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RACCONTI ITALIANI ONLINE - RIO - MARCELLO MOSCHEN

Post n°172 pubblicato il 21 Febbraio 2011 da raccontiitaliani

Aquile

I.

Anch'io sono venuto dai boschi neri

che cosa sulla culla soffiasse non lo so

ma un gran rispetto nella vita ci vuole

per qualcosa che non sia fuggevole

Guardo l'alba nebbiosa, raramente:

dal mio letto s'innalza il me più stanco

guardo nell'aria insudiciata e canto

qualche volta, davanti allo specchio

La mia faccia, devo pur confessarlo

può ispirarmi profonda pietà

un uomo è un uomo, su questo non c'è scampo

quando si tuffa nella quotidianità

Fra nemici e alleati può varcare

il giorno come Mosé fece col mare

prima di notte sarà utile un compplice

meglio una donna, tutto sembra più semplice

La salute si sa viene prima di tutto

e un grande avvenire ci aspetta

c'è nel futuro un crescente guadagno

arriveremo in fretta

Il secolo è democratico

concede tutti i dubbi

nessuno creda facile

tener lontano l'erpice

Vengo da una campagna

fatta di sogni e costi

foreste meste

tempeste

Sento che seduce

talvolta il vecchio Ortis

però sine pecunia

l'homo è l'imago mortis

 

II.

Quando guadagni, chiese

dico quanto guadagni in un mese

Ne studiò il viso

il non appesantito turgore

di secondari attributi sessuali

l'onda dei capelli

ai polsi l'oro

e non rispose

III.

Perché, se tutti, non io

s'accaldava addentando

e forbendosi soppesando

col convitato la trasparenza del bicchiere

Ecco, io cerco di farcela

in modo decente, in fondo

ho una mia competenza, un mondo

di relazioni, certo, anche un destino

o un obbiettivo almeno

Stava per dargli un nome

arrivò il cameriere

 

IV.

Cenano, di lui si intuisce

non l'argomento, il muovere di spalle

lei, maremoto di capelli, alta vendetta

d'occhi, i denti un lampo

e fra le dita il fulminato grissino

in mille pezzi, come cosa morta

passeggere, non sai, la sera è corta

 

Affidato alla voce

I.

Paura, fiducia, follia

disse, e la quarta parola era dolore

la quinta nulla e lì

ebbe un indugio come inciampando, come

se fosse stata spenta ora la radio

che ronzava ronzava già da ore

correndo col registratore

II.

Non so se sia contento

se il soffio della sera gli porti

battaglioni di sogni ad occhi aperti

o se magari guardi un poco nubi

muoversi al ritmodei pennuti, se

piova nel suo interno

d'anima, se ci sia una stanza

dilavata dall'odore di polvere

e d'umido e foglia, come quando

la prima goccia è già caduta e mai

mai una volta che tu l'abbia veduta.

III.

Provare a pensarla, affondare

nel colore che hanno gli alberi di notte

o nell'indaco accidioso del mattino

e non basta

provare a tentarla, chiederle

per piacere se può la sua sparuta

presenza darti un'esperienza vissuta

provare un modello, come

il rumore che hanno i pensieri la notte

il profumo del sigaro

ciò che resta e svolazza

solo il gatto ti guarda

sarà così, gli chiedi

o forse

ancor meno, sarà

una corsa pazza.

IV.

Non sapeva di sé maggior dolcezza

né altro annoverato tra i paragrafi

d'un canone d'amore

consegnò le sue reni alla tristezza

alla macumba della solitudine

Alato corre il demone delle ore

l'angelo con l'agenda

Non voleva di sé maggior pienezza

il senso del dovere

gli faceva piacere

Alato corre il demone dell'ordine

l'angelo con la benda

V.

Amò un'ombra, capì

che era infedele

all'alba

Amò un'ombra, sì

disse, è questo il modo d'amare

più corretto (lei

era mobile e scialba, era

perfetta, sotto questo aspetto)

Amò un'ombra, così

non ebbe più da pensare

gli bastava vederla

qualche volta tornare.

