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Giardini di Sabbia su Radio Emilia Romagna.
La banalità del male una riflessione sul libro di Hannah Arendt.
Articolo sulla presentazione di STAGIONI.
Post n°130 pubblicato il 17 Giugno 2024 da angi137
Mostra CUORI DI VERSI Atelier Creaviva Cesena, Chiesa di San Zenone 26 maggio - 6 giugno
Tutto nasce dallo sguardo dei bambini. Lo sguardo dei bambini non è innocente (l'innocenza si perde nascendo) ma è uno sguardo puro sul mondo, uno sguardo che dialoga con gli oggetti, con la materia, con i simboli e con le parole. Nemmeno la poesia è mai innocente, ma anche la parola poetica distilla la realtà lasciando scheletri di conchiglie, coralli, alghe, tutto un fondale marino fossilizzato sul fondo mentre dal cielo piovono cuori infuocati, liquefatti, rotti e ricuciti. Il bianco domina su tutto e dal bianco emergono ombre, volti, oggetti e parole; a volte l'oro e l'argento lasciano tracce luminose. Tocchi di rosso intenso sui cuori: arterie, fiamme, cuciture, sangue. Le opere si fondono armoniosamente con la chiesa di San Zenone, uno dei gioielli della città di Cesena, tanto che l'impressione è quella di essere circondati da santi e martiri dei primi secoli. Santi e martiri di una modernità che chiede, anche ai bambini, la velocità, la performance, l'esclusività, dove invece ci vorrebbe la lentezza, la ripetizione, la condivisione. Forse per questo i cuori sanguinano e si rompono, si infiammano e stillano lacrime di sangue, e i volti presenti e passati si fondono in una dimensione atemporale, di spettri buoni, protettivi ed enigmatici. C'è qui una lezione profonda, da non dimenticare, da replicae, da custorie e da aspettare ancora: i progetti CreaViva continuano. |
Post n°129 pubblicato il 06 Aprile 2023 da angi137
TOKYO TOILETS Junichiro Tanizaki, nel suo meraviglioso Libro d'Ombra, dedica tutto il secondo capitolo alle toilette giapponesi. Intento a farsi costruire una casa nuova, incerto sul labile confine fra tradizione e comodità moderne, afferma senza mezzi termini che "solo il gabinetto giapponese è interamente concepito per il riposo dello spirito" e argomenta che "sono necessari una lieve penombra, la pulizia più accurata e un silenzio così profondo che sia possibile udire da lontano un volo di zanzare" e continua: "Quanti autori di haiku devono aver trovato, alla latrina, il tema dei loro versi!". Ebbene, dal 1933, anno di pubblicazione di In'Ei Raisan (lett. "elogio della penombra") al 2020, anno in cui la pandemia ha esasperato bisogni e priorità, in Giappone l'argomento continua ad essere di stringente attualità, tanto che la Nippon Foundation ha incaricato sedici architetti, tra i più rinomati e innovativi del Giappone, di disegnare della nuove toilette pubbliche, sette delle quali sono proprio l'argomento di questo documentario indubbiamente sui generis, ma assolutamente affascinante: TOKYO TOILETS, un film di FORMA2 per la regia di Andrea Pompili con la collaborazione del fotografo Ryan Bruss. Tokyo, ma in un certo senso tutto il Giappone, è un luogo in perenne divenire, una città-fiume dove l'acqua che passa è sia parte dello stesso alveo, sia sempre diversa. Che relazione c'è fra il ricostruire ogni vent'anni un tempio esattamente uguale all'originale e fare spazio invece all'arte e alla tecnologia più futuristica? Ebbene, in qualche modo TOKYO TOILETS risponde a questo interrogativo. In Occidente lo studio della geografia divide drasticamente il paesaggio in naturale e antropico: Il naturale va preservato, oppure eliminato, l'antropico va declinato secondo le esigenze di chi lo usa, con la conseguenza di vedere paesaggi meravigliosi devastati da strutture (spesso tra l'altro abusive) che sono come un pugno allo stomaco dello spettatore. Niente di tutto questo nel progetto della Nippon Foundation. Natura e uomo fanno parte dello stesso ecosistema, in una relazione paritaria che deve trovare un livello accettabile di compenetrazione per entrambi. Quindi la Tokyo dei grattacieli, Shibuya, quella dell'incrocio più famoso del mondo, delle luci al