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il vaglio 2

Post n°97 pubblicato il 07 Agosto 2005 da adrians3

La storia e la cultura della lomellina passa anche attraverso le testimonianze  orali ed i proverbi. La cultura popolare ha infatti la stessa dignita’  della cultura dotta . Inoltre la “piccola storia” quella che  non abbiamo mai studiato sui nostri libri di scuola , ovvero la storia delle classi subalterne e di periferia’,  puo’ essere altrettanto importante della “grande storia”.

Una cultura orale scompare nel momento in cui interpreti e testimoni non sono piu’ in grado di trasmettere il proprio messaggio, con il patrimonio di conoscenze necessario alla vita quotidiana, alle generazioni seguenti.

Cosi’ e’ successo e sta succedendo anche in Lomellina,  la lingua e le forme che questa cultura esprimevano tramandate in ambito familiare e all’interno delle comunita’ non sono piu’ in grado di esercitare la loro funzione da quando i diretti protagonisti della civilta’ della terra  e della fatica sono usciti silenziosamente di scena in questo secondo dopoguerra. Ma la memoria del loro lavoro, e della loro cultura, spirituale e materiale , il loro dialetto, i loro proverbi  rimangono ancora vivi  e ci offrono una traccia per  tornare a  mettere insieme , e a ritrovare la continuita’ che esiste tra passato e presente.

Ma cos’è la cultura popolare?

In genere con il termine “cultura” ci si riferisce alla cultura “dotta”, quella dei libri e delle persone che hanno studiato. In realtà esiste anche una cultura creata da gente comune: si tratta della cultura popolare.

Mentre la cultura dotta si serve e si è servita della scrittura e della lingua italiana, quella popolare è stata tramandata oralmente e ha utilizzato il dialetto.

Le creazioni della cultura popolare sono i canti, le fiabe, le filastrocche, i proverbi, i modi di dire.

I luoghi in cui veniva tramandata erano la famiglia, la stalla, i campi, le osterie.

Negli ultimi  quarant’anni questo patrimonio si è andato però perdendo a causa dei cambiamenti sociali ed economici avvenuti in Italia.

L’industrializzazione ha costretto milioni di persone ad abbandonare i lavori tradizionali,in campagna o nell’artigianato e i paesi d’origine per trasferirsi in altre regioni e nelle città,  per diventare operai. Questo sradicamento dalla propria terra e dalla propria cultura ha provocato grossi cambiamenti nel modo di vivere e di pensare delle persone

I giornali, la radio, la televisione, hanno contribuito alla diffusione della lingua italiana ma, allo stesso tempo, hanno proposto modelli di comportamento e di intrattenimento uguali per tutti, indipendentemente dall’origine culturale e dalla classe sociale di ciascuno. Per esempio molte persone, trascorrendo parte del tempo libero davanti alla televisione sono indotte a vedere nello stile di vita proposto valori positivi a cui uniformarsi, in contrasto con il vecchio modo di vivere dei loro padri e nonni, sentito come espressione di arretratezza e ignoranza.

Con la scolarizzazione di massa tutti i bambini hanno avuto la possibilità di acquisire un certo grado di istruzione. Questo è stato senz’altro positivo, tuttavia la scuola ha imposto a tutti un unico modello linguistico: l’italiano letterario, dimenticando i dialetti, anzi correggendo tutte le espressioni dialettali, e questo ha indotto la maggior parte dei  genitori a insegnare a parlare in italiano ai propri figli.

Molte espressioni della cultura popolare sono ormai presenti solo nella memoria degli anziani, ma ha senso recuperarle e salvarle dalla scomparsa, perché fanno parte del nostro patrimonio culturale.

 

 

 

 

Primo proverbio

 

Ogni ca°mpa°na°

Gh’à ‘na putana°

Ogni campanin

Gh’ à  ‘l sò casin

 

Ogni campana/ha la sua puttana/ogni campanile/ha il suo casino.  (In ogni paese ci sono amori mercenari)

In questo proverbio io trovo un amore smisurato per la propria terra e per le donne che  ne adornano i vicoli. Esattamente come quello che  ha messo nelle sue poesie rivestite di musiche Fabrizio de Andre’.

Fabrizio  ma cos’e’ per te Genova?

 

Genova e’ il mio primo oceano e il mio primo asfalto, la mia  prima voglia di saltare oltre l’orizzonte.

Per noi liguri in esilio Genova e’ il suo mare e il suo odore che arriva fino ai monti, quando la tramontana ripulisce l’aria.

O il lepego che ti si attacca addosso come una camicia umida quando l’aria si incolla allo scirocco.

Genova e’ il suo dialetto arabo, la grazia agre delle bagasce che adornano i vicoli. L’amore sacro e l’amore profano.

E’ le sue canzoni , di emigranti, che rimpiangono e se possono ritornano, lungo le strade profonde che il vento scava tra le onde e che le onde cancellano subito.

Genova e’ anche la voglia di esserci e di scapparne, noi tutti l’amiamo controvoglia o controvento sin dalle prime volte. Il primo wisky, la prima amante, la prima moglie, il primo figlio.