 
 
 

RACCONTI ITALIANI ONLINE - RIO - MARCELLO MOSCHEN

Post n°171 pubblicato il 21 Febbraio 2011 da raccontiitaliani

Da <Grazie>

(Guanda, Milano, 1988. La traduzione è di Jean Baptiste Para)

Di tutte le partenze, una resta impigliata nell'anima

e tu non sai se sia un volo dell'acqua

o un'alga che ti afferri

per stringerti la gola sulla nebbia

con una grazia feroce e inevitabile, come

un gatto che giocando t'impedisca di scrivere

strappi via la penna

faccia a brandelli la carta

ne porti un pezzo lontano tra le labbra

per costruirne un topo simulato

una caccia sognata, un gioco preciso e ribelle

una giro più lungo tra la tua mente e le mani

profonde nelle tasche in questo mattino di treni

fischi, vapori, officine faustiane

Questa stazione non assomiglia più a nulla

forse è un dedalo di tracce cancellate

un terminale per gite oziose

a leggere un libro e dormire cullati dal treno

in viaggio turistico verso il passato prossimo

come un bistrot funereo, magari sepolcrale

un bar di cera, un museo...

E tra le statue, le ruote, i chioschi di giornali

si fanno strada ombre, dagherrotipi, vecchie pitture

carte di caramelle, pacchetti vuoti

riviste scolorite con donne grasse e spogliate

preservativi, dischi, aranciate amare

tutto un armamentario crepuscolare

e gli anni, ricordi uccisi dalla fotografia,

risucchiati urlando dalla vecchiaia e dalla morte:

e questa partenza non è così perduta

la sua immagine è più che un residuo, un fiato d'allusione

una metafora mentale, la tua impercettibile

correzione del tempo, come quando s'aprono

nuvole in cielo, e splende spaventata

lei, la buona madre dei ladri, pura e muta

Ma un diavolo, un simulacro di Minosse

orribilmente ringhia dai megafoni sulle pensiline

nello scompartimento che puzza di fumo

sul velluto bruttato

da pensieri annoiati, indifferenti e automi...

Lei non ha spessore, calore, fuoco d'anima

dice, è come la nebbia che s'apprende ai vetri

del finestrino, lei è come l'inverno

è arrivata tardi, ha perduto la strada

quando ha bussato alla porta il camino era spento

il gatto morto, qualche moscone impazzava per l'aria

con messaggi incompiuti, indecifrabili, infedeli

Sui muri c'era polvere, polvere sugli specchi

sul volto di Ermes ridotto a una piccola scimmia secca

un lare stecchito e sgretolato: ronzano i treni

scivolano via in questo mattino di buio,

so che non fuggirò, sei come Dracula

come lui, che il vantaggio ha del non nato

e del non morto, porta i segno d'un bilico infinito

e dall'inganno suo vita riceve,

tu non hai anima, non l'hai mai avuta

nei tuoi occhi non si infrange il riflesso

il lampo della sera sulla porta

il ritorno di ciò che arde lontano

indifferente, melanconico, alto sui monti

e inaccessibile, la luna

Questo silenzio non è più abitato

da muti fruscii di passi, da segrete

anse del tempo, come se ad un tratto

senza motivo schiudessero le valve

d'una conchiglia fossile, e splendesse

nella roccia l'ardore del cristallo

Questo silenzio è ora pieno d'oggetti

citazioni, reperti, tutti i regesti dell'avventura

monti e mari solcati come quando un sogno

dura oltre il risveglio, e non si tace

l'eco d'un gesto prolungato ad arte, il suo bramito

 

Celtis Australis

Forse non ci sono che gli alberi

per stagliarsi contro il vetro del cielo

e non vedere

e non conoscere filigrana o velo

e opacamente, duramente, semplicemente vibrare

nella forza che sale e, come fa, ritorna

nel curioso entusiasmo della sera

Non corrono sull'onda

che viene e va, non ha riva e non sa restare

non cavalcano un soffio

non hanno che un destino, il ritorno

il silenzio che non aborrono

Forse soltanto gli alberi sono sapienti

sanno bruciare al fuoco del loro fuoco

E tu, nel cui nome vibra l'orma d'un vento

il fiato d'un deserto

che hai respirato le città, i viali, l'asfalto

la polvere selvaggia di primavera

perché sai come crescere dalle pietraie

e dalla nebbia, albero povero

vegetale straccione, bagolaro t'han detto, spaccasassi

posso pensarti forzato o galeotto

lavorar di radici nella cava

instancabile prete deriso e riente

albero protomartire d'una religione

dimenticata, assente, irrilevante

inesistente, che sa essere niente

 