neon lampeggianti, degli enormi ologrammi pubblicitari, si apre allo spazio con pochi alberi perfettamente curati, un sipario verde, un'aiuola, basta anche un cespuglio, dove le toilette pubbliche si incastrano con la nonchalance di opere d'arte (e questo sono, in effetti). Il film inizia con uno scorcio delle vecchie toilette, destinate ad essere prima o poi sostituite, in bianco e nero, fra vicoli di piccole case e botteghe di un Giappone che va scomparendo. Poi l'inquadratura si apre su quella che forse è l'immagine più tradizionale e stereotipata del Giappone, petali di ciliegio: un albero fiorito dalle radici che si allargano nel terreno, dai petali che spargono una neve leggera e nostalgica. Immerso in questo scenario la toilette circolare di Tadao Ando ha l'aspetto di un'astronave catapultata nel Jingu-Dori Park, ma la sua presenza, anziché risultare aliena, si inserisce nel paesaggio con i giochi di luce, i riflessi che attraversano la struttura a grata in modo che la luce, sia naturale sia artificiale, possa entrare e disegnare paesaggi diversi secondo la stagione e l'ora del giorno. Ebbene, questa attenzione a dosare sapientemente luce e ombra accomuna tutti i progetti presentati in Tokyo Toilets ed è esattamente ciò di cui parlava Tanizaki. Il discorso infatti si amplia con la toilette progettata da Masamichi Katayama che richiama la suggestione di "una capanna che sorgeva sul fiume" con cemento e materiali moderni. Qui la struttura a labirinto si inserisce tra le forme svettanti e altrettanto apparentemente caotiche dei grattacieli che la circondano. La ricerca sulla luce continua nella toilette progettata da Takenosuke Sakakura per il Nishihara Nitchome Park dove si riflettono le rade ombre di alberelli e cespugli su una parete lattiginosa che crea come in un teatrino l'impressione di entrare e uscire fluidamente in un'altra dimensione. A seguire il contrasto rosso brillante del progetto di Nao Tamura a Higashi Sanchome, palesemente ispirato all'origata, una forma di cortesia che prevede di avvolgere un dono con cura e attenzione. Il rosso spicca invitante e allegro nel paesaggio urbano circostante e crea un ambiente rassicurante e intimo. Il quinto progetto, di Fumihiko Maki, prosegue il discorso del confort all'Ebisu East Park dove la struttura bianca, dalle linee vagamente fluttuanti di una pagoda, ingloba esili alberelli come preziosi elementi di design e presenta all'esterno panchine in cui sedersi per attendere o riposare. Qui vediamo all'opera gli addetti alla manutenzione, senza i quali il progetto sarebbe un inutile e sterile sfoggio di arroganza. Infatti una toilette deve essere per prima cosa pulita ed è la cura che si ha per gli spazi pubblici che influisce profondamente sul livello di vivibilità di un luogo. Gli ultimi due progetti sono di Shigeru Ban, forse fra i più audaci qui presentati, rispettivamente al Yoyogi Fukamaki Mini Park e l'Haru-no-Ogawa Community Park. La forma è quella di tre box rettangolari affiancati, molto semplice, l'innovazione sta nel fatto che le pareti sono di vetro colorato (arancio-rosso-viola in uno, verde-giallo-blu l'altro) che diventa opaco quando si fa scattare la serratura. Qui il gioco di luci e ombre esprime al massimo la sua potenzialità, ben documentato dal filmato che gioca abilmente con le sagome, i riflessi e i colori fino a presentare quasi una danza contemporanea. Le musiche ben scelte, i rumori in presa diretta e le didascalie contribuiscono a fare di queste toilette dei veri e propri personaggi, ciascuno con la sua personalità e il proprio contesto di appartenenza, non astratto ma, come spiega Andrea Pompili, "pura funzione messa in forma". D'altra parte che cos'è l'architettura se non questo? Rimettere l'uomo dentro il proprio ambiente, non come padrone che ne deforma a suo piacimento gli elementi, quanto piuttosto come giardiniere che si preoccupa di far parte di un disegno più grande. Non si può che concludere, sempre con Tanizaki, che nei gabinetti di Tokyo "è delizioso gustare melanconicamente i segni fuggitivi delle quattro stagioni".
