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« TESTIMONIANZA MINORE, ME...4) la perizia sul testimone »

LA MEMORIA DELL' EVENTO

Post n°210 pubblicato il 15 Maggio 2007 da psicologiaforense
 

 L’ignoranza dei meccanismi intrapsichici e relazionali del minore, sempre allarmante, diventa pericolosa quando investe il processo giurisdizionale dove il permanere di stereotipi e pregiudizi che vogliono il bambino ignaro e indifferente al sesso, rischia di alterare il già difficile compito della ricerca della verità. 1 bambini hanno precisi e legittimi interessi riferiti alla sfera sessuale; fanno esperienze e immagazzinano ricordi. Il problema, colto autorevolmente da Freud e oggetto di una sua famosa lettera scritta il 21 settembre 1897 all’amico Wilhehn Fliess, sarà quello di capire quanto vi sia di vero o di fantasticato nelle narrazioni a sfondo sessuale riferite a “ricordi” risalenti all’età infantile. Il dubbio sorge ed è legittimo, perché la capacità di osservazione, di conservazione della traccia mnestica e di rievocazione di un bambino è diversa da quella dell’adulto e questa specificità investe tutto il processo di formazione dei ricordi, compresi quelli di natura sessuale. Importanti chiarimenti sono venuti dalla ricerca che ha indagato il fenomeno dell’amnesia infantile e il modo in cui si sviluppa nei primi anni dell’infanzia la memoria degli eventi della vita reale, sia che si tratti di episodi specifici sia di schemi generali. Negli ultimi trenta anni un gruppo di studiosi (Nelson e Gruendel, 1979) ha analizzato il modo in cui i bambini organizzano la loro conoscenza degli eventi della vita quotidiana, cioè i loro schemi degli eventi (script) e questa ricerca ha permesso di accertare che i bambini di 3-4 anni sono in grado di verbalizzare la loro conoscenza di copioni relativi a fatti ricorrenti, come la merenda all’asilo o i pranzi dai nonni. Queste stesse ricerche hanno però messo in luce che in molti casi i bambini piccoli non riescono a ricordare nulla di un episodio isolato, accaduto solo qualche giorno prima; come, ad esempio, una passeggiata. Questo dato inatteso ha permesso agli studiosi di formulare un’ipotesi relativa allo sviluppo della memoria degli eventi reali per la quale i ricordi episodici emergono soltanto dopo che si è formato lo schema generale per quell’evento. Cioè, da un punto di vista ontogenetico, la formazione dello schema generale precede la memoria episodica. Come precisa Nelson (1993) la giustificazione logica di questa ipotesi è che, per potersi formare, il copione di base richiede un certo numero di esperienze di quell’evento, ognuna delle quali contiene variazioni di minore importanza. Solo quando la gamma di variazioni minori è abbastanza ben delimitata e si è formato un copione, una deviazione dallo schema viene avvertita e memorizzata dal bambino. Prima di questo momento, tutte le variazioni entrerebbero a far parte del copione generale come valori possibili. Da questo assunto discendono due importanti implicazioni:

a) - gli episodi che sono conformi ad una routine aspettata non verranno conservati nella memoria autobiografica perché non fanno altro che confermare il copione già stabilizzato. Il bambino, pertanto, si limiterà a ricordare il copione;

b) - gli eventi unici non verranno conservati nella memoria episodica perché, in quanto unici, non possono avvalersi di un copione che faccia loro da supporto.

