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Messaggi del 21/11/2009

 

SEGUE... RIFLESSIONE DELLA NOTTE ( SECONDA PARTE), L'INFEDELTA' COME INCONTINENZA

Post n°3257 pubblicato il 21 Novembre 2009 da psicologiaforense

RIFLESSIONE DELLA NOTTE

 

SEGUE DAL PRECEDENTE POST ( V E D I! )

TRADIMENTO E INFEDELTA'... COME "INCONTINENZA"?

 

( SEGUE DAL PRECEDENTE POST, VEDI)

 ....il tradimento è una realtà che l'individuo tende a «negare» come qualcosa che non gli appartiene, come «altro da sé», per la sofferenza che esso comporta e il conseguente dolore della «mancanza». Tuttavia esso si inserisce prepotentemente nella vicenda umana, creando possibilità di cambiamento dai risvolti non sempre negativi.
Gabriella Turnaturi, docente e studiosa di sociologia della «vita quotidiana», nel suo recente scritto «Tradimenti», conduce il lettore verso una comprensione profonda e complessa di questo evento, tanto temuto quanto poco conosciuto. Dall'opera, infatti, emerge una dimensione del tradimento assai lontana da quella del senso comune che ne mette in luce la rilevanza sociale, la sua significatività nei diversi contesti storici e sociali, in rapporto, quindi, agli aspetti simbolici dei contesti in cui esso avviene.
La scrittrice nel corso della disamina sull'argomento ne descrive la «fenomenologia», isolandone alcuni aspetti specifici. Il primo e più importante è quello che ne fa emergere il carattere «relazionale», per il quale esso rappresenta non tanto un'aggressione verso un'altra persona, quanto un'azione diretta, più o meno intenzionalmente, alla distruzione del rapporto, del patto d'unione con questa. Il tradimento, inoltre, proprio in quanto evento relazionale, è il risultato della collaborazione attiva, consapevole o inconsapevole, di due soggetti: tradito e traditore. Come avviene spesso nei rapporti di coppia, ambedue i partner collaborano al tradimento, anche se apparentemente è uno di loro che si affida totalmente all'altro, permettendogli di manipolarlo o sedurlo.
Si favorisce il tradimento «negandone» anche l'esistenza, attraverso varie forme di autoinganno. Nei rapporti amorosi spesso si sceglie di «non vedere» i vari segnali di allontanamento dell'altro per mantenere in vita il rapporto con lui; così gradualmente anche i ruoli reciproci si stabilizzano sull'autoinganno, sulla divisione rigida fra «traditore» e «tradito».
Altre volte, invece, può avvenire che due partner si scambino vicendevolmente i ruoli di traditore e tradito in un gioco di reciproca ambivalenza, mantenendo entrambi, al di fuori della coppia, altre relazioni poco significative e scarsamente coinvolgenti, ma funzionali al mantenere in vita il rapporto stabile con il partner ufficiale.
In definitiva, perché vi sia tradimento, bisogna che esso venga percepito come tale da chi è tradito, così come da chi tradisce. Non è possibile, infatti, imporre a qualcuno di «sentirsi tradito» contro la sua volontà; mentre si può manipolare qualcuno per indurlo a sentirsi tradito, anche in assenza della reale esperienza di tradimento. Così ha fatto subdolamente Iago con Otello, insinuando nella mente di lui la «percezione» del tradimento, in maniera tale che nessuno sarebbe riuscito a convincerlo del contrario. Le prove che confermano un supposto tradimento, infatti, vere o false che siano, assumono un aspetto di veridicità, poiché ogni gesto e parola vengono interpretati dal presunto tradito in riferimento all'esperienza considerata reale.
Nonostante il tentativo di considerarlo «altro da sé», il tradimento rappresenta nella vita dell'individuo un'esperienza ineludibile, personificando ciascuno in diversi periodi della propria esistenza il ruolo di tradito o traditore. Si tradisce infatti l'amato, così come la patria, l'amico; si arriva persino a tradire se stessi.
Fin dai primi archetipi di Giuda Iscariota e Simon Pietro narrate dai Vangeli, il tradimento ha assunto via via nella storia e nelle diverse civiltà un significato differente che ne ha rivelato un'intrinseca complessità, fino ad arrivare oggi a quello consumato nella comunicazione virtuale. Lontani ormai i tempi della «A» cucita sulle vesti della donna adultera protagonista di «La lettera scarlatta» di Hawthorne, il tradimento sembra essere sempre più accettato socialmente come una modalità «normale» dell'interagire, considerato un «vizio comune» . Tuttavia, indifferenza sociale a parte, esso rimane un evento spesso traumatico e doloroso per colui che ne è direttamente coinvolto. L'individuo, infatti, rimane solo con il proprio tradimento, solo con la sofferenza, e non giova a molto sapere che anche altri soffrono per la stessa causa.
L'aspetto morale del «tradire» sembra essere rimasto sepolto sotto le ceneri di età passate, superate, liberando apparentemente l'uomo dal senso di colpa connesso all'azione riprovevole. La modernità, lavando la colpa con l'indifferenza, ha reso possibile, ad esempio, una modalità interattiva tra individui che si può riassumere nella frase «Life is just another window» , riportata dalla psicologa Sherry Turke a seguito di un'intervista sull'argomento. Ma se la vita non è altro che una delle tante finestre che si possono aprire o chiudere sullo schermo di un computer, ogni finestra è per l'individuo che vi entra, una forma di realtà non molto diversa da quella vista nel mondo materiale. Passando da una finestra all'altra, da un mondo all'altro, da un'identità all'altra, si moltiplicano le possibilità di tradire l'una o l'altra appartenenza. E i tradimenti non sono mai virtuali, perché mettono in gioco emozioni autentiche, passioni vere che dilaniano la nostra soggettività che sembra talvolta smarrire più il senso della «lealtà» persino nell'ambito della comunicazione più intima, quella col sé individuale.

