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Post N° 94

Post n°94 pubblicato il 07 Aprile 2005 da adrians3

L’idea era in cantiere da diversi anni,  ma si e’ concretizzata solo di recente. Un grande contenitore di idee per fare cultura a Mortara. Di seguito il manifesto e la storia da cui il circolo prende nome.

 

 

 

 

Manifesto di costituzione dell’”Associazione Culturale  Il villaggio di Estaban”

 

 

Abitiamo in Lomellina, una terra che vediamo diventare sempre piu’ periferia della metropoli lombarda, per quanto riguarda  l’inquinamento , le ceneri, le industrie nocive, le infrastrutture  pesanti che sconvolgono il paesaggio, l’agricoltura industrializzata.

Le nostre citta’ soprattutto attorno a Mortara sono ormai diventate  quartieri per dormire,  giovani e non , studenti e lavoratori  le abbandonano in gran numero  la mattina presto  , per farvi ritorno la sera :  troppo stanche  per vivere la citta’,  per provare a raccontare o a raccontarsi, spesso prede delle maglie accattivanti ma  inquietanti della televisione.

Anche il clima non aiuta la socialita’ e da sempre il lomellino  viene considerato  un tipo chiuso e asociale.

Nel regno delle merci e del consumo nascono e crescono  unicamente ipermercati mentre i progetti culturali  sono limitati  e poco strutturati.

Non e’ facile  dunque fare cultura in questa realtà ma ci vogliamo provare.

Per cultura  intendiamo la voglia di capire   quello che succede intorno a noi, incontrare e rappresentare altre realta’, superare lo status quo  dell’esistente,  promuovere quelle idee e quei bisogni che la cultura ufficializzata non considera. E infine trovare altre strade rispetto ad una civilta’ che ha troppo insistito sull’efficienza, sull’importanza di produrre, svalutando nella vita delle persone il tempo qualitativo, il tempo delle imprese e delle avventure non monetizzabili, il tempo dell’amore, del fare collettivo, il tempo della riflessione.

 

Vogliamo lavorare per questa citta’, per questo territorio  perche’ crediamo  ad una nuova stagione  che valorizzi e riconosca il ruolo della promozione culturale di base.

Perche per noi  la cultura e’ un valore collettivo. Non un bisogno voluttuario, soggettivo, ma una rete di relazioni che promuove comunita’

Perche coltiviamo il desiderio di una citta’ intesa come luogo delle relazioni e del vivere civile, una citta’ solidale, una citta’ multiculturale, una citta’ aperta.

 

E poiche’ prevediamo per il nostro futuro un collegamento con l’Arci nazionale  definiamo questo circolo come un  centro di vita associativa, autonomo, pluralista,  a carattere volontario, democratico e progressista.

Il cui scopo  sara’ quello di promuovere anche insieme ad altre associazioni,   attivita’ culturali, formative, informative, ricreative e turistiche contribuendo in tal modo alla crescita culturale e civile della citta’.

Potremo anche  dire che in tutti i campi in cui si manifesteranno  esperienze culturali, ricreative e formative e tutti quelli in cui si potra’ dispiegare un’azione civile contro ogni forma di ingiustizia, di violenza, di discriminazione,  di esclusione… noi ci saremo.

 

 

Il villaggio di Esteban,  da cui prende  nome il nostro Circolo ,deriva  da un racconto tratto dal libro “ La incredibile e triste storia della candida Erendina e della sua nonna snaturata”, di Gabriel Garcia Marquez.

 

 

