Creato da karmen71 il 20/07/2007

psicologia

psicologia e società

 

 

Post N° 11

Post n°11 pubblicato il 21 Luglio 2007 da karmen71

Il danno biologico psichico

Nel concetto di danno biologico, quale menomazione dell’integrità fisica e psichica della persona in sé e per sé considerata, come indicato esplicitamente nella sentenza n. 184 del 14 luglio 1986 della Corte Costituzionale, ha trovato il proprio riconoscimento il danno biologico di natura psichica.

La figura di danno biologico di natura psichica è ancora in corso di definizione ad opera della dottrina e della giurisprudenza.

La sentenza n. 372 del 27/10/1994 della Corte Costituzionale, stabilendo che il danno biologico, al pari di ogni altro danno ingiusto, è risarcibile soltanto come pregiudizio effettivamente conseguente a una lesione e, pertanto, necessita della dimostrazione della sussistenza di una patologia, ha posto, inoltre, l’attenzione sulla necessità che qualsivoglia disagio psicologico, per rientrare nella categoria di danno biologico, deve essere riconoscibile in quanto patologia, clinicamente significativa e, quindi, rilevabile esclusivamente da un accurato esame diagnostico.

In questo senso il danno psichico si distingue chiaramente dal danno morale, riferendosi agli effetti sulla salute mentale di un processo psicopatologico e non a uno stato d’angoscia transeunte, da ritenersi come risposta socialmente attesa di sofferenza a un evento traumatico.  

L’accertamento del danno psichico, quindi, deve avvenire all’interno della valutazione medico-legale del danno biologico, di cui costituisce parte integrante.

Il danno psichico, infatti, come affermato dalla Cassazione nella sentenza n. 911/99 del 3/2/1999 è rappresentato da una lesione della integrità psicofisica, una vera e propria lesione alla salute come bene giuridicamente tutelato dall’articolo 32 della Costituzione. In assenza di una lesione dell’integrità psicofisica della persona, pur in presenza di un peggioramento della qualità della vita, non è configurabile un danno biologico risarcibile.

Più precisamente, la sentenza n. 13340/99 del 29/11/1999 della Cassazione ha riconosciuto che il danno biologico può sussistere non solo in presenza di una lesione che abbia prodotto postumi permanenti, ma anche in presenza di lesioni che abbiano causato uno stress psicologico.

E’ andata via via disegnandosi, così, una definizione di danno psichico, come patologia mentale clinicamente significativa che può essere ricondotta, secondo un nesso di causalità, all’evento lesivo e si traduce in una alterazione dell’equilibrio della personalità e si manifesta attraverso una serie di sintomi e la compromissione delle abituali funzioni vitali della persona, nella sua vita familiare, sociale, lavorativa.

Se possiamo considerare il danno come l’effetto pregiudizievole causato da un comportamento fonte di responsabilità per la legge (danno ingiusto) possiamo dire, in termini di massima astrazione, che il danno psichico rappresenta quel danno che deriva da un comportamento altrui e provoca effetti pregiudizievoli sul  personale equilibrio psichico del soggetto.

Una questione controversa che riguarda il danno biologico è quella relativa all’imputabilità al danneggiante dei danni psichici agevolati dalla predisposizione della vittima.

Secondo una recente sentenza (Corte di Appello Milano  Sez. II civ. sent. 14 febbraio 2003,

Est. Chindemi Ric. Centro Poligrafico Milano Srl

 - Risarcimento "danno esistenziale" conseguente da inquinamento ambientale), “va escluso che lo stato di particolare debolezza emotiva della vittima possa determinare una attenuazione della responsabilità o una riduzione del risarcimento, ma ciò solamente qualora il fatto sia ritenuto sufficiente a provocare il danno psichico, in base ad un giudizio di valore che si fondi sul senso comune.

Solamente in tal caso, anche se la vittima versi in uno stato di particolare sensibilità emotiva che dia causa a danni psichici più gravi di quelli prevedibili, questi ultimi debbano essere risarciti integralmente e sempre che si provi che le ripercussioni psichiche negative, pur accertate, siano riconducibili causalmente al fatto illecito.

Ove ricorra tale evenienza il risarcimento del danno è integrale, indipendentemente dalle pregresse condizioni psichiche del soggetto.

