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inseguendo Latouche-* intervento Fisac gennaio 2006

Post n°104 pubblicato il 15 Febbraio 2006 da adrians3

Contributo ecologista  al dibattito sindacale  Cgil in occasione del  suo prossimo congresso nazionale

 

Siamo a un bivio, dicono le tesi.  C'e' bisogno di una via alta allo sviluppo fondata su conoscenza,  innovazione, sostenibilita'.
Bisogna ridare forza ad uno stato sociale che tenga insieme   crescita economica e sostenibilita' ambientale in alternativa  ad un modello anglosassone  con meno stato , piu' crescita, meno diritti. Tutto questo sembra  scontato , normale e  forse anche giusto ma non mi convinve pienamente . Non mi convince in particolare il senso che viene dato  ad alcuni concetti che si danno per positivi  e che  invece non necessariamente lo sono.
Ad esempio la parola sviluppo e la parola sostenibilita'.
Crediamo ancora veramente che il sistema economico che  si fonda sull'aumento esponenziale di merci prodotte e di consumi obbligati e spesso inutili sia in grado di produrre felicita' nella gente o nei lavoratori. Mi permetto di usare il termine felicita' che puo' sembrare eccessivo ma che  fa parte di un  grande dibattito che in questi mesi sta appassionando la filosofia ,la politica  l'etica e naturalmente l'economia.
Bene le tesi parlano di sostenibilita' ambientale. Premesso che ci sono cento spiegazioni  diverse del termine sostenibilita' che contemplano tutto e il contrario di tutto, a quale di esse  facciamo riferimento?

Ognuno di noi emette in atmosfera  10 tonnellate di anidride carbonica l'anno. Ogni abitante degli Stati Uniti ne emette 20 tonnellate l'anno. Se tutti gli uomini del mondo  si comportassero come gli italiani, ogni anno le emissioni globali di anidride carbonica sarebbero superiori a 60 miliardi di tonnellate. E se tutti si comportassero come i nord-americani, le emissioni annue sarebbero superiori a 120 miliardi di tonnellate.
Ma gli oceani e le terre emerse riescono ad assorbire dall'atmosfera solo 13 miliardi di tonnellate di anidride carbonica ogni anno. L'accumulo di quel gas in atmosfera fa aumentare la temperatura  del pianeta. Cosicché noi diciamo che   il nostro stile di vita non è sostenibile per la stabilità del clima.. Se noi occidentali accettiamo il principio di democrazia ambientale (ogni uomo ha il medesimo diritto a utilizzare le risorse naturali del pianeta) e vogliamo evitare il riscaldamento planetario, non possiamo fare altro che ridurre le emissioni di anidride carbonica e, quindi, modificare i nostri stili di vita.

.
Il clima è un esempio che mi sono permesso perche' conosco un pochino  la materia facendo il volontario in un associazione ambientalista , ma e' anche  una metafora del rapporto tra economia dell'uomo ed economia della natura. Cosicche’ estendendo il ragionamento  ne risulta che
 noi, abitanti dei paesi industrializzati, dovremo ridurre di dieci volte i nostri livelli di consumo entro i prossimi cinquant'anni
Il motivo è banale. Il nostro pianeta, per quanto grande, non e’ infinito  e noi siamo al limite . E le attività dell'uomo hanno raggiunto la capacità di incidere sui grandi processi globali della biosfera. L'uomo, dicono gli esperti, è diventato un attore ecologico globale. Siamo al limite della possibilità di crescita . Una crescita ulteriore non è ecologicamente sostenibile. Allora quando il sindacato  parla di crescita e cioe' e comunque della necessita' di aumentare il Pil  dell'Italia e dell'Europa e perche' no mi chiedo “ avranno diritto anche il Sudamerica  e l'Africa di crescere, allora io comincio ad avere qualche problema. Mi chiedo il sindacato deve solo preoccuparsi di una redistribuzione equa delle risorse favorendo il lavoro  e non la rendita oppure ha anche  il compito di indagare i futuri possibili indicando altre strade?