Titanic

Stanca di tristi tropici

troppa pace nel mare

lenta l'onda cammina

lenta come il Lete

Stanca le tue pretese

inquieta, insopportabile

lenta mi corre l'anima

lento si spegne un secolo

Stanca con le lungaggini

delle richieste facili

se hai miserie, tienile

chiuse dentro di te come uno scrigno

E se non hai niente da dire

niente da fare, se come sei zitta

stancalo, il tuo silenzio

svuotalo, lascialo spegnere

(L'acqua s'apre a voragine

la nave brilla al fulmine)

 

Alberich

Uno gnomo maligno ci potrebbe aiutare

gettando forse una manciata di fumo

evocando la nebbia, lasciando andare

come un volo di anatre lontane

lontano uno stormo d'anime, di impronunciate

voglie di distruzione, vomito, carneficina

fare un fuoco di sterpi e poi ruggire

quieti sopra le pentole, in cucina

Avarizia, cupidigia e gracile lussuria

annunciavano il drago e la sua furia

nessuno di noi tentò di mettersi a mezzo

a causa di ciò, credo, lasciammo un pezzo

di psiche, una frattaglia di desolato cuore

e qualche avanzo di cibo prima di fuggire

così ognuno per sé, col suo valore

costruì un castello, mise un nano di guardia:

se un demiurgo malvagio di ha ingannato

sarà un gatto la tua consolazione

sarà scintilla, messaggero, ragione

Uno gnomo maligno ci poteva aiutare

forse era un topo, angelo del focolare

 

Verbale

Interrogato, rispose

che sfumavano eguali in un unico morente

abbraccio, un brillio distratto

di voci, visi, di struggenti

inestimabili momenti irrilevanti

Non se ne fece vanto

entrò nel castello sull'onda di un lamento

dimenticò quelle figlie del reno in grave lutto

sedette a tavola senza la regina

celebrò un addio collettivo, un casto banchetto

non volle conoscere lo chef di cucina

 

Da <Una regina tenera e stupenda>

(Milano, Società di poesia-Guanda, 1980)

 

I.

Una regina tenera e stupenda

restituisce la neve delle ore

al tiepido fiore del tempo, al rullo

del suo rumore acerbo

Principessa dei piccoli passi

sono fitte radici senza scoglio

e il loro bosco, uno strano sentiero

discende – vuole perdersi – sotto l'erba

(Il varco verso l'altro paese

si sposta piano, piano sembra vero)

 

II.

E' ingenua stasera lei o la sua morte

ha voglia di sorridere, ripete

la sua felicità come uno spillo

(E' l'Arca di Noé, un pianeta

di colli di giraffe, il loro fiato)

 

III.

Straccia la marmellata dell'amore

che trasforma il pensiero in zampe e ali

tocca fra bacio e parola il filo

che separa le ciglia dalla storia

dal corpo nero di un rfiuto atteso

E' lei, la regina aquila

la gallina

supera i monti col suo passo zoppo

non ha pietà di sé, è ancora

ibernata in un sogno di neve

 

Da: <Su, per i meandri del sonno>

 

I.

Su, per i meandri del sonno:

la fitta colombaia, i rotti ormeggi

il tempo di partire, vele

s'alzano nel risveglio, il finto sonno

e i passeggeri? <Oh, loro non si salveranno>

 

II.

Il passeggero di Lenin aveva fretta:

guardo i loro ritorni, i loro scudi

un lento sferragliare, e i treni al mare

corrono senza tuono, voraci

 

III.

Il fiume degli anni dolcemente la perse:

sale nel sale del cielo

non c'è scoglio al cuscino

apre le mani e piano

le rive non la lasciano, tra i baci

 

 
 
 

RACCONTI ITALIANI ONLINE - RIO - MARCELLO MOSCHEN

Post n°170 pubblicato il 21 Febbraio 2011 da raccontiitaliani

TRADUZIONI

 

Letter

I don't know if you ever wanted news of me

and not even if you appreciate

the perhaps rather affected form, uselessly

passe, with that marching step, towards what

you ask me, I prefer to try to tell you from where, here

in the vigils of everything, in these rich

lands where windows gleam

and we smile and it seems

as we can see, hear, touch

splinters of true

happiness, don't laugh

if ever you're left with a mouth

a cloister of teeth (they were superb,

really regular, they were, and they made

a sort of music when

you brushed against them with your tongue,

or with your lips, or with the butt

of a filter-less cigarette). No, don't laugh

is ever something is left, and it's not as if I'm sure

of it nor then that I know if there remains anytihng

to remember, eyes hands breath voices,

and it's not as if I'm sure of it:

for e few days still your answer-phone

talked of you, e recorded tape wich said:

don't hang up.

