Prigione dei Sogni

Cercare adagio, umilmente, costantemente di esprimere, di tornare a spremere dalla terra bruta o da ciò ch'essa genera, dai suoni, dalle forme e dai colori, che sono le porte della prigione della nostra anima, un'immagine di bellezza che siamo giunti a comprendere: questa è l'arte. James Joyce

 

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Post N° 159

Post n°159 pubblicato il 02 Settembre 2008 da Notram
 

Oggi una persona mi ha detto: “Scrivi di amore, ma di quello che ti fa sorridere. Scrivi e vivi.”

E’ vero, sono nella tempesta. Ogni giorno per me è difficile restare stabile e saldo sulle mie gambe. Vengo trascinato via…
Ci sono cose che non troverò mai il coraggio di dirti. Cose che custodisco nel mio cuore e che lì rimarranno segregate
Si, soffro, soffro come non soffrivo da tanto, tanto tempo. Ci sono alcuni giorni, alcuni momenti in cui soffro talmente tanto che mi chiedo se ne valga la pena.
Ma sai che c’è? C’è che ora, non c’è più il silenzio. C’è che ora in ogni momento, c’è un tamburellare frenetico che accompagna la mia vita.
L’ho cercato il silenzio, ho bramato la solitudine, ma non sono riuscito a trovarli, perché quel rumorino è sempre lì, mi accompagna dovunque io vada.
Io non ti conosco così bene. Magari farai a brandelli il mio cuore, mi calpesterai e mi butterai via come un vecchio fiore che ha perso i petali, rigettandomi in quel baratro nero da cui sto provando ad emergere.
Ma io ti sarò sempre grato, nonostante tutto, perché ora il mio cuore batte, batte all’impazzata. Non riesco a farlo acquietare, non si ferma più. Lui se ne sta lì e batte così forte da farmi preoccupare. E se lui batte io sono vivo…
Non importa come andrà a finire questa storia, importa che io sono vivo. Che posso ancora amare e questo mi fa piangere di commozione.
Mi basta guardarti, anche da lontano, ed io sono felice e mi dispiace che a te io possa sembrare triste o abbattuto. Perché io sono felice, credimi, è solo che la felicità mi fa paura. Perché non la provavo da tanto tempo e vivo nella costante angoscia di perderla. Sai, vorrei solo prenderti per mano e dirti grazie, perché mi hai fatto tornare a vivere...
Mi piace quando sorridi guardando un film, con le mani vicino al viso e le gambe incrociate, mi piaci quando qualcosa ti turba e abbassi un po’ lo sguardo, abbozzando un mezzo sorriso per non far vedere agli altri che in quel momento non ci sei, che sei nel tuo mondo. Mi piace l’espressione che hai quando siamo a casa tua, quell’aura di responsabilità che ti circonda perché senti che il benessere delle persone che hai attorno dipende da te. Mi piace quando stai con le tue amiche, perché non c’è tensione nei tuoi occhi in quei momenti e posso vedere come sei veramente. Mi piace quando una di loro ti fa una proposta e tu, con la voce un po’ stridula gridi “Siiii”, oppure quando qualcuno di noi ti prende in giro e tu ti arrabbi.
Mi piace il tuo sorriso…quello mi piace più di tutto.
Vorrei poterti amare liberamente, vorrei essere amato anche solo un po’, anche solo per pochi secondi, vorrei raggiungerti, stabilire un contatto tra le nostre anime. Vorrei essere in grado di esprimerti quello che provo, anche solo in minima parte.
Ma non posso e non lo voglio neppure, non sarebbe la cosa giusta da fare. Tu ora non hai bisogno di questo. E allora non posso fare altro che guardarti da lontano per il momento, sperando che tu sia meravigliosa, stupenda come io ti vedo, e sperando che una volta tanto il destino non si prenda beffe di me.

In questa storia non ci sono solo sorrisi, ci saranno anche lacrime, questo è un dato di fatto. Io posso solo aspettare e sperare che almeno per una volta non siano le mie. Posso solo sperare di non aver paura, di non scappare, di non subire passivamente gli eventi.

Vivere, vivere davvero, con tutti i rischi che ciò comporta…

Bisogna provarci.