Dal punto di vista della valutazione della preesistenza di danni psichici è opportuno ragionare in termini di struttura di personalità, più o meno predisposta a sviluppare un trauma, e quindi più o meno vulnerabile al trauma, generabile dall’evento lesivo.

Inoltre occorre richiamare l’attenzione che, pur in presenza di danni psichici preesistenti all’evento, il danno generato dall’evento stesso può configurarsi come “aggravamento della patologia psichica preesistente” o come “precipitare” di una patologia latente.

In ogni caso la valutazione del danno psichico deve essere effettuata tenendo conto del peggioramento del funzionamento familiare, sociale, lavorativo, della persona. Il danno può aver rotto un equilibrio che, per quanto patologico, permetteva al soggetto, prima dell’evento, di conservare un buon funzionamento, che dopo l’evento invece ha visto delle significative limitazioni. 

In pratica…

 L'onere della prova incombe sulla persona che agisce in giudizio per il risarcimento del danno alla salute.

La prova deve basarsi su una perizia medico legale che accerti il grado di invalidità subito dal soggetto leso.

Per questo motivo, quando si verifica un evento lesivo dell’integrità psico-fisica del soggetto che costituisce fonte di responsabilità per la legge il medico specialista in medicina legale e delle assicurazioni viene chiamato a redigere un parere riguardo la percentuale di invalidità permanente residuata in una persona che presenta postumi e menomazioni.

Una lesione può regredire oppure evolvere sempre più, fino ad arrivare a ciò che si definisce "postumo", cioè vero e proprio esito della lesione in cui la modificazione peggiorativa diviene statica (invalidità permanente). Il riflesso funzionale negativo della lesione e del postumo sull'integrità fisico-psichica dell'individuo si chiama "menomazione".

La percentuale di invalidità permanente  viene individuata dal medico legale anche tenendo conto di fattori come la capacità lavorativa generica oppure specifica, della capacità sociale, estetica, sessuale, eccetera.

La valutazione in genere è riferita alla singola persona, è strettamente individuabile e varia da caso a caso in funzione dei fattori detti sopra, considerando anche il danno futuro in cui è possibile prevedere un ulteriore menomazione (è il caso ad esempio di una previsione di artrosi in una colonna cervicale irrigidita irrimediabilmente) da un colpo di frusta).

Spesso la valutazione medico-legale viene effettuata allo scopo di ottenere un risarcimento da una Compagnia Assicurativa per lesioni psico-fisiche ed esiti di invalidità permanente conseguenti a incidenti stradali ed infortuni.

Una delle controversie più frequenti nella valutazione di invalidità permanente e conseguente richiesta di indennizzo, riguarda i danni psichici che possono conseguire ad incidenti stradali o ad infortuni.

La valutazione dell’entità del danno psichico e soprattutto del nesso di causa tra danno ed evento, richiede un’analisi dettagliata e complessa di uno psicologo/psichiatra, che rilevi il quadro sintomatologico e le alterazioni funzionali, presenti e la loro relazione con l’evento lesivo. 

Il medico-legale quindi deve, in tal caso, lavorare in equipe con uno psichiatra o uno psicologo che possa effettuare un’analisi clinica sulla persona affetta da psicopatologia per valutare se e in quale misura le manifestazioni psicopatologiche rappresentino una menomazione nel senso tecnico-giuridico del termine, ossia nella sua accezione medico legale.

Così lo psicologo può essere chiamato nell’ambito della perizia medico-legale a valutare la presenza di eventuali danni psichici. 

In questo caso deve redigere una relazione tecnica che andrà a integrare la valutazione medico-legale. 

Certamente lo psicologo che redige la relazione tecnica deve preoccuparsi di analizzare le conseguenze che il danno psichico sta avendo sulla vita del soggetto che si pretende abbia subito la lesione.

Nella relazione tecnica lo psicologo, oltre a fare una diagnosi relativa alla condizione psichica attuale della persona analizzata, deve fornire importanti elementi che consentano di valutare l’esistenza di un rapporto causale tra evento lesivo e danno psichico eventualmente diagnosticato. 

Così, prima di tutto, la valutazione del danno psichico pone allo psicologo il problema di definire dei criteri metodologici per stabilire quando una risposta a un evento può essere riconosciuta come causa di un pregiudizio per l’equilibrio psichico del soggetto.