Remembering is easy, you can do it.

The burden isn't this,

the train of time passes lightly

adn I believe that it is the absence

of gravity which wakens its horizon to feeling.

Here the ships of the heart row vigorously,

there is a lot of wind, anyway, and sometimes

a cloud opens as if it was normal after all.

Here the day, the snow, the horror is normal

if you don't believe I don't know how to convince you

I don't have the proof.

If you don't believe, it will be an act of love

to get rid of all this heroism of defeated resisters,

panting victors, you know how ravenous

the pack-leader is, often he howls on his own, often

he sorts things out with blows

between the dreams, to everybody a name,

mine changes often, I am

bottom of the class, for a long time now I haven't

been entitled to contents.

If you don't believe

I don't know how to convince you,

I stummer the most difficults words,

no longer, not yet, now,

but here the night comes earlier and earlier

those who know how to listen sometimes

win a prize: she catches them and devours them.

Trusted to the voice

I.

Fear, trust, madness

it said, and the fourth word was pain

the fifth nothing and then

there was a pause as if stuck, as

if the radio had been swiched off

after having buzzed and buzzed for hours

running with the cassette.

 

II.

I don't know if he's happy

if the breath of evening brings him

battalions of dreams open eyed

or if maybe he looks a bit at clouds

moving at the speed of birds, if

it is perhaps raining in the interior

of his soul, if there is a room

awash with the smell of dust

and damp and leaves, like when

the first drop has already fallen and never

never a time when you saw it fall.

 

III.

Trying to think it, going deep

into the colour which trees have at night

or in the lazy indigo of the morning

and itn't enough

trying to try, asking her please

if her presence can give you a live experience

trying a model, like

the noise that thoughts have in the night

the aroma of cigar

that which stays and wreaths

only the cat looks at you

is that how it will be, you ask him

or perhaps

even less, it will be

a mad rush.

 

IV.

He didn't know of himself anything sweeter

nor anything else numbered amongst the paragraphs

of a canon of love

he entrusted his loins to sadness

to the macumba of loneliness

The demon of time wings swiftly

the angel of the diary

He didn't want of himself anything fuller

the sense of duty

gave him pleasure

The demon of order wings swiftly

the blindfold angel.

 

V.

He loved a shade, he found out

it was unfaithful

at dawn

He loved a shade, yes

he said, this is the proper

way to love (it

was fleeting and flickering, it

was perfect, in this regard)

He loved a shade, that way

he no longer had to think

all he had to do was to see it

coming back sometimes.

(Le traduzioni in inglese sono di Jonathan Usher)

 

 

 

Canards, nuit

De tous le départs il en est un

qui s'accroche à l'âme

et tu ne sais pas qui, de l'algue ou du vol de l'eau

te prend à la gorge et te fait mordre le brouillard

avec une grace féroce, inéluctable comme

un chat qui pour s'amuser

t'empecherait d'écrire

arrachant le stylo de tes mains

réduisant le papier en lambeaux

pour en emporter en bout entre ses dents

et construire à l'écart un semblant de souris

une chasse rêvée, un jeu précis et rebelle

une distance accrue de ton crâne à tes mains

qui s'enfoncent dans tes poches, en cette matinée de trains

de sifflets, de vapeurs et d'industries faustiennes

Cette gare ne ressemble plus à rien

elle n'est peut-être qu'un dedale de traces effacées

le point où se concluent d'inutiles voyages

où l'on a lu, dormi, bercé par le train

circuit turistique vers le passé composé

comme un bistrot funèbre, à la riguer sépulcral

un bar de cire, un musée...