 
 
 

Post N° 158

Post n°158 pubblicato il 24 Agosto 2008 da Notram
 

Sai io non credo di volerti più vedere.
Mi dispiace sai, ma proprio non ce la faccio. Non ne ho la forza.
Non mi piace come mi sento quando ci sei tu, non mi piace perdere il controllo, sentirmi inadeguato, piccolo ed indifeso come una lacrima al sole.
Destinato a consumarmi.
All’inizio ero felice sai?
Mi piaceva l’idea di provare qualcosa, di sentirmi di nuovo vivo dopo tanto tempo.
Quella frenesia quando sapevo di vederti, l’agitazione nello scegliere cosa indossare; quel leggero batticuore che mi prendeva mentre ti vedevo scendere dalla macchina, prima di salutarti.
Quel tepore…quanto tempo addietro l’avevo già sentito? Non riesco a ricordarlo…
Ma poi le cose sono andate peggiorando: mi turbavi.
Mi scoprivo a pensare a te all’improvviso. A guardarti da lontano ed ad innamorarmi di ogni tuo piccolo gesto, di ogni piccola espressione del tuo viso. Quanti momenti potrei descriverti in cui non ho desiderato altro che di prenderti tra le mie braccia. Non per baciarti, non per fare l’amore con te. Solo per tenerti stretto e sentire il battito del tuo cuore, confonderlo col mio.
Mi sono riscoperto ad aver paura, aver paura che il passato potesse  tornare a bussare alla mia porta.
Perché per me l’amore ha sempre significato perdita. Ogni volta che il mio cuore si accendeva per qualcuno era come se esigesse un sacrificio in cambio per quei pochi attimi di piacere.
E così è stato anche stavolta, prima ancora che potessi solo avvicinarmi a te.
Perché l’amore che io provo è nero come sangue infetto che corrode la carne e brucia il cuore.
Sai, penso che ci sia un demone dentro di me. Un demone che ha fame, ed è di me che si nutre, consumandomi ogni giorno. Evidentemente ci sono dei momenti in cui questo demone ha appetito. Sono quelli i momenti in cui mi lascia libero di amare. Perché sa che poco dopo ci sarà un lauto pasto per le sue fauci bramose.
E’ troppo facile prendersela con Dio? Può darsi, ma per una volta voglio seguire la strada più semplice. Dopotutto c’è gente che soffre molto più di me, ma si sa, noi uomini siamo piccoli piccoli, ed è solo al nostro misero giardino che badiamo. Il mio ormai è pieno di rovi, rose appassite di cui restano solo le spine, e dopo essermela preso con me stesso per questo, con chi altri potrei prendermela? Mi è concesso almeno questo?
Non posso averti davanti agli occhi. Questo mi distruggerebbe. Per questo non posso fare altro che arrendermi e fuggire da te, da quello che rappresenti.
Sì perché forse non è da te che fuggo, ma dall’idea di potermi innamorare di nuovo. Il perché però te l’ho già spiegato.
Mi viene da ridere per la beffarda ironia di questa situazione. Solo pochi mesi fa mi chiedevo se qualcosa potesse penetrare dentro la spessa corazza che mi divideva dal mondo. Solo pochi giorni fa ero così felice e ti ringraziavo per esserci riuscita.
Se la metà degli esseri umani avesse il mio senso dell’umorismo a quest’ora le risate della nostra mediocre razza si sentirebbero come un eco profondo che si diffonde nell’universo.

Odio essere così maledettamente banale. Ma evidentemente ad essere banali sono i sentimenti umani.

Perché per scrivere devo soffrire? Abbiate pietà per quel che resta del mio orgoglio, non compatitemi…
Ben tornato a casa Notram!

 (N.)






 
 
 

Solo un errore...( Parte prima)