Questo è un problema molto complesso per lo psicologo, considerato che ogni individuo reagisce in maniera diversa agli eventi e non tutti sviluppano un disagio mentale, nemmeno dinanzi agli eventi più tragici.

Una risposta patologica, infatti, dipende da numerosi fattori, tra cui le condizioni psichiche della persona al momento del verificarsi dell’evento, il modo del tutto personale di spiegarsi l’evento all’interno della propria biografia, il significato  personale che la persona attribuisce all’evento.

In generale, quindi, potremmo dire che siamo in presenza di danno psichico quando possiamo rilevare una risposta patologica dell’individuo all’evento lesivo contingente.

Appare chiaro, a questo punto, che i nodi fondamentali da sciogliere per arrivare a una definizione di criteri per il riconoscimento e la quantificazione del danno psichico sono:

§ La definizione di criteri che possano garantire un elevato livello di validità della diagnosi clinica;

§ La definizione di criteri in base ai quali valutare l’esistenza di un nesso di causalità tra evento lesivo e fenomeno psicopatologico.

 

 
 
 

Il danno biologico

Post n°10 pubblicato il 21 Luglio 2007 da karmen71

Negli anni ’70 alcune decise pronunce delle Corti di merito hanno messo definitivamente in crisi il sistema risarcitorio fondato sulla dicotomia danno patrimoniale-danno non patrimoniale, mediante l’introduzione di una fattispecie inedita di danno: il danno biologico.

Sicuramente possiamo riconoscere nella sentenza del Tribunale di Genova, datata 25 maggio 1974, il primo tentativo in sede giurisprudenziale di ovviare alle mancanze del legislatore in tema di danno alla salute. 

La sentenza, infatti, ha stabilito che il danno alla salute si riferisce alle attività lavorative ed extra-lavorative, nelle quali sono incluse tutte quelle attività che permettono all’individuo di realizzare la propria personalità.

L’evoluzione concettuale che ha portato alla definizione della figura di danno biologico è stata ufficializzata dalla Consulta, anche se solo nel 1986, con la storica sentenza n. 184 del 14.7.1986.

Questa sentenza, confermando che la tutela della salute trova il suo fondamento nell’art. 32 Cost., ha introdotto la figura risarcitoria del danno biologico, in quanto danno alla salute che si configura come “menomazione della persona vista nella somma delle funzioni naturali aventi rilevanza biologica, culturale, sociale ed estetica” e ha affermato che tale menomazione sussiste anche a prescindere da altre conseguenze, come ad esempio quelle morali o quelle patrimoniali, derivanti dall’evento lesivo.

Così è diventato chiaro che il danno alla salute è un danno che riguarda il "valore uomo", e inficia le attitudini non lucrative della persona danneggiata,  i servizi che questa può rendere a se stessa, come vestirsi, aver cura della propria persona, camminare, guidare).

Il danno biologico è andato così delineandosi come un danno che attiene al bene assoluto della tutela della salute in senso lato, a prescindere dall’attitudine della persona a produrre reddito (Cass. 14.101993, n. 10153).

Così il danno alla salute, definito danno biologico, va a configurarsi come un “tertium genus”, distinto e autonomo rispetto al danno strettamente patrimoniale e al danno morale.

Un’altra sentenza della medesima Corte ( n° 372/94) ha esaminato, in particolare, l’ipotesi del danno biologico da morte del congiunto.

Dalla lettura della sentenza si ricava il principio secondo cui, nel caso di lesione al bene salute, che provoca la morte dell’individuo, sorge un diritto di risarcimento in capo alla persona deceduta per i danni subiti “dal momento della lesione a quello della morte”.

In altri termini, se la morte della persona sopraggiunge dopo un lasso rilevante di tempo dal verificarsi dell’evento lesivo, si configura il diritto della persona stessa deceduta a un risarcimento per i danni che ha subito, dal momento in cui si è verificata la menomazione psicofisica al momento in cui è sopraggiunto il decesso.

Tale diritto al risarcimento può essere esercitato, iure hereditatis, dai parenti della persona deceduta.

