora molto si deve fare per rompere definitivamente il muro di omertà eretto, in questi lunghi anni, intorno alla zona meno irpina dell'Irpinia, per cultura, usanze, costumi, dialetto e condizioni geografiche. L'hanno toccato con mano lo stesso autore e i rappresentanti provinciali di "Libera", Marco Cillo e Valentina Paris, ritrovatisi pochi giorni fa alla presentazione del libro "La Faida", a Quindici, in un clima di indifferente freddezza da parte della popolazione locale. Ecco, allora, il punto: se grazie all'encomiabile operato della magistratura e delle forze dell'ordine il Vallo di Lauro, troppo vicino al Nolano per essere del tutto pacificato, è stato liberato dall'ingombrante presenza di capi clan e affiliati, non si può ancora dire che siano stati liberati i suoi abitanti dall'oppressione della cultura dell'illegalità e della camorra, dell'anti-stato. Perché lì vige tuttora la paura di esporsi, il timore di denunciare pratiche criminose, sia al presente che al passato, nell'incapacità diffusa, o ancora troppo flebile volontà, di essere finalmente autonomi e indipendenti dalla camorra che ha segnato per sempre la storia di quelle terre, macchiandole di sangue.

Appare dunque d'importanza cruciale procedere, con forza maggiore di quella che è stata profusa per annientare militarmente i clan, nella più difficile opera di ricostruzione antropologico-culturale di una comunità per troppo tempo tenuta in ostaggio da delinquenti incalliti che spadroneggiavano quasi indisturbati. Pertanto, risulta necessario, proprio oggi che le due grandi famiglie camorristiche sono state decapitate e tutti i boss più pericolosi sono stati assicurati alla giustizia, diffondere capillarmente la cultura della legalità e della cittadinanza e praticarla, seguendo percorsi educativi specifici in cui la funzione della scuola e del mondo dell'istruzione è più che essenziale. E l'avvenuta confisca di due immobili appartenuti alla criminalità organizzata locale, una villa della famiglia Graziano l'altra dei Cava, con gli importanti progetti di riuso sociale dei due beni, che dovrebbero portare alla realizzazione di un maglificio per offrire opportunità di lavoro ai giovani del luogo, costituisce un altro passo fondamentale in tal senso. Certi che occorreranno molti anni prima della completa normalizzazione, per la comunità quindicese e le sue 2500 anime, divenuta suo malgrado l'epicentro delle attività camorristiche in provincia di Avellino e non solo, sfornando un impressionante numero di boss e loro gregari.

I CONTRIBUTI DI CILLO, TRONCONE, CANTELMO, SOVIERO

Il volume di Sperandeo, che costituisce un atto di coraggio dentro un panorama bibliografico abbastanza sparuto rispetto alla peculiarità del fenomeno camorristico nel Vallo di Lauro, si apre con le pagine di presentazione affidate ad alcuni protagonisti dei fatti giudiziari raccontati. A partire da Maria Antonietta Troncone, procuratore aggiunto presso la Procura di Nola ed ex pm della Direzione Distrettuale di Napoli con competenze sulla provincia di Avellino; per poi passare a Rosario Cantelmo procuratore aggiunto presso la Procura di Napoli e coordinatore della Direzione Distrettuale Antimafia, e a Francesco Soviero, sostituto procuratore della Direzione Distrettuale Antimafia presso la Procura della Repubblica di Napoli. Tutte personalità di spicco che hanno operato e tuttora operano in prima linea nell'azione di contrasto alle mafie. Ma una segnalazione particolare merita la prefazione di Marco Cillo, coordinatore per Avellino di SOS Impresa, già referente provinciale di "Libera" e attualmente titolare di una delega esterna nella giunta del sindaco Liberato Santaniello alla guida del comune quindicese. Grazie alla sua spinta, l'autore si è deciso di pubblicare questo libro che dovrebbe essere adottato come testo di storia locale nelle scuole del circondario, per il patrimonio il più delle volte inedito delle conoscenze che trasmette specie all'indirizzo delle nuove generazioni che non hanno vissuto direttamente quanto è accaduto negli ultimi trent'anni nel Vallo di Lauro. Perché "La Faida", anche se avrebbe potuto lasciare spazio a qualche approfondimento in più riguardante l'ambito economico, affondando l'indagine in maniera più attenta sui fatturati ultramilionari accumulati dai due clan rivali (aspetto solo minimamente accennato) in decenni di attività criminose, è un'opera esemplare. Per la massa di dati ufficiali e non (quelli raccolti direttamente sul posto, inseguendo pure voci e dicerie) che mette insieme, scavando negli archivi giornalistici e in quelli giudiziari.