 
  

 
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RIFLESSIONI, PENSIERI, OPINIONI, CONSIDERAZIONI, COMMENTI, SUGGESTIONI....PER UN NUOVO GIORNO

Post n°3256 pubblicato il 21 Novembre 2009 da psicologiaforense

RIFLESSIONE DELLA NOTTE (parte prima)

TRADIMENTO E INFEDELTA'... COME "INCONTINENZA"?

Siamo abituati a pensare al tradimento come a un evento di cui ci illudiamo di poterne ricostruire le origini. Eppure esso non è mai riconducibile a una sola causa, ad un'antica ragione, e ci pone spietatamente di fronte al più grande enigma dei rapporti umani: l'inconoscibilità dell'altro. Il tradimento, infatti, «coglie di sorpresa» segnando talvolta nell'esistenza dell'individuo un punto di svolta importante. Esso comporta una «frattura» , la rottura di un patto sancito da propositi di lealtà e solidarietà tra individui. E ciò in quanto ogni relazione interpersonale nasce e si struttura attorno a un «condividere qualcosa» : un obiettivo da realizzare, un rapporto da costruire, un'avventura da affrontare assieme, così come un gioco, segreto, un conflitto e così via. A monte di tali relazioni si forma quindi un «Noi» , un'unità di soggetti e di intenti che già al suo nascere contiene in sé la possibilità della separazione, della rottura, quindi del «tradimento».
Ogni relazione per sopravvivere, però, ha bisogno di discrezione, rispetto reciproco per cui non è possibile «darsi totalmente» , all'altro, né pretendere un'attenzione privilegiata e continua. Per salvaguardare l'integrità e l'individualità personali bisogna alternativamente «essere con l'altro» e «staccarsi dall'altro» , in un gioco dialettico che forma spazi di unione e di separazione, aree condivise e zone di libertà. Ed è proprio in questo alternarsi dell'esserci e del non esserci che trova spazio il tradimento. Un rapporto completamente trasparente in ogni suo aspetto non può esistere, perché il totale coinvolgimento tra individui comporterebbe l'immobilità e quindi l'annullamento di ciascuno nell'altro.
In virtù di ciò, è possibile pensare al tradimento come a un evento a carattere interattivo e processuale. Tradito e traditore divengono tali solo nell'ambito di un loro rapporto e rispetto alla particolare fisionomia del patto che li lega e dell'interazione che mettono in scena.