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Quasi di sicuro non avrete sentito parlare di me. O forse solo di sfuggita. Non sono mai stata cantata dai poeti, non ero fra le bellezze di Firenze: non brutta, no, ma una bambina come tante, una donna come tante, che si è sposata, che ha fatto figli, che ha lottato per mantenerli mentre il marito era lontano. Non ho mai avuto scelta, anche in questo non diversa da tanti altri come me. Eravamo promessi fin da bambini, sapete: avevamo dodici anni e il matrimonio ci pareva un bel gioco da fare. Ci misero insieme come cavalli da accoppiare per ottenere puledri di buona razza, e noi diligentemente, quando fu tempo, facemmo il nostro dovere. Poi si sa, gli uomini se ne vanno fuori a combattere, le donne restano a combattere dentro... E Dio sa se non ho combattuto. Per avere un tetto sopra la testa, per dare da mangiare ai miei figli, a chiedere e implorare da uno e dall'altro quello che mi spettava, a invecchiare qui, in questa città ostile, a vedere anche Giovanni e Pietro e Jacopo andare via perché il loro padre non poteva piegarsi alla vergogna di tornare sconfitto, di chiedere, da innocente, il perdono. E poi anche Antonia mi ha lasciato, perché non c'era più nulla qui per lei. Adesso vi chiedo: è giusto? È giusto che un uomo sacrifichi, oltre a se stesso, anche i suoi figli? Per quanto santa sia l'idea, vi chiedo, è giusto? E che città è, che paese è quello in cui si deve piegare la testa all'ingiustizia per conservare vivi coloro che amiamo? Politica! Una cosa da uomini, dicono che le donne hanno altro da fare... Chissà, se le donne comandassero la città, farebbero forse le stesse cose? Forse non manderebbero via i figli delle altre e i loro mariti, o forse invece lo farebbero. Il potere è una droga dolce. Lui non ha mai parlato di me... ero solo una moglie. In quel gioco francese dell'amore che tanto divertiva i giovanotti di Firenze, le mogli di cui parlare erano sempre quelle degli altri. È stata un'altra la donna che l'ha portato in Paradiso. Una donna giovane e bella... chissà, se fosse diventata vecchia come me, grassa e bianca di capelli, e stanca delle cure della casa e dei figli... chissà se ancora l'avrebbe messa là come una santa, in quel giardino profumato di rose. Perché è facile cantare dell'amore quando hai una fanciulla davanti agli occhi: la carne liscia e tenera, il rossore delle guance, i bei capelli folti e luminosi. Ma chi canta l'amore per una vecchia moglie che come un cavallo da tiro è sempre andata avanti? Io ero una scodella di zuppa, un letto caldo, una camicia comoda. Se c'era dell'altro non me l'ha mai detto, forse solo per pudore, o forse solo perché non c'era niente, niente da dire. Per questo sono felice di essere solo un'ombra. C'è una consolazione anche nell'essere dimenticati. C'è una consolazione nello stare così davanti a Dio, nell'umile niente che si è, e sapere che Egli ama ugualmente il genio di Dante e il caparbio niente di Gemma.
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Inviato da: angi137
il 06/04/2023 alle 07:44
Inviato da: cassetta2
il 24/08/2022 alle 18:56
Inviato da: Mr.Loto
il 19/02/2022 alle 12:00
Inviato da: anima_on_line
il 21/08/2020 alle 20:20
Inviato da: angi137
il 20/04/2019 alle 15:29