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IL COMMENTO,

Post n°3396 pubblicato il 18 Dicembre 2009 da psicologiaforense

Rischi per la salute anche davanti ai fornelli?

 

Non può accadere che le casalinghe italiane rischino di dover assumere i veleni di venti sigarette, restandosene dalle due alle quattro ore davanti ai fornelli, dosi ipotizzate entrambe dagli esperti di architettura domestica. Affermano infatti costoro, e non ci sono ragioni per dubitarne, che dalla fiamma di gas urbano si sprigionano dosi massicce di ossido d'azoto e di altri subdoli tossici, corrispondenti appunto al classico pacchetto di bionde messo in vendita dallo Stato, con tanto di tasse governative e di stampigliatura sui gravi rischi per la salute che ne derivano. Una mezza mattina trascorsa fra pentole bollenti e tegami friggenti equivarrebbe, insomma, a una passeggiata nelle strade cittadine, dove sia scattato l'allarme per altissimo grado d'inquinamento. Non può, dunque, accada che ciò accada per il semplicissimo fatto che, esclusi cuoche e cuochi di professione, ci è difficile immaginare vivandieri in genere, cioè donne ma anche uomini, impegnati così a lungo nel fare valere la loro arte, nel combinare ricette e nel cuocerle, dal momento che il cibo, il nutrimento, è ormai l'ultima preoccupazione della giornata. C i si può dispiacere o meno, ma il rammarico non muta la sostanza coinvolgente non soltanto chi trascorre molta parte della quotidianità fuori casa. Persino il buon governo domestico, liberamente scelto, ha relegato la cucina in fondo alla scala delle priorità, non certo per inettitudine, bensì perché è difficile se non impossibile conciliare gli orari della famiglia intera, e sarebbe disdicevole programmare turni di servizio al desco così, degradando ancora di più il focolare a pensioncina con andirivieni di ospiti. Quindi, male che vada, l'addetto ai fornelli di casa, qualunque sia il successo, fumerà controvoglia, e fino ad oggi a sua insaputa, dalle quattro alle cinque sigarette, sempre nocive e tuttavia ben al di sotto della soglia di pericolo. A meno che lui o lei, nel sollevare un coperchio fumante o nel rimestare in una teglia, non regga una sigaretta vera, accesa, con la mano libera (gesto che inizialmente seppe, per la donna, di liberazione) nel qual caso occorrerebbe la calcolatrice per misurare l'entità del rischio e del conseguente danno.
A questo punto, inevitabilmente, sopravviene il ricordo delle antiche casalinghe, che nelle affollate famiglie d'un tempo cominciavano a far fuoco alle sei del mattino e non di rado spargevano la cenere a custodir la brace, per l'indomani, solo con il sopraggiungere delle tenebre. Nessuno può stabilire a quale genere di guaio siano andate incontro, se lo abbiano avvertito. D'accordo: la legna che brucia ha caratteristiche diverse dal gas che arde, eppure si è sostenuto che anche in quella esistono sostanze inquinanti: al punto da aver ipotizzato in due pacchetti di sigarette il quantitativo di catrame contenuto in una bella bistecca cotta alla nuda fiamma. E allora? Come conviene comportarsi se ogni giorno ad allarme si aggiunge allarme, se tutto attorno a noi, in questo nostro mondo gabellato per infelice ma invero godibilissimo, è un agguato sui passi che stiamo per compiere? Se addirittura nella tradizionale pace di una cucina si affacciano o bussano le esigenze di politiche abitative ecosostenibili? Non c'è affatto da aver timore. Sono lì a portata di mano i cibi precotti, le scatolette, i «servi e mangia», al cui confronto un tramezzino ben farcito diventa leccornìa. Con l'unico rammarico che, chi sarà costretto a vivere per centotrent'anni filati, se la passi poi meglio di quanto a noi sia toccato in sorte, noi che commiseriamo la longevità prossima ventura per l'invidia verso chi ne godrà mentre a noi, presumibilmente, ma mica è detto, pare non ci sia data

 
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