*******

SEGUE NEL PROSSIMO POST ( VEDI)

 
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MIE CONSIDERAZIONI, CULTURA, PSICOLOGIA, VITA, FILOSOFIA, VENDETTA, CARNEFICE, VITTIMA, MASS MEDIA, DONNA MADRE

Post n°3255 pubblicato il 21 Novembre 2009 da psicologiaforense

CONSIDERAZIONI DELLA SERA ( UN PO' TECNICHE QUINDI ADATTE SOLO AI I MIEI 25 PAZIENTI LETTORI ).

 

La “condivisione della vendetta”  della donna-madre

CARNEFICI E VITTIME

 

L'equilibrio della persona a livello emotivo-comportamentale è il risultato della sua “storia”, nel senso più ampio del termine, includendo non solo i vissuti relativi all'intimità soggettiva e familiare, ma anche le stimolazioni esterne, i messaggi che provengono dal contesto sociale ampio, e quindi le esperienze altrui diffuse attraverso la comunicazione ( le “erudite” trasmissioni televisive ). È normale, dunque, che si possano creare fenomeni di identificazione tra emittente e destinatario di un messaggio. A tutti è comune l'esperienza di rivedere e rivivere nelle vicende socializzate dai media la propria soggettività, in una dimensione storica-personale. Le ansie individuali e le problematiche irrisolte diventano spesso ferite difficili da cicatrizzare, solchi nell'anima sempre presenti a testimoniare e ricordare momenti di grande sofferenza e smarrimento. Talvolta l'individuo prova quasi una sensazione di sollievo alle proprie ansie quando si rispecchia nelle ferite altrui; e quindi non si sente solo a combattere contro il dolore e la sfortuna. Ma c'è un'altra faccia della condivisione a distanza che nasconde insidie che possono rivelarsi gravi, a volte drammatiche. La continua esposizione a messaggi che propongono fatti moralmente deprecabili genera disgusto e compassione assieme, poiché vede contrapposte due soggettività: la vittima e il carnefice, una parte buona e una cattiva accomunate solitamente da un legame emotivo intenso, spesso passionale. I rapporti a forte contenuto emotivo sono più esposti a vivere la loro relazione secondo le due polarità dell'odio e dell'amore, dell'aggressività e del sostegno reciproco. E i comportamenti corrispondenti ai due estremi ricevono una sorta di “inconscia giustificazione” dalla particolarità del legame che unisce tra loro gli individui.
I rapporti madre-figlio, come quelli di coppia, appartengono alla categoria menzionata. Il passaggio automatico di sentimenti ed emozioni da un soggetto all'altro, soprattutto nei casi in cui esistono delle sintomatologie celate o manifeste in uno dei due è possibile, anche se per fortuna non frequente. Può accadere così che una madre, già provata da vicende personali gravi, “sposti” i suoi sentimenti sui figli, proiettando su questi lo stato di malessere personale o, in casi estremi, la sua stessa volontà di autodistruzione per vendicarsi. Ma la morale interiorizzata non permette solitamente la messa in atto di istinti aggressivi primitivi; infatti, a questi fanno da contraltare altri sentimenti nobili, quali la tenerezza, l'altruismo e soprattutto un amore forte, viscerale. Anzi in senso di “disgusto” verso l'aggressività interviene sempre a proteggere la psiche dalla messa in atto di comportamenti illeciti. E il disgusto diventa collettivo quando i fatti di violenza e di morte vengono proposti dai media. In tal caso, però, vittima e carnefice sono uniti dalla stessa popolarità: il loro legame, da privato, si fa pubblico, riproponendo ancora il dualismo amore-odio nell'animo di chi ascolta i fatti attraverso testimonianze e documenti filmati. L'ascoltatore chiede col suo disgusto “vendetta” per una soggettività ferita o annientata, quella della vittima, naturalmente. Ma chi ascolta talvolta per sue vicende personali o per struttura psicologica può essere più orientato a identificarsi col carnefice che, attraverso la distruzione dell'altro, ha agito la sua inconsapevole vendetta contro la vita che gli ha negato gioia e godimento. Per cui il messaggio esterno si insinua come un tarlo a minare ulteriormente un equilibrio interiore già precario. Da qui, il “passaggio all'atto” può essere breve, istantaneo, inconsapevole come in un sogno in cui tutto diventa lecito e dal quale ci si può anche non risvegliare.