Dovra' in sostanza come dice uno scrittore che amo molto Serge Latouche  decolonizzare il proprio  immaginario? Abbandonare cioe’ l'idea che maggiori beni materiali significano maggiore benessere. E costruire la «società della decrescita».
«Decrescere e' un parola che fa tremare le vene ai polsi  . Ho sentito  di recente  uno scrittore di queste cose, il Prof Bonaiuti,che la racconta  cosi' . Lui dice: dobbiamo  passare da un mondo e  da un economia  centrata sulla quantità a un mondo centrato sulla qualità. Da un mondo in cui l'economia è un fine a un mondo in cui l'economia è un mezzo. Togliendo l'accoppiamento che e' ancora una costante nel sindacato  tra il concetto di crescita economica e il concetto di ben-essere.
Tuttavia per creare la «società della decrescita» in primo luogo si tratta di assicurare a tutti la soddisfazione delle esigenze materiali fondamentali: alimentazione, diritto a vivere in un ambiente dignitoso. E poi di perseguire lo sviluppo umano attraverso la ricerca incessante di una condizione immateriale di benessere: salute, cultura, qualità della vita. In altre parole si tratta di realizzare quello che nella Grecia classica veniva definito uno stato di eudenomia. Fu nel 1800 quando nacque l'economia moderna che i primi economisti suggerirono che il principale obiettivo dell'economia fosse quello di allargare sempre più la felicità complessiva di una società. Questa impostazione che gli economisti chiamarono dell'utilitarismo, si ritrovano addirittura anche in alcuni scritti di Adam Smith nella famosa "La ricchezza delle nazioni". Ed è presente persino nella Dichiarazione di Indipendenza degli Usa del 1776, dove troviamo scritto che la Pursuit of Happiness, cioè la ricerca della felicità, fosse uno dei  diritti inalienabili di tutti gli uomini insieme al diritto alla vita e alla libertà. Poi però prevalse l'impostazione di Adam Smith che diceva che era  l'interesse individuale  la molla dell'interesse collettivo e di Charles Darwin che sosteneva che “ Se tu non curi i tuoi interessi, nessuno lo farà per te”. Per questo si arrivò all'adozione, ed era il 1930, del concetto di reddito pro-capite, come misura dell'economia e con l'idea che sempre si è diffusa da allora ai nostri giorni,che un aumento di produzione dava anche più benessere e quindi più felicità. Aumentare quindi il reddito procapite degli Stati come fonte di benessere per tutti, divenne dunque il metodo adottato dalle Nazioni Unite, dall'FMI e dalla Banca Mondiale. Nessuno metteva in dubbio questa verità, anche perché si diceva: "Non è forse stata la straordinaria crescita economica promossa dall'industrializzazione che ha creato il progresso almeno qui in Occidente, ha dato da mangiare e una casa a tutti,  ha allungato la durata della vita, insomma che ha dato la sicurezza economica? Oggi la risposta a questa domanda non è più così scontata ,da quando cioe’  i progressi della psicologia e della sociologia hanno permesso di misurare la felicità, cioè il grado di soddisfazione raggiunto, sia individuale che collettivo, dalle nostre società. Queste indagini hanno confermato l'intuizione secondo cui l'aumento del reddito e della ricchezza di una persona non sono  automaticamente legati ad un aumento delle felicità e che oltre un certo livello di reddito che corrisponde al soddisfacimento dei bisogni di base, la curva della felicità tende a diventare orizzontale o addirittura a decrescere. Secondo alcuni professori di una prestigiosa università inglese, e la notizia è stata recentemente pubblicata da "Il Sole 24ore", l'economia oggi è a una svolta storica e deve porsi come obiettivo principale non la crescita del Pil, ma la felicità. A tal fine c'è un bellissimo scritto che illustra questa idea , che è di Robert Kennedy, e dice: "Il Prodotto nazionale lordo  comprende l'inquinamento dell'aria, la pubblicità delle sigarette e le ambulanze che trasportano i feriti degli incidenti stradali; conta le serrature che blindano le porte delle nostre case e delle celle in cui rinchiudiamo chi cerca di scassinarle: Il Pil non considera la distruzione delle sequoie e la morte del Lago Superiore. Aumenta con l'aumentare della produzione di Napalm, di missili e di testate nucleari, ma non tiene in alcun conto la salute delle nostre famiglie, la qualità dell'istruzione, la gioia dei giochi. Non riesce a rilevare la bellezza della poesia, la forza di un matrimonio, l'intelligenza del dibattito politico o l'integrità dei funzionari pubblici. Insomma, misura tutto, salvo quello che rende la vita degna di essere vissuta." Oggi nella nostra società industrializzata lo sforzo concentrato su un solo obiettivo che è quello di incrementare il reddito pro capite così come ci racconta ogni giorno la televisione, oltre a non aumentare il livello di soddisfazione dei singoli individui, crea incentivi che distruggono l'occupazione, la salute, l'ambiente, la stabilità dei legami familiari. Ed è per questo che alcuni autori alternativi come Massimo Bonaiuti parlano apertamente della necessità di creare un'economia della decrescita. Del resto, la rapidissima crescita delle economia della Cina, dell'India non rappresentano solo un problema commerciale di basso costo del lavoro e di concorrenza tecnologica che ci ha colto di sorpresa, ma coinvolge anche un livello strutturale che crea un rapido aumento del consumo di risorse limitate a livello mondiale: energia, prodotti alimentari, materie prime, acqua. I prezzi di tutte le più importanti materie prime, pensiamo soltanto al petrolio , dopo decenni di stagnazione,  sono in rapido aumento negli ultimi anni: questo significa che le possibilità di far crescere sempre di più i redditi delle persone saranno sempre più ridotte, richiederanno sempre più sforzi e provocheranno crescenti tensioni politiche. A queste tensioni sarà sempre più difficile dare una risposta. Per evitare il peggio una risposta adeguata sia di tipo economico, sia di tipo politico, potrebbe essere a questo punto creata dal miglioramento della qualità della vita. Spetta alla politica comprendere questa domanda che poi sostanzialmente è una domanda di relazione e quindi di felicità, e dare una risposta adeguata.

