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"Solo la penombra permette di ammirare la beltà..." J.Tanizaki

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Angela Fabbri

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TOKYO TOILETS

Post n°129 pubblicato il 06 Aprile 2023 da angi137

TOKYO TOILETS

Junichiro Tanizaki, nel suo meraviglioso Libro d'Ombra, dedica tutto il secondo capitolo alle toilette giapponesi. Intento a farsi costruire una casa nuova, incerto sul labile confine fra tradizione e comodità moderne, afferma senza mezzi termini che "solo il gabinetto giapponese è interamente concepito per il riposo dello spirito" e argomenta che "sono necessari una lieve penombra, la pulizia più accurata e un silenzio così profondo che sia possibile udire da lontano un volo di zanzare" e continua: "Quanti autori di haiku devono aver trovato, alla latrina, il tema dei loro versi!".

Ebbene, dal 1933, anno di pubblicazione di In'Ei Raisan (lett. "elogio della penombra") al 2020, anno in cui la pandemia ha esasperato bisogni e priorità, in Giappone l'argomento continua ad essere di stringente attualità, tanto che la Nippon Foundation ha incaricato sedici architetti, tra i più rinomati e innovativi del Giappone, di disegnare della nuove toilette pubbliche, sette delle quali sono proprio l'argomento di questo documentario indubbiamente sui generis, ma assolutamente affascinante: TOKYO TOILETS, un film di FORMA2 per la regia di Andrea Pompili con la collaborazione del fotografo Ryan Bruss.

Tokyo, ma in un certo senso tutto il Giappone, è un luogo in perenne divenire, una città-fiume dove l'acqua che passa è sia parte dello stesso alveo, sia sempre diversa. Che relazione c'è fra il ricostruire ogni vent'anni un tempio esattamente uguale all'originale e fare spazio invece all'arte e alla tecnologia più futuristica? Ebbene, in qualche modo TOKYO TOILETS risponde a questo interrogativo. In Occidente lo studio della geografia divide drasticamente il paesaggio in naturale e antropico: Il naturale va preservato, oppure eliminato, l'antropico va declinato secondo le esigenze di chi lo usa, con la conseguenza di vedere paesaggi meravigliosi devastati da strutture (spesso tra l'altro abusive) che sono come un pugno allo stomaco dello spettatore. Niente di tutto questo nel progetto della Nippon Foundation. Natura e uomo fanno parte dello stesso ecosistema, in una relazione paritaria che deve trovare un livello accettabile di compenetrazione per entrambi. Quindi la Tokyo dei grattacieli, Shibuya, quella dell'incrocio più famoso del mondo, delle luci al neon lampeggianti, degli enormi ologrammi pubblicitari, si apre allo spazio con pochi alberi perfettamente curati, un sipario verde, un'aiuola, basta anche un cespuglio, dove le toilette pubbliche si incastrano con la nonchalance di opere d'arte (e questo sono, in effetti).

Il film inizia con uno scorcio delle vecchie toilette, destinate ad essere prima o poi sostituite, in bianco e nero, fra vicoli di piccole case e botteghe di un Giappone che va scomparendo. Poi l'inquadratura si apre su quella che forse è l'immagine più tradizionale e stereotipata del Giappone, petali di ciliegio: un albero fiorito dalle radici che si allargano nel terreno, dai petali che spargono una neve leggera e nostalgica. Immerso in questo scenario la toilette circolare di Tadao Ando ha l'aspetto di un'astronave catapultata nel Jingu-Dori Park, ma la sua presenza, anziché risultare aliena, si inserisce nel paesaggio con i giochi di luce, i riflessi che attraversano la struttura a grata in modo che la luce, sia naturale sia artificiale, possa entrare e disegnare paesaggi diversi secondo la stagione e l'ora del giorno. Ebbene, questa attenzione a dosare sapientemente luce e ombra accomuna tutti i progetti presentati in Tokyo Toilets ed è esattamente ciò di cui parlava Tanizaki. Il discorso infatti si amplia con la toilette progettata da Masamichi Katayama che richiama la suggestione di "una capanna che sorgeva sul fiume" con cemento e materiali moderni. Qui la struttura a labirinto si inserisce tra le forme svettanti e altrettanto apparentemente caotiche dei grattacieli che la circondano. La ricerca sulla luce continua nella toilette progettata da Takenosuke Sakakura per il Nishihara Nitchome Park dove si riflettono le rade ombre di alberelli e cespugli su una parete lattiginosa che crea come in un teatrino l'impressione di entrare e uscire fluidamente in un'altra dimensione. A seguire il contrasto rosso brillante del progetto di Nao Tamura a Higashi Sanchome, palesemente ispirato all'origata, una forma di cortesia che prevede di avvolgere un dono con cura e attenzione. Il rosso spicca invitante e allegro nel paesaggio urbano circostante e crea un ambiente rassicurante e intimo. Il quinto progetto, di Fumihiko Maki, prosegue il discorso del confort all'Ebisu East Park dove la struttura bianca, dalle linee vagamente fluttuanti di una pagoda, ingloba esili alberelli come preziosi elementi di design e presenta all'esterno panchine in cui sedersi per attendere o riposare. Qui vediamo all'opera gli addetti alla manutenzione, senza i quali il progetto sarebbe un inutile e sterile sfoggio di arroganza. Infatti una toilette deve essere per prima cosa pulita ed è la cura che si ha per gli spazi pubblici che influisce profondamente sul livello di vivibilità di un luogo. Gli ultimi due progetti sono di Shigeru Ban, forse fra i più audaci qui presentati, rispettivamente al Yoyogi Fukamaki Mini Park e l'Haru-no-Ogawa Community Park. La forma è quella di tre box rettangolari affiancati, molto semplice, l'innovazione sta nel fatto che le pareti sono di vetro colorato (arancio-rosso-viola in uno, verde-giallo-blu l'altro) che diventa opaco quando si fa scattare la serratura. Qui il gioco di luci e ombre esprime al massimo la sua potenzialità, ben documentato dal filmato che gioca abilmente con le sagome, i riflessi e i colori fino a presentare quasi una danza contemporanea. Le musiche ben scelte, i rumori in presa diretta e le didascalie contribuiscono a fare di queste toilette dei veri e propri personaggi, ciascuno con la sua personalità e il proprio contesto di appartenenza, non astratto ma, come spiega Andrea Pompili, "pura funzione messa in forma". D'altra parte che cos'è l'architettura se non questo? Rimettere l'uomo dentro il proprio ambiente, non come padrone che ne deforma a suo piacimento gli elementi, quanto piuttosto come giardiniere che si preoccupa di far parte di un disegno più grande.

Non si può che concludere, sempre con Tanizaki, che nei gabinetti di Tokyo "è delizioso gustare melanconicamente i segni fuggitivi delle quattro stagioni".

 

 

 

 
 
 
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