 
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ULTIMA ORA, DELITTO DI PERUGIA, E' IL MOMENTO DELLA "REDDE RATIONEM", FOTO

Post n°3254 pubblicato il 21 Novembre 2009 da psicologiaforense

 Omicidio Meredith - Il giallo di Perugia

Chiesti, anche,  nove mesi di isolamento diurno per la Knox e due per Sollecito.
La sentenza forse il 17 dicembre
.

 

Nelle foto:  1) Un momento dell'udienza, 2 e 3)  Raffaele e  Amanda in aula durante la requisitoria dei pubblici ministeri.
 
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FOTONOTIZIA

Post n°3253 pubblicato il 21 Novembre 2009 da psicologiaforense

Parigi sui tacchi

«Corsa sui Tacchi» sulla distanza dei 50 metri, ovviamente riservata al gentil sesso con annesse scarpe con almeno 7 centimetri di tacco. Il tutto nella suggestiva notte di Parigi. (Afp/Miguel Medina)

 
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UN AMICO E COLLEGA ACCOLTELLATO NEL SUO STUDIO

Post n°3252 pubblicato il 21 Novembre 2009 da psicologiaforense

Accoltella il suo  psicologo:
"Lei mi ha reso impotente"

Nella sua mente malata aveva pianificato tutto. E, in concreto, è riuscito a mettere in atto il suo folle piano senza, fortunatamente, portarlo a termine grazie alla reazione della vittima. Gaetano Paciello voleva uccidere il suo ex psicologo, colpevole a suo dire di «averlo reso impotente» mettendogli «dei farmaci nei pasti e nell'acqua» all'interno della comunità dove viveva.
L'aggressione al collega Dott.  Antonio Berton, 40 anni, di Marostica, è avvenuta ieri alle 9.15 a Dueville, all'interno della comunità "Il bosco" di via Villanova.
Paciello, 38 anni, foggiano residente a Vicenza, sta scontando, nella comunità terapeutica "Il glicine" di Torrebelvicino, dove vive in libertà vigilata, un periodo di cura per aver tentato 5 anni fa di uccidere il suo amministratore di condominio. Venne dichiarato incapace di intendere e volere; ieri è tornato in cella, sempre per tentato omicidio e lesioni gravissime.
In base alla ricostruzione dei carabinieri della compagnia di Thiene e di Dueville, Paciello era partito di buon'ora in bicicletta da Torrebelvicino. Aveva premeditato l'aggressione, perché aveva sottratto un coltello in comunità e se l'era nascosto in tasca.
Aveva raggiunto "Il bosco", dove era stato ospite di recente, ed aveva salutato alcuni amici. «Dov'è il dottor Berton, che volevo salutarlo?», aveva chiesto. «Arriva fra poco», gli avevano risposto, ed era rimasto ad aspettarlo, senza lasciar trasparire i suoi propositi.
Lo psicologo, responsabile della comunità, era giunto in via Villanova poco dopo. I due si erano salutati, e poi Paciello gli aveva chiesto se potevano scambiare due parole. «Certo, Gaetano, entra nel mio studio» (vedi foto Stella) Chiusa la porta, non appena gli ha per un attimo voltato le spalle, Paciello ha aggredito Berton con la lama. Lo ha colpito alla scapola sinistra e quindi alla mano e al polso destri, che lo psicologo aveva alzato per difendersi. Paciello pareva una furia: ha spinto il professionista a terra e gli è saltato addosso per colpirlo.
Un infermiere, udite le urla del Dott. Berton, ha spalancato la porta dello studio ed  è intervenuto. Lo psicologo è riuscito a divincolarsi e a scappare; accompagnato dal Suem al S. Bortolo, è stato giudicato guaribile in 20 giorni.
I militari del capitano Piscitello e del maresciallo Forlano, recuperato il coltello insanguinato, hanno  arrestato il Paciello . «Sono partito da Torrebelvicino per aggredirlo. Mi ha reso sterile con i suoi farmaci», ha spiegato al PM di Vicenza Dott. Severi.