Inoltre, sempre secondo la sentenza in questione, è possibile ipotizzare, in capo ai congiunti della persona deceduta, un danno biologico e il relativo diritto al risarcimento, iure proprio, nel caso in cui la morte del parente abbia indotto in questi “una lesione psico-fisica (infarto da shock o uno stato di prostrazione tale da spegnere il gusto di vivere”).

In questo senso il danno biologico rappresenta un danno conseguenza “della lesione di un diritto altrui”.

Come ha precisato la ormai celebre sentenza n. 184/86 della Corte Costituzionale la sussistenza di tali danni, in quanto danni “eventuali”, deve essere concretamente provata dal soggetto leso.

In altri termini il soggetto leso deve provare la perdita di quelle utilità "afferenti alla persona", di natura non patrimoniale, suscettibili di valutazione equitativa da parte del giudice.

L’introduzione del danno biologico ha consentito l’affermarsi di nuove figure risarcitorie, espressione delle nuove esigenze di protezione della sfera personale.

All’introduzione della figura di danno biologico è seguita una complessa operazione di perfezionamento della definizione della figura stessa, che ha assorbito figure di danno alla persona già elaborate in precedenza,  come quelli di danno alla capacità lavorativa generica, di “danno alla vita di relazione”, di “danno estetico”, di “danno alla vita sessuale” ed altri.

Nonostante questa integrazione le figure hanno conservato una certa dignità autonoma di danno, assumendo, così un aspetto rilevante nella individuazione delle conseguenze effettive provocate nel caso concreto dal danno biologico e influendo nella valutazione del risarcimento.

Così la figura del danno biologico è andata configurandosi sempre più come uno strumento importante di perequazione e di adattamento del risarcimento del danno alla persona a seconda del caso concreto preso in esame.

 
 
 

Post N° 9

Post n°9 pubblicato il 21 Luglio 2007 da karmen71

Il risarcimento dei danni psichici.

Se hai subito un danno per la tua salute a causa di un evento colposo o doloso hai diritto a un risarcimento. 

Spesso chi subisce un danno alla salute non sempre è consapevole dei propri diritti e rinuncia a massimizzare il giusto risarcimento economico.

In particolare questo è vero per chi subisce danni alla propria salute psichica.

Del resto, in generale, in Italia la malattia mentale è ampiamente misconosciuta e sottovalutata.

Nonostante gli sconfortanti dati dell’OMS, secondo cui almeno 450 milioni di persone nel mondo soffrono di disturbi mentali, neurologici o comportamentali e circa 873.000 persone muoiono suicide ogni anno, il diritto alla salute mentale è ancora scarsamente tutelato. 

La malattia mentale resta ancora, in gran parte, non diagnosticata e non trattata, gli interventi di prevenzione, volti a ridurre i rischi d’insorgenza dei disturbi psichici, sono in sostanza inesistenti, molte patologie gravi e invalidanti spesso sono sottovalutate.

Eppure la salute mentale è una emergenza sanitaria che non riguarda soltanto l’Italia, ma l’intera popolazione mondiale. Dal rapporto, che nel 2001 l’OMS ha ritenuto opportuno dedicare alla salute mentale, emerge, infatti, che le malattie mentali non sono confinate a casi rari e isolati, ma sono largamente diffuse nel mondo e influenzano profondamente la qualità della vita delle persone che ne sono affette e dei loro familiari.

L’OMS ha proposto in questo rapporto l’utilizzo di nuovi parametri che sono molto importanti, tra l’altro, per il nostro discorso.

Tali parametri  consentono di misurare l’impatto di una malattia non più solo in termini di mortalità prematura, ma anche in termini di anni di salute che la malattia fa perdere in disabilità.

Questi parametri sono indispensabili per una più adeguata comprensione delle conseguenze della malattia mentale nella vita degli individui, giacché il disagio mentale influisce poco sulla mortalità, ma è in grado di produrre molti anni di disabilità, soprattutto se non diagnosticato precocemente e non adeguatamente trattato.

 Questi stessi parametri si rivelerebbero molto utili per la comprensione delle conseguenze sulla salute mentale prodotte da eventi fonte di responsabilità per la legge, come ad esempio incidenti stradali, ferroviari, aerei, errori professionali, infortuni sul lavoro, pubblicità ingannevole (ad esempio sul fumo), per restare solo a quelli più diffusi.