I primi bambini che videro il promontorio oscuro e circospetto che si avvicinava dal mare si fecero illusione che era una nave nemica. Poi videro che non portava né bandiere né alberatura, e pensarono che fosse una balena. Ma quando si incagliò sulla spiaggia gli tolsero i cespi di sargassi, i filamenti di meduse e i resti di banchi e di naufragi che si portava addosso, e soltanto allora scoprirono che era un annegato. Avevano giocato con lui tutto il pomeriggio, seppellendolo e disseppellendolo nella sabbia, quando qualcuno li vide per caso e gridò allarme nel villaggio. Gli uomini che lo trasportarono fino alla casa più vicina notarono che pesava più di tutti i morti conosciuti, tanto quasi un cavallo, e di dissero che forse era stato troppo tempo alla deriva e l’acqua gli si era cacciata dentro le ossa. Quando lo stesero per terra videro che era stato molto più grande di tutti gli uomini, perché ci stava malapena nella casa, ma pensarono che magari la facoltà di continuare a crescere dopo la morte era nella natura di certi annegati. Aveva l’odore del mare, e soltanto la forma permetteva di supporre che era il cadavere di un essere umano, perché la sua pelle era rivestita di una corazza di remora e di fango. Non dovettero pulirgli la faccia per sapere che era un morto estraneo. Il villaggio aveva appena una ventina di case di tavole, con cortili di sassi senza fiori, sbandate sull’estremità di una punta desertica. La terra era così scarsa, che le madri vivevano nella paura che il vento si portasse via i bambini, e i pochi morti che gli anni gli andavano cagionando dovevano gettarli giù dalle scogliere. Ma il mare era placido e prodigo e tutti gli uomini ci stavano in sette barche. Sicché, quando trovarono l’annegato, bastò che si guardassero l’un l’altro per rendersi conto che c’erano tutti. Quella notte non uscirono a lavorare in mare. Mentre gli uomini si accertavano se non mancava nessuno nei villaggi vicini, le donne rimasero a curare l’annegato. Gli tolsero il fango con stoppacci di sparto, gli districarono dai capelli i cardi sottomarini e gli raschiarono la remora con ferri da squamare i pesci. A mano a mano che lo facevano, notarono che la sua vegetazione era di oceani remoti e di acque profonde, e che il suo vestito era a brandelli come se avesse navigato attraverso labirinti di coralli. Notarono anche che sopportava la morte con alterezza, perché non aveva il sembiante solitario degli altri annegati del mare e nemmeno la cera sordida e da bisognoso degli annegati fluviali. Ma soltanto quando finirono di pulirlo ebbero coscienza della classe d’uomo che era, e allora rimasero senza fiato. Non solo era il più alto, il più forte, il più virile, il più armato che esse avessero mai visto, ma anche mentre lo stavano vedendo eccedeva la loro immaginazione. Non trovarono nel villaggio un letto abbastanza grande per allungarlo, né una tavola abbastanza solida per vegliarlo. Non gli andavano né i calzoni da festa degli uomini più alti, né le camicie domenicali dei più corpulenti, né le scarpe del più piantato. Affascinate dalle sue sproporzioni e dalla sua bellezza, le donne decisero allora di fargli un paio di calzoni con il bel pezzo  di vela  brigantina, e una camicia di tela Olanda da sposa, perché potesse continuare la sua morte con dignità. Mentre cucivano sedute in cerchio contemplando il cadavere tra punto e punto, sembrava loro che il vento non era stato mai tanto tenace ne’ i Carabi tanto ansiosi come quella notte, e supponevano che quei cambiamenti avevano qualcosa a che vedere con il morto. Pensavano che se quell’uomo magnifico fosse vissuto nel villaggio, la sua casa avrebbe avuto le porte più ampie, il soffitto più alto e il pavimento più saldo, e il telaio del suo letto sarebbe stato fatto di costa maestra con perni di ferro, e la sua donna sarebbe stata la più felice.. Pensavano che avrebbe avuto tanta autorità che per cavare i pesci dal mare gli sarebbe bastato chiamarli con i loro nomi, e avrebbe messo tanto impegno nel suo lavoro da far sgorgare sorgenti tra le pietre più aride e da poter piantare fiori sulle scogliere.

Lo paragonarono in segreto ai loro uomini, pensando che non sarebbero stati capaci di fare in tutta una vita ciò che quell’uomo era capace di fare in una notte, e finirono per ripudiarli nel fondo dei loro cuori come gli esseri più squallidi e meschini della terra. Andavano smarrendosi lungo quei dedali di fantasia, quando la più vecchia delle donne, che essendo la più vecchia aveva contemplato l’annegato con meno passione che compassione, sospirò: - ha la faccia di chiamarsi Esteban.

Era vero. Alla maggior parte di loro bastò guardarlo di  nuovo per capire che non poteva avere altro nome. Le più cocciute, che erano le più giovani, si mantennero nell’illusione che una volta vestito disteso tra fiori e con un paio di scarpe di vernice si potesse chiamare Lautaro. Ma fu un’illusione vana. La tela risultò scarsa, i calzoni mal cuciti e peggio tagliati gli andarono stretti, e le forze occulte del suo cuore facevano saltare i bottoni della camicia. Dopo mezzanotte si assottigliarono i sibili del vento e il mare cadde nel sopore del mercoledì.