Così Sperandeo riesce alla fine a raggiungere l'obiettivo propostogli da Cillo, colmando un vuoto di conoscenza che a lungo ha pesato sull'Irpinia, dove, come ricorda il coordinatore provinciale di SOS Impresa, "non si ha la consapevolezza di quello che è accaduto negli ultimi trent'anni nel Vallo di Lauro", e finendo "per unire tutti i tasselli di un mosaico criminale impressionante per odio, per potere, per politica, per affari, per silenzi, per paura". Coscienti che, come dice ancora Cillo, nonostante le tante pagine di antimafia sociale che Quindici ha scritto, facendo diventare protagonisti della cosa pubblica i giovani dell'attuale giunta Santaniello, "il paese non riesce ancora a tracciare una linea netta di separazione, non riesce ancora a fidarsi di uno Stato che li ha abbandonati per troppo tempo, costringendoli a convivere con la mafia per trent'anni". Sicché negli anni '70, '80 e '90, in quelle terre c'è stata una sospensione di fatto della democrazia, perché, con le cosche che facevano il bello e cattivo tempo, pur esercitando il diritto di voto nei vari appuntamenti elettorali, non si poteva scegliere liberamente. Ora, come pure Cillo ricorda, c'è da fare i conti con la "zona grigia della paura, dell'apatia e dell'indifferenza", mai rimosse.

LA STORIA DEI CLAN IN LOTTA PER LA SUPREMAZIA

Del resto ci volle un presidente della Repubblica illuminato come Sandro Pertini per puntare finalmente i riflettori sulla realtà quindicese. Con il paese che divenne il primo nella storia d'Italia ad essere sciolto per infiltrazioni camorristiche: la prima volta nel 1983, con un altri provvedimenti di scioglimento dell'amministrazione comunale e invio del commissario prefettizio negli anni seguenti, per un totale di quattro occasioni in venti anni. L'ultima c'è stata nel settembre 2002, prima dell'insediamento della triade di commissari che ha gestito il comune fino al 2005, prima dell'elezione dell'attuale sindaco Liberato Santaniello, oggi al secondo mandato e fra i attori principali di quella che dovrà ancora essere la definitiva rinascita quindicese.

Sfruttando il grave deficit d'attenzione nei confronti dei loschi affari che si consumavano Quindici e zone limitrofe, le famiglie mafiose dei Graziano e dei Cava hanno fatto incredibili progressi, alzando via via più in alto l'asticella della loro volontà di dominio sul territorio. E Sperandeo ci restituisce il puntuale resoconto dell'escalation che le ha viste protagoniste, partendo dall'episodio quasi leggendario dell'omicidio al campo sportivo di Quindici dell'allora sindaco Fiore Graziano, il 9 settembre 1972, durante l'affollato derby Quindici-Lauro e pure senza testimoni oculari, dal quale   alcuni fanno risalire l'origine della faida, la cui causa è invece da ascrivere al prevalere delle "questioni personali", delle divisioni intestine ai rapporti di parentela piuttosto stretti fra i Graziano ed i Cava, cugini eppure animati da un odio ancestrale, all'insinuarsi di insuperabili contrasti di natura economica. Prima di inquadrare la figura storica del primo boss che divenne sindaco (tra le file della Dc), Pasquale Raffaele Graziano e addentrarsi nella storia dei due clan nemici ancestrali, con l'interminabile sequenza di crimini attribuiti alla guerra tra le due famiglie. Fino al punto di non ritorno costituito dalla "strage delle donne di mafia" avvenuta il 26 maggio 2002 nella centralissima via Cassese di Lauro, dove furono assassinate Michelina Cava, Maria Scibelli e la quindicenne   Clarissa Cava, rispettivamente la sorella, la cognata e la figlia del capo clan Biagio Cava.