 
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FOTO CURIOSA DEL GIORNO

Post n°3251 pubblicato il 21 Novembre 2009 da psicologiaforense

Contadine svizzere alla riscossa: sexy e ironiche nel calendario 2010

Arriva inesorabile anche quest'anno il calendario delle contadine svizzere: sono sexy, ironiche e allusive.  Treccine in testa, mucche al fianco e tutti quegli elementi che caratterizzano il paese elvetico. Il calendario Bauernkalender 2010 riserva non solo verdi pascoli, ma soprattutto bollenti visioni.

 
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SCIENZA DELLA VITA, POLITICA, GUERRA CIVILE, PACE, CONVIVENZA PACIFICA, GUERRIGLIA URBANA, TERRORISMO, ATTENTATI MORTALI,

Post n°3250 pubblicato il 21 Novembre 2009 da psicologiaforense

METASTASI NELLE METROPOLI

Osserviamo il mappamondo. Localizziamo le guerre in corso in territori a noi lontani. Parliamo di sottosviluppo, non-contemporaneità, fondamentalismo. Questa lotta incomprensibile sembra svolgersi a grande distanza. Ma si tratta di un'illusione. In realtà la guerra civile ha già fatto da tempo il suo ingresso nelle metropoli. Le sue metastasi sono parte integrante della vita quotidiana delle grandi città, e questo non solo a Lima e Johannesburg, Bombay e Rio, ma anche a Parigi e Berlino, Detroit e Birmingham, Milano e Amburgo. I suoi protagonisti non sono soltanto terroristi e agenti segreti, mafiosi e skinhead, trafficanti di droga e squadroni della morte, neonazisti e vigilantes, ma anche cittadini insospettabili che all'improvviso si trasformano in hooligan, incendiari, pazzi omicidi, serial-killer. E questi mutanti, come nelle guerre africane, sono sempre più giovani. La nostra è pura illusione se crediamo davvero che regni la pace soltanto perchè possiamo ancora scendere a comprarci il pane senza cadere sotto il fuoco dei cecchini. La guerra civile  non viene dall'esterno, non è un virus importato, bensì un processo endogeno. All'inizio è sempre una minoranza a fomentarla; probabilmente basta che una persona su cento la sostenga per rendere impossibile ogni convivenza civile. Le nostre guerre civili, finora, non hanno contagiato le masse: sono guerre molecolari. Ma possono comunque, come dimostra il caso della rivolta di Los Angeles, scatenarsi in qualsiasi momento raggiungendo dimensioni incalcolabili.

Fonte:  Hans Magnus Enzensberger (1994),  Prospettive sulla guerra  civile,  Einaudi

 
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CONSIDERAZIONI, RIFLESSIONI, COMMENTI, OPINIONI, PENSIERI, SUGGESTIONI....PER UN NUOVO GIORNO

Post n°3249 pubblicato il 21 Novembre 2009 da psicologiaforense

RIFLESSIONE DELLA NOTTE

DACCI OGGI UN “CODICE SESSUATO”:  LA DEMOCRAZIA NASCE NELLA COPPIA.

LA democrazia sta andando a rotoli? Ma certo. Abbiamo sbagliato tutto sinora. Questo nobile quanto fragile, essenziale quanto imperfetto sistema di CONVIVENZA CIVILE ha un "peccato" d'origine: fondandosi sulla politica e ignorando l'etica, non sgorga dalle radici della vita umana. Bisogna rifondarlo, e ripartire, stavolta correttamente, dal nucleo primigenio, il rapporto uomo-donna. Cominciando a credere che il compito più utile e più bello sia rinunciare al possesso dell'altro per riconoscerlo come altro. Non dicendo mai più “mio” parlando dell'altro. Ma bastano le parole? E vengono usate correttamente? A questo punto non sarà la parola "democrazia" che va cambiata?

 

 
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