Il silenzio mise fine agli ultimi dubbi: era Esteban. Le donne che lo avevano vestito, quelle che lo avevano è pettinato, quelle che gli avevano tagliato le unghie e raspato la barba non potevano reprimere un brivido di compassione, quando dovettero rassegnarsi a lasciarlo lungo e disteso per le terre. Fu allora che compresero quanto aveva dovuto essere infelice con quel corpo madornale se perfino dopo morto ne era impacciato. Lo videro condannato a vita a passare di traverso per le porte, a rompersi la testa  contro gli architravi, e restarsene in piedi durante le visite senza sapere cosa farsene delle mani tenere e rosee da bue di mare, intanto che la padrona di casa cercava la sedia più resistente e lo supplicava morta di paura – Si sieda qui, Esteban, per favore-, e lui appoggiato alle pareti, sorridendo,- Non si preoccupi  signora, sto bene così- coi talloni ridotti carne viva e la schiena arroventata a furia di ripetere la stessa cosa in tutte le visite.  

-Non si preoccupi signora, così sto bene- solo per non correre la vergogna di schiantare la sedia, e magari senza avere mai saputo che quelli che gli dicevano non andartene Esteban, aspetta almeno finché bolle il caffè, erano gli stessi che poi sussurravano finalmente se ne e’ andato lo stupido grande, che bellezza se ne e’ andato lo scemo bello.

A questo pensavano le donne davanti al cadavere un po’ prima dell’alba. Più tardi, quando gli coprirono la faccia con un fazzoletto perché non gli desse fastidio la luce, lo videro così morto per sempre, così indifeso, così simile ai loro uomini che sentirono aprirsi le prime crepe di lacrime nel cuore.

Fu una delle più giovani a cominciare a singhiozzare. Le altre,  incorandosi l’un l’altra passarono dai sospiri ai lamenti e tanto singhiozzavano tanta più voglia sentivano di piangere perché l’annegato gli continuava a diventare sempre più Esteban,  finché lo piansero tanto che fu l’uomo più derelitto della terra, il più docile e il più servizievole. Il povero Esteban. Cosicché , quando gli uomini tornarono con la notizia che l’annegato non era nemmeno dei villaggi vicini, esse sentirono un vuoto di giubilo tra le lacrime. “ Dio sia benedetto” sospirarono: “ E’ nostro”. Gli uomini cedettero che quelle smancerie non fossero altro che frivolezze di donne. Stanchi delle tortuose indagini della notte, avevano solo voglia di togliersi di mezzo una volta per sempre l’impaccio dell’intruso prima che si accendesse il sole aspro di quel giorno arido e senza vento.

Improvvisarono una barella con avanzi di trinchetti e di bome, e li legarono insieme con scasse d’altura, perché potessero resistere al peso del corpo fino alle scogliere.

Vollero incatenargli alle caviglie un’ancora da nave mercantile in modo che se ne andasse a picco senza inciampi nei mari più profondi dove i pesci sono cechi e gli scafi muoiono di nostalgia cosicché le correnti cattive non lo riportassero per caso a riva come era successo con altri corpi.

Ma più si affrettavano e più cose venivano in mente alle donne per perdere tempo.. Giravano come galline spaventate becchettando amuleti del mare nelle  arche, certe intralciando qui perché volevano mettere all’annegato gli scapolari del buon vento, altre là per allacciargli un braccialetto d’orientamento, e dopo tanto togliti di li donna, mettiti dove non disturbi, guarda che mi fai quasi cadere sul defunto, agli uomini salirono al fegato i sospetti e cominciarono a borbottare a che pro tanta ferraglia da altare maggiore per un forestiero, se per quante tolle e tollini si portasse addosso se lo sarebbero mangiato i pescecani, ma le donne continuavano a branciare le loro reliquie di paccottiglia, recando e riportando, inciampando, mentre se ne andava in sospiri quello che non se ne andava in lacrime, di modo che gli uomini finirono per sacrare che da quando in qua un trambusto simile per un morto alla deriva, per un annegato di nessuno, per uno sfasciume di merda.

Una delle donne , mortificata da tanta insolenza, tolse allora il fazzoletto dalla faccia del cadavere e anche gli uomini rimasero senza fiato. Era Esteban. Non ci fu bisogno di ripeterlo per farglielo riconoscere. Se gli avessero detto Sir Walter Raleigh, perfino loro si sarebbero impressionati per il suo accento da gringo, per il suo cacatoa sulla spalla, per il suo archibugio da ammazzare cannibali, ma Esteban poteva essere soltanto uno al mondo, ed eccolo lì bello e tirato come un agone.