Et parmi les statues, le roues, les kiosques à journaux

des ombres se frayent un chemin, daguerréotypes, vielles peintures

papiers de bonbons, paquet vides

revues où décolorent des femmes nues et bien en chair

préservatifs, microsillons, orangeades amères

tout un attirail crépusculaire

et les années, souvenirs abattus par la photographie

qui hurlent quand les happent la viellesse, la mort:

et ce départ n'est pas perdue, ou du moins son image

vaut mieux qu'un vestige, une allusion

une métaphore mentale, ton impercetible

correction du temps, comme à l'heure où des nuages

vont éclore dans le ciel, et que resplendit épouvantée

la bonne mére des brigands, muette et pure

Mais par le mégaphone un diable, un simulacre de Minos

grogne horriblement sur les marquises

dans le compartement qu'empeste la fumée

sur le velours qu'on salit

des pensées automatiques, indifférents et lourdes d'ennui

Elle n'a pas d'èpaisseur, de chaleur, dit-il, aucun feu

d'âme, elle est pareille à la brume qui s'accroche

aux fenêtres du train, pareille à l'hiver

arrivée tard, elle s'est perdue en route

quand à la porte elle avait frappé, le chat était mort

la cheminée éteinte, et dans l'aire peut-être

de grosses mouches affollées

portaient des fragments de messages, indéchiffrables ed infidèles

Une voile de poussière couvrait le miroirs et le murs

hermés dont le visage n'etait plus

qu'un petite singe sec, un lare maigre et disloqué:

dans ce matin obscure les trains ronronnent et s'ébranlent

je ne prendrai pas la fuite, je le sais, tu es pareille à Dracula

qui a l'avantage

de ne pas être né, de ne pas être mort

qui porte le marques d'un vertige infini

et par sa propre ruse obtient la vie;

tu n'as pas d'âme, n'en as jamais eue

dans tes yeux ne se brise pas le reflet

l'eclair du soir sur la porte

le retour de ce qui brûle au loin, mélancolique, impassible

hors d'atteinte et très haut sur les monts, la lune

Ce silence n'est plus habité

par le muet murmure de pas, le poignées

secrètes du temps, comme si tout d'un coup

et sans motif un coquillage fossile

avait ouvert ses valves, et que resplendisset

dans le roc l'ardeur du cristal

Ce silence est plein d'objets maintenant

citations, rapports, tous les registres de l'aventure

montagnes et mers sillonnées, comme quand un rêve

persiste au-delà du réveil, et que se refuse au silence l'écho

d'un geste à dessin prolongé, son brame

 
 
 

RACCONTI ITALIANI ONLINE - RIO - MARCELLO MOSCHEN

Post n°169 pubblicato il 21 Febbraio 2011 da raccontiitaliani

Poesia:

Amore: sale quotidiano (Ase Edizioni,1979)

Polvere nera (Edizioni Carte Segrete,1980)

Diverse giovinezze (Lucarini Editore,1981)

Violenza immaginaria ( Soc. di Poesia, Milano,1984)

Grandine ( Edizioni del Leone,1989)

Le vie del cuore (Edizioni del Leone,1997)

Omaggio alla  Sardegna, libera traduzione da Peppino Merea (Edizioni Dioscuri,1984)

Romanzo:

Figlio  di Vescovo, romanzo ( Pironti Editore,1988)

Fiabe:

Il mago innamorato ( Edizioni  E. Elle Trieste,1984)

L'ago  d'oro di Acquachiara (Edizioni La Conchiglia Capri,1994)

Il mago innamorato (Edizioni Einuadi Scuola,1994)

Mercurio e l'isola blu ( Patrone Editore,1999)

Vento  e la barriera di piume ( Patrone Editore,1999)

La maga Baraccona  e  le  conchiglie  stregate( Patrone  Editore,1999)

L'ago d'oro di Acquachiara ( Patrone Editore, 1999)

------

E' tradotto  all'estero.

 

 

 

1-           Chiaro orizzonte che confondi              le idee. C'è terra o mare dietro               quel filo che all'occhio nega              la realtà?
              Fantasiose fiaccole, nell'alto              delle porte del cielo, m'attirano.              Sagome d' angeli, a mezz'aria sospese,              chiamano con melodiosi cantici,              per risvegliare assonnate voluttà.
              E raggi pungenti infilzano il sole,              sfera d' oro bruciante che cattura              le mie fantasie infuocandole subito              più del sentimento, per moltiplicarmi              i brividi indolori: felici abitudini              negate agli uomini che non conoscono               la mia piacevole punizione.
2- SCELTE                                                             
Se fossi nato cieco e mai, lo sguardo avessecolto la tua immagine;nella mia cecità, comunque,avrei preferito te.A guardarmi sarebbe statoil cuore, sacro testimonecapace a colorarmi il sognoche m'attirava con il suonodella voce, con la forza delle mani che hanno stretto il viso mio, annullandoquesta finta cecità.  
3- RAPIMENTO  
                Da tempo sprofondavo in un sonno                inquieto sopra l'olimpo che avevo                 costruito per il mio egoismo, da dove                 spodestai muse e divinità.                 Ma un'evidente verità covava dentro                 me: quella di cercare di un dio da amare,                 sapendo in coscienza che senza ardore                 difficile è campare. E, sei arrivato                 tu, forte del tuo potere, a prendermi,                 anzi rapirmi , come un Ganimede.
             