Vennero poi i blitz delle forze dell'ordine, che, almeno inizialmente, non scalfirono l'espansione dei Cava pronti a fissare un pericoloso patto criminale con i Genovese del clan Partenio, mentre si devono alla ruolo indispensabile dei collaboratori di giustizia, uno su tutti il boss pentito Felice Graziano, detto "Felicione", le  battute d'arresto più significative per le famiglie mafiose del Vallo di Lauro. Tutto viene spiegato con dovizia di dettagli nel libro di Sperandeo, che dedica attenzione anche alle varie relazioni della Dia sugli assetti criminali in provincia di Avellino, agli articolati collegamenti dei clan quindicesi con i gruppi criminali americani, oltre che nolani, napoletani e salernitani. Con due differenti profili delinquenziali che vengono alle luce: da una parte, la camorra più vecchio stampo e maggiormente legata ai vincoli di sangue della famiglia Graziano e, dall'altra, quella più "moderna" e imprenditrice, più decisa a allargare la propria influenza al di là dei confini territoriali, rappresentata dai Cava.

IL FINALE

Certo che è condivisibile la tesi contenuta nelle pagine finali dell'opera, secondo cui "se il gruppo dei 'Quindiciari' non si fosse diviso per colpa dei soldi del terremoto, innescando così la faida, si può immaginare dove potessero arrivare per quel che riguarda la potenza criminale". Allora, si potrebbe paradossalmente affermare che la faida sia stata un bene. Prima che si dividessero, verso la seconda metà degli anni Settanta, infatti, i "Quindiciari" tenevano in pugno buona parte della provincia di Avellino, dettavano legge nell'hinterland nolano-palmese e, con il carismatico "don Rafele", Pasquale Raffaele Graziano, forte della sua adesione alla Nuova Camorra Organizzata di Cutolo, stavano per allargarsi nel Vesuviano. Così, dice Sperandeo, "la faida è stata la causa tecnica della mancata crescita criminale di un clan", ne ha impedito il salto di qualità, facendo restare sia i Graziano che i Cava in una condizione solo lontanamente simile, per organizzazione interna, a quelle delle potenti 'ndrine calabresi, che traggono la loro forza proprio dal legame di sangue e di parentela. "La faida è la lunga storia della guerra tra i due clan, ma anche la loro rovina. Le questioni personali sono diventate l'ostacolo allo sviluppo delinquenziale del gruppo. La storia della criminalità organizzata si ripete e questo non è l'unico esempio di clan distrutti dal loro stesso operato", conclude l'autore. Oggi che tutti gli affiliati ai clan sono in carcere e c'è un interesse vivo della magistratura per il futuro di Quindici e del Vallo di Lauro, non ci sembra che si faccia abbastanza per creare sviluppo in un territorio per troppo tempo condizionato negativamente dai fatti di sangue. Non basta infatti l'impegno encomiabile dell'Associazione "Libera" di don Luigi Ciotti (parte dei ricavi di "La Faida" saranno devoluti all'Associazione), nemmeno quello di altre associazioni di volontariato e da parte dell'amministrazione comunale.

Sebbene questi siano sicuramente segnali positivi e di speranza, occorrerebbero interventi sostanziosi da parte dello Stato, degli enti sovracomunali e del mondo imprenditoriale per offrire nuove certezze, che significano lavoro e occupazione, ai giovani quindicesi e all'intera comunità del Vallo di Lauro, per farlo davvero rinascere. "Credo che questa terra ne abbia voglia", scrive infine il lauretano Giovanni Sperandero.

 
 
 
Vai alla Home Page del blog

AREA PERSONALE

 

ARCHIVIO MESSAGGI

 
 << Agosto 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
      1 2 3 4
5 6 7 8 9 10 11
12 13 14 15 16 17 18
19 20 21 22 23 24 25
26 27 28 29 30 31  
 
 

CERCA IN QUESTO BLOG

  Trova
 

FACEBOOK

 
 

FACEBOOK

 
 
Citazioni nei Blog Amici: 2
 

ULTIME VISITE AL BLOG

vento_acquasurfinia60monellaccio19SaraTatecassetta2m12ps12prefazione09iltuocognatino2poeta_semplicelimitedelbosco0Desert.69pa.cekmarabertowOfeliadgl19Ego_Shamala
 

ULTIMI COMMENTI

x
Inviato da: carlopicone1960
il 01/07/2012 alle 12:48
 
 

CHI PUņ SCRIVERE SUL BLOG

Solo l'autore puņ pubblicare messaggi in questo Blog e tutti gli utenti registrati possono pubblicare commenti.
I messaggi e i commenti sono moderati dall'autore del blog, verranno verificati e pubblicati a sua discrezione.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963