Tali eventi, infatti, sono in grado di produrre effetti devastanti sull’equilibrio psichico oltre che fisico di una persona, e spesso hanno come conseguenza lunghi anni di disabilità, influendo negativamente sul funzionamento familiare, sociale e lavorativo delle vittime.

Ma se nelle ricerche epidemiologiche sugli stress ambientali più diffusi, come gli incidenti stradali, sono analizzate tutte le possibili conseguenze sulla salute fisica e sulla mortalità, quasi mai vediamo presi in considerazione gli effetti di questi sulla salute mentale delle persone coinvolte e dei loro familiari.

Abbiamo, perciò, pochi dati abbiamo a disposizione per valutare l’incidenza dei danni ingiusti sulla salute mentale della popolazione. 

Eppure oggi siamo consapevoli dell’origine multifattoriale della patologia mentale e sappiamo che alcuni stress ambientali possono agire da variabili che, in concausa con fattori biologici, personali, sociali, favoriscono l’insorgere o il precipitare di una patologia mentale.

Gli stress ambientali ingiusti cui ognuno di noi può essere sottoposto sono molteplici e di vario tipo.

Le conseguenze, in termini di patologia mentale, derivanti da questo tipo di eventi lesivi sono largamente diffuse e spesso causano intensa sofferenza e importanti restrizioni alla capacità individuale di essere soggetto attivo della società, oltre a costituire un serio costo economico e sociale.

Tra questi eventi è possibile riconoscere, tra gli altri, incidenti stradali, ferroviari, aerei, infortuni sul lavoro, malattie professionali, condizioni elevate di stress lavorativo, acuti conflitti familiari, errori medici, errori giudiziari, che, agendo come stress ambientali, possono richiedere alle persone coinvolte un aumento delle prestazioni affettive e cognitive tali da indurre, in alcune di queste, l’insorgere di danni psichici.

La carente gestione delle condizioni di comorbidità tra disturbi mentali ed eventi lesivi, la scarsità di conoscenze epidemiologiche sui danni psichici indotti da eventi lesivi nella popolazione, l’assenza d’informazione sui disturbi mentali che possono essere legati a eventi traumatici, rendono impossibile la realizzazione di interventi di prevenzione e non contribuiscono certamente a  diffondere una più ampia solidarietà nei confronti delle persone la cui vita psichica resta segnata da danni ingiusti.

Una presa di coscienza dei danni psichici che possono derivare da eventi come incidenti stradali, infortuni sul lavoro, maltrattamenti e abusi di ogni genere, consentirebbe l’elaborazione di disegni d’intervento precoce, volti ad accrescere le possibilità di diagnosi e presa in carico precoce e quindi le possibilità di prognosi favorevole.

In questo senso la ricerca scientifica resta indietro rispetto alla giurisprudenza che negli ultimi anni ha compiuto dei progressi fondamentali in materia di tutela risarcitoria dei danni psichici, in quanto danni derivanti da eventi lesivi fonte di responsabilità per la legge, aprendo nuove prospettive di tutela integrata tra psicologi e operatori della giustizia nell’ambito più generale della tutela del diritto alla salute mentale.

La componente psichica, fino ad alcuni anni or sono, era stata scarsamente o per nulla considerata nel risarcimento del danno alla salute.

La salute mentale non era quasi mai apprezzata come elemento indispensabile dell’integrità dell’uomo in quanto bene protetto dalla Costituzione.

Il medico-legale aveva una formazione prettamente organicistica (e questo è vero ancora oggi), la dottrina giuridica considerava il danno soprattutto in termini di compromissione della capacità di produrre reddito e tendeva a dare risalto, nella valutazione delle menomazioni ad alcuni settori corporei. Tutto ciò comportava una disattenzione nei confronti della sofferenza psichica, che veniva vista non come lesione dell’integrità dell’uomo ma come intensa sofferenza transitoria, relegabile nel contenitore rappresentato dal danno morale.

Soprattutto, spesso, la sofferenza psichica veniva considerata come il risultato di una simulazione da parte della vittima dell’evento che si presentava chiaramente al medico-legale con finalità risarcitorie di indennizzo.