E’ i primi amici morti, Luigi, Mauro, il professor Giuseppe, Mannerini il poeta cieco che si uccise e che aveva scritto…

 

 

Ma Genova e’ anche gli amici vivi che da lontano ti vedono crescere e invecchiare, per esempio i pesccuei che, proprio come ne “ il pescatore “ , hanno la faccia solcata da rughe che sembrano sorrisi e , qualsiasi cosa tu gli confidi, l’hanno gia saputa  dal mare.

 

Ma per quanto mi riguarda Genova e’ anche la mia scoperta della musica, il primo maestro di violino, che dovetti corrompere perche’ suonasse con lui, facendo credere a mia madre che a suonare fossi io o il colombiano che mi insegno’ a suonare la chitarra risparmiandomi solfeggi e scale e tutti i pallosi preliminari, perche’ sapessi di primo acchito se “ dove finiscono le mie dita/debba in qualche modo incominciare una chitarra.

E Lee Masters che gia a scuola preferivo pericolosamente a Carducci, a Brassens  e Brel cui devo molto quando ho cominciato a fare questo mestiere .

 

Infine Genova e’ anche il profumo del basilico e il sapore della sua cucina .

Come quelli del pesto , che facciamo a Milano o in Gallura, io e Dori, mettendoci dentro tante noci perche’ non sappia di menta: come capita quando il pesto lo fai lontano da Genova . Perche’ solo il basilico di Genova ‘ non ne sa’.

 

Che altro ? A me pare che Genova abbia la faccia di tutti i poveri diavoli che ho conosciuto nei suoi carruggi, le graziose di Via del Campo e i balordi che potrebbero anche dar via la loro madre per mangiare. I fiori che sboccaino dal letame : I senzadio per i quali chissa che Dio non abbia un piccolo ghetto , ben protetto, nel suo paradiso sempre pronto ad accoglierli….

 

 

Secondo proverbio

 

La dòna°  prudénta°

Primma°  la fa ‘l léc

E po’ la sàlta°  dénta°.

 

La donna prudente/prima fa il letto e poi ci salta dentro (La donna accorta si fa sposare prima di fare all’amore).

 

 

Quanta strada e’ passata sulla strada dell’ emancipazione  dalla donna di questo proverbio a quella  che  racconta Pinkola Estes in “ Donne che ballano con i lupi”!

 

“…Oggi una donna puo’ desiderare follemente di essere vicino all’acqua, o a pancia in giu’, con la faccia nella terra, a odorare quel profumo selvaggio. Puo’ avere voglia di correre nel vento, o di piantare qualcosa, di togliere qualcosa dalla terra  o mettere qualcosa nella terra. Puo’ avere voglia di impastare  e mettere in forno, immersa nella farina fino ai gomiti.

Puo’a vere voglia di salire sulla montagna saltando di roccia in roccia, e facendo risuonare la sua voce. Puo’ avere bisogno di ore di notti stellate, quando le stelle sono come cipria sparsa su un pavimento di marmo nero. Puo’ sentire che morira’ se non riuscira’ a ballare nuda nella tempesta , sedere in perfetto silenzio, tornare a casa  sporca di inchiostro, di pittura, di lacrime, di luna…. “

 

Terzo proverbio:

 

La Madòna°  Ca°ndilòra°

Dl’invèra°n  sùumma°  fòra°

Fàia°  bèl témp fàia°  brut tèmp

Pa°r  qua°ranta°  di’ sùmma °    a°ncura°  dént

 

Alla Madonna Candelora/dall’inverno siamo fuori/ faccia bel tempo faccia brutto tempo/ per quaranta giorni siamo ancora dentro

 

E questo proverbio ci porta dritti all’inverno  che come ci accorgeremo sempre piu’ ogni mattina fra qualche settimana , quando ci alzeremo per andare al lavoro, ci avvolgera’ e spesso diventera’ anche un gelo interiore che  ci porta a riflettere sul vuoto, sull'abbandono. In quei giorni è come se ognuno avesse voglia  di ritirarsi in letargo, con la conseguenza che molti rapporti umani si raffreddano, alcuni si interrompono, la comunicazione diventa più difficile, più cerebrale e meno di "cuore". Ci ritiriamo nel nostro bozzolo, in inverno. Poi, a primavera, come per incanto, usciamo dalla tana e apriamo di nuovo il cuore al mondo. E dunque questo vuoto, questo abbandono, questa lontananza non ci devono spaventare, è un ciclo inevitabile. Verrà la primavera,  con le sue prime giornate tiepide di sole, a far nascere di nuovo in ognuno di noi la voglia di stare con gli altri, la voglia di amare.
Intanto pero’ dobbiamo dirlo, in inverno ,  non tutto e’ cosi ‘ negativo , anzi’ , possiamo  goderci la parte  piu’ bella dell'inverno , la parte riflessiva,  quella che ti permette di  guardarti  dentro,il silenzio che  ci avvolge dentro e fuori di noi,  i paesaggi innevati  e nebbiosi , il piacere di camminare con il freddo , imbozzolati nei nostri vestiti da marziani, e poi  in contrapposizione il caldo dei camini, dei piumoni. Insomma l’inverno e’  bello perche’ , è la stagione del sè, dell’introspezione, dei bilanci e non a caso e’  la stagione più amata dagli spiriti solitari.
E allora proprio perche’ l’inverno e’ il tempo della riflessione, mi piace nell’attesa  , immergermi in una calda riflessione sulla nostra economia quella che deve crescere sempre,  a tutti i costi , se no sono  guai. Una materia fredda come l’inverno ma che diventa calda se si parla non piu’ di crescita ma di decrescita.