Post n°157 pubblicato il 05 Gennaio 2008 da Notram
 

Il Figlio

La prima volta che le bombe caddero sulla città io e mio fratello corremmo vicino alla finestra a vedere.
Restammo tutto il tempo con il naso appiccicato al vetro, per poter guardare meglio quello che per noi era una specie di capodanno, con le luci che illuminavano il cielo notturno e la possibilità di stare alzati fino a tardi.
Era un po’ come quando si passa il tempo ad osservare il temporale nel calduccio della propria casa. Ci si mette lì e si contano i secondi trascorsi tra il lampo ed il tuono cercando di indovinare l’attimo giusto.
In quei momenti siamo tutti coraggiosi, quando il boato arriva con un certo ritardo, in lontananza. Ma c’è che poi, quando invece il tuono esplode all’improvviso, vicinissimo alla finestra tanto da far rimbombare i vetri, si salta giù dalla sedia e si scappa sotto le coperte.
La prima volta che ci attaccarono noi eravamo eccitati, tanto eccitati da non accorgerci degli occhi dei nostri genitori.
Quegli occhi da quel giorno in poi ci divennero familiari, imparammo a vederli segnare il viso della mamma e del babbo ogni volta che uscivano di casa.
A noi invece non fu più permesso di uscire, ci avevano detto che la scuola era chiusa e che dovevamo restare a casa.
All’inizio fummo contentissimi: potevamo giocare tutto il giorno ed alzarci tardi. Ma dopo un po’ iniziammo ad annoiarci: ci mancavano i nostri amici ed era più bello giocare fuori che dentro casa. La mamma poi,era intrattabile, e ci dava delle sgridate incredibili per le più piccole cose, anche se dopo che uno di noi, mortificato, scoppiava a piangere, cambiava espressione e ci abbracciava e dicendoci che ci voleva bene e che noi eravamo la sua vita.
Alla fine, dopo una decina di giorni, ci portarono nei rifugi e almeno lì c’erano altri bambini. Ma allora eravamo troppo spaventati per giocare, ormai avevamo capito che la guerra non è come quella che facevamo con i soldatini.
La notte non si riusciva a dormire, a volte c’erano i bombardamenti, a volte avevamo solo paura.
La mamma riusciva ancora a sorridere, anche dopo che le bombe caddero sulla città. Invece nostro padre da quel giorno non sorrise più. A volte era gentile, ci dava anche delle pacche sulle spalle e ci diceva che stavamo crescendo bene. Però non sorrideva più.
Papà faceva il dottore a quei tempi, ora non ci riesce più. Dice che ha visto delle cose brutte e non ha più il coraggio di curare la gente.
A volte stava fuori per più di una giornata intera e quando tornava non riusciva ad addormentarsi. I momenti in cui lui era qui con noi erano gli unici momenti in cui la mamma ci perdeva di vista per andare ad abbracciarlo. Poi cercava di raccontargli la nostra giornata, ma non è che ci fosse poi molto da dire, visto che stavamo tutto il giorno chiusi dentro.
Ogni due o tre giorni lei usciva fuori e andava a comprare qualcosa da mangiare lasciandoci ad un’anziana signora grassoccia e con la faccia triste. La mamma ci disse che lei aveva perso il marito durante il primo bombardamento.
Quando andava via il mio fratellino piccolo mi prendeva la mano e la stringeva forte forte finché non la vedeva tornare, per cui inconsciamente associo quel dolore alla mano con l’immagine di lei che torna con una busta di frutta. A volte ci portava un sasso o una cosa da niente che aveva trovato per terra e ci raccontava una storia tanto assurda su quegli oggetti che sembrava quasi ci avesse portato un tesoro inestimabile e io e mio fratello finivamo per litigarceli.
Ma un giorno la mamma non tornò…
Era uscita per andare a comprare qualcosa da mangiare, perché mio fratello non la smetteva di piangere a causa della fame e pure io, me lo ricordo bene, glielo chiesi di portarci qualcosa, che non ce la facevo più.
Forse avremmo dovuto aspettare mio padre, lui sicuramente ci avrebbe portato del cibo quella sera. In fin dei conti bastava attendere qualche ora in più, ma in quel momento non ci pensai.
Ricordo solo alcune persone che si precipitarono dentro il rifugio tutte sporche di sangue e ferite.
“Banovina, Banovina, Banovina!”, continuava a ripetere un ragazzo e io lo sapevo che quello era il nome del mercato dove era andata mia madre, ma avevo troppa paura per chiedergli cosa fosse successo.
Presi mio fratello e lo portai lontano, in un angolino, ed insieme aspettammo la mamma per ore ed ore. Mi stringeva la mano talmente forte da farmi quasi piangere oppure ero io che avevo voglia di piangere, non ricordo..
Quella sera quando nostro padre tornò io ebbi paura di lui. Aveva un viso talmente scavato da sembrare quasi un mostro. Ci disse che un  bombardamento aveva distrutto il mercato, facendo un certo numero di vittime, tra cui nostra madre.
Io non volevo credergli. Insomma, lei era qui solo poche ore prima. Solo un giorno fa mi aveva schiaffeggiato perché mi aveva sorpreso fuori dal rifugio e solo la sera prima ci eravamo messi tutti vicini per sentire meno freddo.
Diedi del bugiardo a mio padre quel giorno, ma la mamma non tornò davvero.
In seguito, quando la guerra fu finita ci spiegarono che il nostro presidente si era macchiato di colpe gravissime e che l’esercito che aveva bombardato la città per tutti quei giorni era un esercito di liberazione.
Ci dissero di gioire, perché finalmente avevamo la possibilità di vivere in un paese democratico.
E quando alcuni chiesero di quella mattina, quando alle 11.25, dopo quaranta giorni di bombardamenti, i loro aerei avevano devastato un quartiere dove c’era un mercato sapete cosa dissero i liberatori?
Dissero che si erano sbagliati, che dovevano colpire un altro bersaglio ma le loro mappe erano vecchie.
Ci dissero che era stato solo un errore…