Diventa sempre più chiaro, oggi, invece, che “la simulazione non esiste. Non esiste, perché è scientificamente impossibile: almeno in quei termini grossolani in cui è comunemente intesa, o meglio, malintesa” (Brondolo, Marigliano, Il danno psichico, 1996).

E’ chiaro che tentativi di simulazione possono essere azzardati, quasi sempre in maniera goffa, da alcuni.

Ma un’esperta analisi della metacomunicazione, che davvero è impossibile simulare, e della coerenza del quadro sintomatologico rappresentato, insieme alla valutazione psicodiagnostica, sicuramente minimizzano i rischi della simulazione, al punto da renderne inspiegabile l’importanza che gli è stata fino ad oggi attribuita.

I profondi mutamenti che si sono verificati negli ultimi decenni nella dottrina e nella prassi psichiatrica,  una più affinata sensibilità degli operatori del diritto nei confronti dei temi concernenti il danno alla salute, l’introduzione in campo clinico di una guida nosografica delle malattie mentali accettata in campo internazionale (DSM) ha portato a  una considerazione del tutto nuova della sofferenza psichica, intesa come pregiudizio del bene salute, costituzionalmente tutelato.

La determinazione di nuove importanti figure di tutela risarcitoria nell’ambito del danno alla persona, stanno ponendo la medicina legale dinanzi alla necessità di servirsi di competenze diverse, tra cui quelle psicologiche, per garantire in senso ampio a ogni cittadino la tutela del proprio diritto alla salute e di ottenere un equo risarcimento per i danni subiti.

E in questo senso, la psicologia legale, per quanto attiene alla tutela del diritto alla salute, è una disciplina che può essere considerata come complementare alla medicina legale.

Altresì importante è, però, il ruolo della psicologia legale nella prevenzione dei danni alla salute, con strumenti adeguati che possono essere realizzati sulla scorta dei dati derivanti dalla valutazione medico-legale dei danni prodotti dagli eventi lesivi.

La medicina legale è la disciplina che contribuisce ad elaborare ed applicare precetti giuridici che concernono la tutela della vita e della salute psico-fisica dell’individuo, mediante l’applicazione di concetti medici a categorie giuridiche. Questa disciplina si trova oggi dinanzi a importanti cambiamenti, che discendono da una sempre più moderna concezione di salute come benessere fisico, psicologico e sociale e da una sempre più attenta tutela legale del diritto alla salute.

Possiamo dire, pertanto, che la psicologia può offrire un contributo importante alla tutela, insieme alla medicina legale, di un diritto fondamentale dell’individuo, il diritto alla salute, sia con strumenti di prevenzione del danno sia con strumenti che consentano un equo risarcimento a chi i danni li ha già subiti.

Soprattutto, a determinare questa spinta verso un profondo cambiamento di cultura nella medicina-legale è stata la comparsa, sulla scena giuridica della rivoluzionaria figura risarcitoria del danno biologico.

 Richiedi una consulenza: carmen.pernicola@fastwebnet.it

 
 
 

Post N° 8

Post n°8 pubblicato il 20 Luglio 2007 da karmen71

 Le Consulenze Tecniche Psicologiche

Valutazione del danno psichico.

Assistenza e valutazione dell’idoneità e potestà genitoriale in caso di separazione, divorzio, modifica delle condizioni di affidamento, conflitti e problematiche familiari.

Colloquio di valutazione della coppia o del minore, vigilanza e consulenza psicologica per affidamento familiare, preadottivo, a istituzioni, eterofamiliare, adozione nazionale e internazionale.

Assistenza nella valutazione dello status del minore (riconoscimento, dichiarazione di paternità o maternità naturale).

Valutazione dello stato di abbandono e assistenza.

Valutazione della capacità di consenso nell’interruzione volontaria di gravidanza del minore.

Valutazione della capacità di consenso nel matrimonio del minore che abbia compiuto sedici anni.

Refertazione per valutazione del danno alla persona di carattere psicologico connesso a eventi di natura dolosa o colposa, ai fini di un risarcimento economico (postumi d’infortunio o d’incidente).

Assistenza nel collocamento temporaneo del minore presso famiglie o comunità di tipo familiare.

Assistenza nella procedura di annullamento del matrimonio presso la Sacra Rota.