La decrescita e’ una strana primavera, decrescita in poche parole significa produrre e consumare di meno e quindi essere meno distruttivi verso l’ecosistema. Ma questo e’ difficile da fare soprattutto sembra assurdo nel nostro modo di vivere in cui tutto e’ orientato alla crescita, e pero’ se invece di togliere cose,  “minor consumo  , minor produzione “…    noi mettiamo il segno piu’  e cioe’ lavoriamo e studiamo per una societa’ che produce  e consuma “ piu’ ricchezza  di raporti umani o come la racconta l’economista premio Nobel  Hanna Arendt   piu’ felicita’ con cui nutrirci” , be’ allora la parola decrescita potrebbe anche essere presa in considerazione.

C’e’ un bellissimo libro uscito da pochi mesi e scritto dall’amico Marco Bonaiuti  che parla proprio   di “ obiettivo decrescita” e che avidamente abbiamo letto.

. Un libro che a molti  ha fatto l’effetto bellissimo di avere a disposizione  un piumone in piu’  con cui coprirsi ,oppure  la possibilita’ di accendere  un bel fuoco nel camino di casa nella piu’ gelida delle notti del passato e del futuro inverno.

Per rendere  piu’ facile la comprensione di cosa significa decrescita e del perche’ l’ho voluta raccontare e l’ho trovata in sintonia profonda  con la saggezza dei proverbi antichi  volevo chiudere con una parabola.

 Scritta da un economista  decisamente simpatico: Wolfang Saks  che lavora al Wuppertal Institute , ong tedesca  che molti mortaresi hanno conosciuto perche’ citata in una splendida conferenza di tanti anni fa tenuta da Albino Bizzotto   presso l’Auditorium dei Frati Francescani.

 

 

" Egli narra di un turista che incontra su una spiaggia un uomo in vestiti semplici, sdraiato nella sua barca da pesca e sonnecchiante al sole. Tira fuori una macchina fotografica e, mentre gli fa una fotografia, l'uomo si sveglia. Il turista gli offre una sigaretta e si lancia in una conversazione dicendo:
"Ah, il tempo è bellissimo e c'è molto pesce da pescare. Perché lei non esce e cerca di catturare più pesce?" Il pescatore risponde: "Perché ho già pescato abbastanza questa mattina". "Però," dice il turista, "se vai fuori 4 volte al giorno puoi portare a casa pesce per tre, quattro volte di più. E sai cosa succederà? Forse tra due o tre anni potrai comprarti una barca a motore, un gran numero di lance, e forse, chi lo sa, un giorno avrai uno stabilimento di surgelamento o per l'affumicamento e poi un elicottero per rintracciare i banchi di pesce". "E allora?" chiede il pescatore. "E allora poi", conclude il turista trionfante, "potrai sedere tranquillamente sulla spiaggia sonnecchiando al sole e contemplando il bellissimo oceano". E il
pescatore gli risponde: "È proprio quello che stavo facendo prima che arrivasse lei".

 

E del resto il proverbio

 

Chi’ l va a°n piàsa°

 Va°d  la crus

a°l tùrna cun la su°a

 ( chi va in piazza a vedere la croce, torna con la sua. ) Ovvero c’e ‘ sempre chi sta peggio di noi e questo  non e’ soprattutto oggi anche un invito a far nascere un   nuovo ordine mondiale con meno guerre,  meno sventure e piu’ diritti per tutti?  Magari iniziando a riscrivere le regole di una economia diversa che parli  un linguaggio  piu’ solidale.

 

 

E questo anche  in riferimento ai lavoratori della Marzotto espulsi dalla loro Fabbrica  per ragioni  incomprensibili e per i quali vale  sicuramente l’ultimo proverbio che  vorrei raccontare.

 

Pa°r  a°l   padròn

A°nco  t è  d’or

 Duma°n     t’è   ‘n’  marlòn.

Per il padrone /oggi sei d’oro, domani sei un escremento.

 

 

I proverbi sono stati raccolti  negli anni precedenti il 1991 dagli  informatori di Cozzo:

Liberina Mazzucco, nata a Langosco  nel 1929, bracciante agricola e poi magliaia.

Mario Mazzucco nato a Candia nel 1905, salariato e poi bracciante agricolo.

Ida Vandone , nata a Cozzo da una famiglia di perdape’ nel 1921, trasferitasi a Valle nel 1947 dove ha svolto l’attivita’ di commerciante da Marco Savini e Antonietta Arrigoni di Vigevano e pubblicati sul libro  “Nel paese di Ogh e Magog”- Guardamagna Editore.

 

 

 

 

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