La letteratura sulla memoria autobiografica sembrerebbe confermare queste implicazioni perché si è visto che la maggior parte dei ricordi della prima infanzia riguardano variazioni insolite della routine piuttosto che eventi insoliti isolati o routine quotidiane ripetitive. Questa particolarità ha un suo preciso scopo perché la funzione della memoria, in quanto sistema di adattamento è quella di predire evenienze, azioni ed esperienze del futuro che servono a facilitare la capacità dell’individuo di adattarsi all’ambiente e alle circostanze. Sotto questo aspetto, la formazione di schemi generali degli eventi di routine acquista assoluta priorità sul piano dell’adattamento dell’individuo. Il fatto di notare le variazioni nella routine è importante per l’organizzazione di schemi che metteranno in condizione il soggetto di formulare possibili aspettative. Allo stesso modo, eventi del tutto insoliti, che cioè non concordano con gli schemi acquisiti, possono entrare in memoria al fine di “essere schematizzati” solo quando si sarà sperimentato un altro episodio dello stesso tipo. Se l’evento rimane unico, allora il suo ricordo non ha valore alcuno per l’adattamento dell’individuo perché viene meno la possibilità di determinare e organizzare le differenze e le somiglianze con altri eventi. Questi episodi singoli vengono memorizzati a breve termine e quindi sono persi per il sistema della memoria autobiografica a meno che non abbiano grande rilevanza ai fini dell’adattamento (ad esempio, l’esperienza di essersi bruciati con l’acqua bollente o l’aver toccato una fiamma). In sostanza, sembra che gli sforzi mnestici del bambino siano finalizzati ad organizzare l’informazione di volta in volta disponibile per decifrare gli eventi futuri e sviluppare la capacità di agire in conseguenza. Quello che esula dagli schemi cognitivi generali non riesce ad essere interpretato e organizzato in memoria autobiografica. E’ solo con il crescere dell’esperienza e la stabilizzazione dei copioni, facilitata dal ripetersi degli eventi, che i bambini cominciano a concentrare l’attenzione sugli aspetti speciali e distintivi che rendono gli eventi diversi e inusuali. C’è anche da aggiungere che l’esperienza percettiva del bambino è ancora molto limitata per cui certi meccanismi, presenti anche nell’individuo adulto, come quello del completamento dell’evento percepito, possono diventare importanti fonti di errore. II bambino, come l’adulto, percepisce e ricorda più facilmente i dettagli che richiamano percezioni analoghe ed inconsapevolmente tende a completare il nuovo precetto con lo schema creatosi a seguito di precedenti esperienze. Ad esempio, se un bambino è abituato a sentir entrare in casa una certa persona ad una certa ora, se a quella certa ora sente aprire la porta sarà pronto ad affermare, per un fenomeno di spostamento di percezioni precedenti, che ad entrare è stata quella certa persona. In altri termini, come è stato autorevolmente segnalato fin dai primi anni del secolo (Claparède, 1907; Gorphe, 1924, Musatti, 1931) il fanciullo - in opposizione a quella analitica dell’adulto - ha un tipo di percezione sincretica, spesso attratta da un particolare che lo può facilmente indurre in errore quando si tratti di operare un completamento dei fatti a posteriori. Un altro fattore che sembra avere un peso determinante nella formazione dei ricordi infantili è quello del contesto sociale della rievocazione fornito dall’interazione con figure adulte, come la madre. Se la madre è stata presente all’evento sperimentato dal bambino, è in grado di fare domande specifiche e di fornire, così, specifiche chiavi rievocative. Gli adulti, infatti nel fare domande al bambino su eventi vissuti gli forniscono una notevole quantità di informazioni su quanto è accaduto, su quello che il bambino ha visto, sulle sue impressioni e così via (“ricordi che quando siamo andati dai nonni ti sei spaventato per il temporale?”). È allora possibile, come ritiene Fivush (1993), che il bambino incorpori informazioni provenienti dagli adulti nel suo successivo ricordo dell’evento. In altri termini si insegna al bambino cosa deve ricordare, quale esperienza privilegiare, tra le tante vissute in una data occasione, che tipo di risposta emotiva collegare ad un dato evento e così via. È appena il caso di osservare come questi meccanismi possano essere messi in moto per creare nel bambino ricordi, sensazioni, esperienze in realtà mai vissute o per modificarne l’originaria percezione. In questi casi, tutt’altro che rari, la suggestione esercitata dall’adulto crea nella mente del bambino un falso copione al quale verranno riferite le pseudo-esperienze narrate. Questi complessi meccanismi, aggravati dalla tendenza del bambino a confondere gli elementi percepiti con quelli immaginati (con la conseguenza che nella sua memoria il ricordo di quanto immaginato può diventare altrettanto reale di quello percepito), possono essere la causa dei “falsi ricordi” che la più aggiornata ricerca scientifica ha attentamente investigato (Loftus, 1994). Una straordinaria quanto inattesa conferma a queste osservazioni è venuta da ricerche scientifiche condotte a livello neuronale (Kosslyn,1980, 1994) attraverso le quali si è accertato che nel nostro cervello esistono centri nervosi che si attivano sia quando vediamo qualcosa sia quando ci immaginiamo di vedere quella stessa cosa. In sostanza il processo di immaginazione genera un’attività cerebrale molto simile a quella che si produce quando si osserva concretamente un oggetto. Un’altra ricerca ha dimostrato che esistono centri nervosi specificamente attivi sia quando si compie un certo gesto che quando vediamo qualcuno compierlo. Da queste osservazioni, secondo gli scienziati, “si può tranquillamente dedurre che azione, percezione e immaginazione sono molto più simili tra loro di quanto non si fosse mai sospettato. In molti casi queste attività scaturiscono dalla stessa base, si identificano alla loro radice, cioè al livello dei neuroni... questi risultati sarebbero inspiegabili se non accettassimo di attribuire una genuina ‘realtà’ alle immagini mentali e a ben precise trasformazioni mentali eseguite su queste immagini” (Piattelli Palmarini,1996). Si tratta di dati di straordinaria importanza che potrebbero rappresentare un’autorevole conferma di osservazioni empiriche relative alle anomalie mnestiche e, in particolare, al fenomeno dei “falsi ricordi” che tanta parte rivestono nella difficoltà di valutazione della testimonianza e non solo infantile (si veda in ordine a tutte le problematiche che precedono: Abruzzese S., 2005; Carponi Schittar D., Bellussi G., 2000;  de Cataldo Neuburger L., 1988; de Cataldo Neuburger L., 1997;  Dèttore D., Fuligni C., 1999; Galimberti U., 2000; Gulotta C., de Cataldo Neuburger L., Pino S., Magri P., 1996; Kernberg P. F., Weiner A. S., Bardenstein K. K., 2001).

 
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