Refertazione per valutazione del danno arrecato alla persona nei contesti lavorativi.

Assistenza nelle problematiche poste dall’immigrazione e dall’integrazione culturale.

Consulenza nelle indagini sui marchi e sulla pubblicità ingannevole.

Valutazione dell’identità psicosessuale e della richiesta di cambiamento di genere.

Refertazione a uso pensioni, idoneità alla guida e al porto d’armi.

Valutazione della violazione della privacy.

Valutazione della capacità di redigere testamento.

Per informazioni e per fissare un appuntamento scrivere a carmen.pernicola@fastwebnet.it.

 
 
 

Post N° 7

Post n°7 pubblicato il 20 Luglio 2007 da karmen71

Indicazioni valutative proposte per il danno biologico psichico.

A cura di Carmen Pernicola, psicologa

Indicazione valutativa proposta: danno biologico temporaneo di natura psichica

Sintomi post-traumatici di durata inferiore a tre mesi, con persistenza di ricordi spiacevoli ricorrenti e intrusivi dell’evento, sogni spiacevoli ricorrenti dell’evento, agire o sentire come se l’evento traumatico si stesse ripresentando (illusioni, allucinazioni, episodi dissociativi di flashack), disagio psicologico intenso all’esposizione a fattori scatenanti interno o esterni che simbolizzano o assomigliano a qualche aspetto dell’evento traumatico, esitamento persistente degli stimoli associati con il trauma e attenuazione della reattività generale, non presenti prima del trauma.

Presenza di sintomi transitori attesi in presenza di uno stimolo psico-sociale stressante, come deficit dell’attenzione, facile affaticabilità, tensione muscolare, difficoltà ad addormentarsi e a mantenere il sonno, irritabilità, riduzione della capacità di concentrarsi a lungo in un compito, ipervigilanza, esagerate risposte di allarme, stati depressivi lievi, riduzione delle prestazioni scolastiche e lavorative, sensazione soggettiva di insensibilità, distacco o assenza di reattività emozionale, riduzione della consapevolezza dell’ambiente circostante (sensazione di stordimento), derealizzazione, depersonalizzazione lievi, amnesia dissociativa (incapacità di ricordare uno o più aspetti rilevanti dell’evento lesivo).

I sintomi non causano significativa menomazione del funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree importanti, né compromettono la capacità dell’individuo di eseguire compiti fondamentali, come ottenere l’assistenza necessaria o mobilitare le risorse personali riferendo ai familiari l’esperienza traumatica e hanno una durata di non più di quattro settimane dall’evento lesivo.                                  

Indicazione valutativa proposta 10-15%

Ansia, attacchi di panico, evitamento fobico, presenti a distanza di almeno un anno dall’evento lesivo, associati con la presenza o dall’attesa di un oggetto o di una situazione specifica legati al ricordo dell’evento lesivo (per esempio vedere il sangue, subire pratiche cliniche invasive, cadere, percorrere una certa strada, guidare).

L’evitamento, l’ansia anticipatoria o il disagio nella situazione temuta interferiscono in maniera signifciatvacon la normale routine della persona, con il suo funzionamento sociale e/o lavorativo o comporta un marcato disagio per la consapevolezza di soffrire della fobia.

Paura marcata e persistente di una o più situazioni sociali o prestazionali nelle quali la persona è esposta a persone non familiari o al possibile giudizio degli altri e legate a danni, come ad esempio il danno estetico, conseguenti all’evento lesivo.

Intensificazione e permanenza per più di tre mesi di sintomi post-traumatici, con persistenza di ricordi spiacevoli ricorrenti e intrusivi dell’evento, sogni spiacevoli ricorrenti dell’evento, agire o sentire come se l’evento traumatico si stesse ripresntando (illusioni, allucinazioni, episodi dissociativi di flashack), disagio psicologico intenso all’esposizione a fattori scatenanti interno o esterni che simbolizzano o assomigliano a qualche aspetto dell’evento traumatico, esitamento persistente degli stimoli associati con il trauma e attenuazione della reattività generale, non presenti prima del trauma. I sintomi post-traumatici causano disagio clinicamente significativo o menomazione del funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree importanti e/o compromettono la capacità dell’individuo di eseguire compiti fondamentali, come ottenere l’assistenza necessaria o mobilitare le risorse personali riferendo ai familiari l’esperienza traumatica.