Senza stivaletti, con certi calzoni da settimino e con quelle unghie marnose che potevano essere tagliate solo a coltello. Bastò. Che gli togliessero il fazzoletto dalla faccia per rendersi conto che si stava vergognando, che non aveva colpa di essere così grande, così pesante, così bello, e se avesse saputo che sarebbe successo tutto quel trambusto avrebbe cercato un luogo più discreto per annegarsi, sul serio, mi sarei legato io stesso un’ancora da galeone al collo e avrei incespicato come a non farlo apposta sulle scogliere, per non andare in giro a dar fastidio con questo morto di merenda, come loro dicono, per non dare fastidio a nessuno con questa porcheria di sfasciume che non ha niente a che vedere con me. C’era così tanta verità nel suo modo di essere, che perfino gli uomini più sospettosi, quelli che sentivano amare le minuziose notti del mare tremendo che le mogli si stancassero di sognare loro per sognare annegati, perfino quelli, e altri più duri, rabbrividirono fin nelle midolla per la sincerità di Esteban. Fu così che gli fecero i funerali più splendidi che potevano essere concepiti per un annegato esposto. Alcune donne che erano andate a cercare fiori nei villaggi vicini tornarono con altre che non credevano a quello che le contavano, e queste andarono a cercare altri fiori quando videro il morto, e ne portarono altri ed altri, finché ci furono così tanti fiori e così tanta gente che a mala pena si poteva camminare.. All’ultimo momento spiacque a tutti restituirlo orfano alle acque e gli scelsero un padre e una madre tra i migliori, e gli altri gli si fecero fratelli, zii e cugini, cosicché tramite lui tutti gli abitanti del villaggio finirono per essere parenti tra loro. Certi marinai che udirono il pianto a distanza persero la certezza della rotta, e si seppe di uno che si fece legare all’albero maestro, rammentando antiche favole di sirene. Mentre si disputavano il privilegio di trasportarlo a spalla lungo la ripida scarpata delle scogliere, uomini e donne ebbero coscienza per la prima volta della desolazione delle loro viuzze, dell’aridità dei loro cortili, della ristrettezza dei loro sogni, di fronte allo splendore e alla bellezza del loro annegato. Lo lasciarono andare senz’ancora, perché potesse tornare se voleva, e quando lo volesse, e tutti trattennero il fiato per la frazione di secondo che durò la caduta del corpo fin nell’abisso. Non ebbero bisogno di guardarsi l’un l’altro per rendersi conto che ormai non erano completi e non lo sarebbero stati mai più. Ma sapevano anche che tutto sarebbe stato differente da quel momento, che le loro case avrebbero avuto le porte più ampie, i soffitti più ampi e i pavimenti più saldi, in modo che il ricordo di Esteban potesse andare da ogni parte senza intoppare con gli architravi, e che nessuno osasse sussurrare in futuro finalmente è morto lo stupido grande, che peccato, è morto lo scemo bello, perché loro avrebbero pitturato le facciate di colori allegri per eternare il ricordo di Esteban, e si sarebbero rotti la schiena scavando sorgenti nelle pietre e seminando fiori sulle scogliere, in modo che nelle albe degli anni venturi i passeggeri delle grandi navi si svegliassero soffocati da un odore di giardini in alto mare, e il capitano dovesse scendere dal suo cassero con la sua uniforme di gala, col suo astrolabio, la sua stella polare e la sua filza di medaglie di guerra, e indicando il promontorio di rose sull’orizzonte dei Caraibi dicesse in quattordici idiomi, guardate là, dove il vento è ora così docile che rimane a dormire sotto i letti, là dove il sole brilla tanto che non sanno verso dove girare i girasoli; sì, là, è il villaggio di Esteban. 

 

 

 

Il villaggio del racconto come Mortara prima dell’arrivo di Estaban?. Il nostro circolo produrra’ gli stessi effetti dell’annegato?

Al di la della metafora ci piace l’idea di  un’associazione  fatta di persone , che ragiona e racconta delle proprie storie, delle proprie radici, delle proprie utopie, dei propri cieli interiori . Per questo siamo nati.

 

 

Associazione culturale “Il villaggio di Estaban”

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