 


. La decrescita e' una strana primavera, decrescita in poche parole significa produrre e consumare di meno e quindi essere meno distruttivi verso l'ecosistema. Ma questo e' difficile da fare soprattutto assurdo nel nostro modo di vivere in cui tutto e' orientato alla crescita, e tuttavia e’ anche vero  che se invece di togliere cose, e quindi parlare di “minor consumo  , minor produzione”   noi mettiamo il segno piu'  e cioe' lavoriamo e studiamo per una societa' che produce  e consuma “piu' ricchezza  di rapporti umani”  o come la racconta l'economista premio nobel  Hanna Arendt   piu' felicita' con cui nutrirci,  allora la parola decrescita potrebbe anche essere presa in considerazione.

 

C'e' un bellissimo libro uscito da pochi giorni che  parla  di " obiettivo decrescita"  Un libro che consigliamo di leggere. Un libro che a molti che l'hanno letto ha fatto l'effetto bellissimo di avere un piumone in piu'  con cui coprirsi,  oppure  la possibilita' di accendere  un bel fuoco nel camino di casa nella piu' gelida delle notti di quest'inverno lomellino.


Ma per rendere piu' facile la comprensione di cosa significa decrescita e del perche' mi sono permessa di inserirla nel dibattito sindacale  volevo raccontare una storiella . Di  uno scrittore  molto simpatico Wolfang Saks , che lavora al Wuppertal Institute ,  una Ong tedesca che molti mortaresi  conoscono  perche' pubblicizzata  in una splendida conferenza di tanti anni fa tenuta da Albino Bizzotto presso l'auditorium dei Frati Francescani , qui in citta’.

". Essa  narra di un turista che incontra su una spiaggia un uomo in vestiti semplici, sdraiato nella sua barca da pesca e sonnecchiante al sole. Tira fuori una macchina fotografica e, mentre gli fa una fotografia, l'uomo si sveglia. Il turista gli offre una sigaretta e si lancia in una conversazione dicendo:
"Ah, il tempo è bellissimo e c'è molto pesce da pescare. Perché lei non esce e cerca di catturare più pesce?" Il pescatore risponde: "Perché ho già pescato abbastanza questa mattina". "Però," dice il turista, "se vai fuori 4 volte al giorno puoi portare a casa pesce per tre, quattro volte di più. E sai cosa succederà? Forse tra due o tre anni potrai comprarti una barca a motore, un gran numero di lance, e forse, chi lo sa, un giorno avrai uno stabilimento di surgelamento o per l'affumicamento e poi un elicottero per rintracciare i banchi di pesce". "E allora?" chiede il pescatore. "E allora poi", conclude il turista trionfante, "potrai sedere tranquillamente sulla spiaggia sonnecchiando al sole e contemplando il bellissimo oceano". E il pescatore gli risponde: "È proprio quello che stavo facendo prima che arrivasse lei".
La mia conclusione e' che se un nuovo ordine mondiale dovra' nascere in futuro, con meno guerre, meno sventure e piu’ diritti per tutti allora si potrebbe magari cominciare riscrivendo alcune regole.  Alberto Magnaghi, urbanista , fondatore di Nuovo Municipio, ad esempio, alla competizione su scala globale preferisce  parlare di modelli di sviluppo  che fanno  crescere i legami e la societa'  locale attraverso l'autogoverno locale della produzione e del consumo e quindi la chiusura dei cicli ambientali , la sovranita' alimentare e la responsabilita' sociale cioe' il dovere morale di non consumare le risorse dei piu' poveri del mondo.E dei nostri  figli.
Sicuramente non esistono ricette ma e’importante che il sindacato faccia proprio  anche questi nuovi filoni di pensiero e li immetta nel proprio dibattito politico.

 

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