Sintomi legati alla preoccupazione per un difetto nell’aspetto fisico conseguente all’evento lesivo, che causano disagio significativo o menomazione nel funzionamento sociale, lavorativo, oppure in altre aree importanti e non è attribuibile a un altro disturbo mentale (ad es. anoressia nervosa).

Indicazione valutativa proposta 20-30%

Sintomi psicopatologici: idee di suicidio, frequenti attacchi di panico, tenendeze cleptomaniche ed altre anomalie della condotta (ad es. assunzione incongrua  e arbitraria di psico-farmaci, trascorrere spesso la notte fuori casa), alterazioni significative del tono dell’umore, prendere decisioni avventate che coinvolgono altri componenti la famiglia, ripetute assenze non giustificate dal lavoro, disturbi della sessualità correlabili direttamente all’evento lesivo o alle conseguenze, ad esempio estetiche, derivate dall’evento lesivo.

Indicazione valutativa proposta 30-40%

Deliri non bizzarri che durano almeno un mese, con eventuale presenza di allucinazioni tattili o olfattive correlate al tema delirante, che non compromettono in modo rilevante il funzionamento sociale e lavorativo e non rendono il comportamento eccessivamente stravagante o bizzarro e non sono legati a una condizione medica generale o a sostanze di abuso.

Sintomi legati alla preoccupazione per un difetto nell’aspetto fisico conseguente all’evento lesivo, che portano a un isolamento sociale estremo, abbandono della scuola o del lavoro, lavoro al di sotto delle proprie possibilità, e non sono attribuibili a un altro disturbo mentale (ad es. anoressia nervosa).

Amensia dissociativa, con uno o più episodi di incapacità a ricordare dati personali importanti, di natura traumatica o stressogena, che risulta troppo estesa per essere spiegata come banale tendenza a domineticare e non è dovuta all’effetto fisiologico diretto di una sostanza o a una condizione medica generale o neurologica.

Indicazione valutativa proposta 40-50%

Significativa, ma episodica alterazione della capacità di comunicare, di entrare e di essere in relazione con gli altri, diminuzione delle capacità critiche e di giudizio e saltuari deliri con deficit del funzionamento sociale ed occupazionale, esperienza persistente o ricorrente di depersonalizzazione.

Presenza di deficit clinicamente significativi cognitivi, come deficit della memoria, disorientamento (nel tempo e/o nello spazio), alterazioni dell’eloquio e del linguaggio, come disartia, cioè compromissione della capacità di nominare gli oggetti, disnomia, cioè compromissione della capacità di scrivere, afasia, presenza di eloquio divagante e non pertinente,o incalzante e incoerente, con imprevedibili salti da un tema all’altro, presenza di  alterazioni percettive, come false interpretazioni, illusioni, allucinazioni, che costituiscono una modificazione significativa del livello di funzionamento precedente all’evento e non sono legati a una Condizione Medica Generale né sono indotti da sostanze.

Indicazione valutativa 55-65%

Alterazione della coscienza (cioè ridotta lucidità della percezione dell’ambiente), con riduzione della capacità di focalizzare, mantenere o spostare l’attenzione, che compromettono gravemente la vita quotidiana del soggetto.

Indicazione valutativa 65-75%

Diminuzione della capacità di avere cura della propria persona, rischi o di atti violenti contro se stessi e contro gli altri, frequenti stati di eccitamento psicomotorio, perdita delle relazioni sociale ed affettive.

Tendenza alla fuga dissociativa, con allentamento inaspettato da casa o dall’abituale posto di lavoro, con incapacità di ricordare il proprio passato e confusione circa la propria identità.

Indicazione valutativa 75-90%

Deliri, allucinazioni, eloquio disorganizzato, comportamento disorganizzato o catatonico, affettività appiattita o inadeguata, abulia, che comportano per un periodo significativo di tempo dall’esordio del disturbo una grave disfunzione in una o più delle principali aree di funzionamento come il lavoro, le relazioni interpersonali, o la cura di sé, accompagnati da una intensa sintomatologia aggressiva con alto rischio suicidarlo e di violenze eterodirette.

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