                                                              ( continua...)

           


 
 
 

Brindiamo

Post n°156 pubblicato il 01 Gennaio 2008 da Notram

Anche questo 2007 è volato via…
E’ tempo ora di festeggiare però, di aspettare con trepidazione quello che ci porterà il prossimo futuro.

Brindiamo dunque al nuovo anno, affinché ci porti tanta felicità e anche un po’ di serenità.

Brindiamo al nuovo anno, affinché ci porti salute e prosperità.


Brindiamo al nostro capo ufficio, affinchè si accorga della nostra competenza e ci stimi per quello che valiamo.


Brindiamo alla ragazza che ci piace, affinchè ci guardi finalmente con occhi diversi.


Brindiamo affinché quella maledetta pancia possa sparire durante il prossimo anno, e affinché venga inventata una qualche crema che elimini le stupide zampe di gallina che la mattina ci rendono così brutti.


Brindiamo affinché il Napoli ( e qui ognuno brindi alla propria squadra) possa vincere il campionato e magari comprare qualche grande campione, affinché l’Italia conquisti gli europei e Domenech possa essere licenziato e finire in mezzo ad una strada a mendicare.


Brindiamo a Sarcosì e alla bella Carla Bruni, affinchè abbiano un matrimonio prospero e i loro figli non conoscano mai la povertà.


Brindiamo affinchè i nostri blog possano diventare “blog del giorno”e affinchè siano commentati da tante persone.


Brindiamo affinchè questo sia l’anno decisivo, quello della svolta.


Brindiamo anche se non abbiamo un bicchiere, anche se il capodanno per noi è un giorno normale. Anche se non avevamo i soldi per mangiare ieri, figuriamoci oggi.


Brindiamo, anche se siamo anziani, dimenticati dai figli e dalla società.

Brindiamo anche se siamo invalidi, anche se la forza di tenere in mano il bicchiere non c’è.


Brindiamo affinchè nostro figlio anche oggi torni a casa senza essere incappato in una mina antiuomo, affinchè l’autobus che ha preso per andare a scuola non esploda in un attentato.


Brindiamo anche se fuori tutta la strada è ricoperta d’immondizia, anche se sappiamo che prima o poi qualcuno si stancherà e proverà a bruciarla, liberando fumi che intossicheranno noi e i nostri cari.


Brindiamo, anche se siamo monaci birmani, anche se ormai la gente ha smesso di mettere capi d’abbigliamento rosso per ricordarci ed in televisione non si parla più di noi.


Brindiamo anche se un uragano o un terremoto ci ha portato via la nostra casa e tutti i nostri ricordi. Anche se non abbiamo idea di come faremo a vivere domani.


Brindiamo anche se stiamo in un paese in guerra, anche se la paura per noi è diventata normalità, anche se ormai la vista di un cadavere non ci fa più orrore perché è diventata una vista consueta.

Perché in fondo è Capodanno ed è giusto festeggiare.



Brindiamo a noi, affinchè i nostri cuori e le nostre menti siano aperte in questo 2008, sperando di riuscire a guardarci intorno, di riuscire a ragionare con la nostra testa.


Io brindo affinchè la gente si ricordi sempre che una cosa succede anche quando i media non ne parlano e che la vita di una persona che muore qui ha lo stesso prezzo di quella di una che vive lontano dai nostri occhi.


Brindo a noi, con l’augurio di riuscire ad evadere da questa gabbia invisibile che ci circonda senza farsi notare.



Perché festeggiare non vuol dire dimenticare…

Tanti auguri a tutti e che questo 2008 ci porti qualcosa, qualunque cosa!

 


 
 
 

Post N° 155

Post n°155 pubblicato il 27 Dicembre 2007 da Notram
 
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"Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che è offerto al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso."

 (Marcel Proust) 

 

 
 
 
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