4-  LA CAMERA
La camera era la più sontuosadella casa. D'opale erano i lumisempre accesi che con obliqui raggilambivano il letto un po' disfatto,senza guastarne la solennità.
Tu, giovane ed ignaro, giacevi a mevicino come un eroe che ha persoogni entusiasmo e senza orgoglio,stemperato e sognante, palpavinella luminosità incombente il corpotuo venusto, in completa nudità.
      Crudele prova che mi comprometteva,      rendendo più argentini i suoni      e fatale la mia vulnerabilità.
5-              LA SORTE
Era soltanto un gioco, quando iniziai.Il dardo che scagliasti volutamente,presto mi catturò. Io dissi: < Mai! >.Però divenni mite. Mansueto come la più comune bestia cedevo al pesolieve sopportato, impreparato.Il gioco è continuato negli annivenduti all'avventura. Ancora oggidura- complice la Sorte - la vogliaingorda di godere quanto per noiestinguerà soltanto avida morte.
6-           VIVA GLI DEI           
                   Viva gli dèi! Anche se ignoro                    l'inviolato olimpo della loro residenza.                   Ma io osanno i numi sconosciuti                   che t' hanno generato e a me donato                   la conoscenza del tuo spirito                   indomabile, con l'incerto della circostanze                   facenti mirabile pure l'arroganza.                         E un delirio brutale scuote                         la mia vita più del temporale,                         se fulmini ogni momento scagliano                         i tuoi acquosi occhi quando guardi;                         attizzando con lampi i tormenti miei,                         che spingono a implorare l'aiuto                         degli dèi!.
    
     
   7-              Come aquila                     o comune rapace                     avvistata la preda                     discende rapido                     da gravità sospinto                     bramoso di posarsi                     dove si sazierà:                     …< così io! >.                     Smanioso, tanta volte                     attratto, chino su di te!
  8-             Andar lontano, viaggiare con                   la mente, distante da te per                   non pensarti e poi, deciso,                       abbandonarti!.                   Mi domando: < Vale la pena? >.                   Sei tu il binario, l'itinerario,                   il traguardo, la sosta, il freno.                   …e, solo con te, anche se                      sbuffante procede questo treno!
    
  9-             Riportami il pensiero                   tentatore,                  quando ad angelo                  atteggiavi il tuo viso pulito,                  e gli occhi umidi di pianto                  ad un altro colore.
                  Riportami il sapore                  delle lunghe giornate,                  l'attesa vana e la smania                  atroce che lasciava le                  membra più stanche                  ma vigoroso il cuore.
                  Riportami al tempo                  dei fuggevoli momenti                  che tu mi concedevi.                  Non avrò rimpianti!
  10-           TIMORE
                     Ti prende la paura con gli artigli                     di un falco dal mare quieto                     della pace.                     Passa il giorno e la notte                     e l'avido rapace a me non ti                      riporta… anzi, tace!                     Muoio solo nel mio mare quieto,                     senza pace!
11-              Scateni a ciel sereno,                       temporali.                        Tolgo le vesti fradice                       e dentro, intatti e asciutti,                       rimangono altri mali. 
12-               Quello sguardo pungente                      che mi penetra in fondo                       quando assorto mi scruti,                      non è lama che taglia,                      ma un richiamo che turba                      i pensieri e la mente.                                
13-                Riflessi acuti fuorescono                      dal tuo sguardo radioso                         che mi plasma.
                         Sorrisi scoprono                          il nitido colore                         dei tuoi denti che provocano                         tentazioni e piaceri,                         da sentirmi ladro.
                         … ma rubare per brama                         dell'amore, può farmi ladro                         ed anche peccatore?
                         
                       
       
    14-             Due parole già scritte,                         dette e consacrate che,                         a sentirle, farebbero                         piacerebbe anche a un dio:                         Amore mio!

 
 
 

RACCONTI ITALIANI ONLINE - RIO - MARCELLO MOSCHEN

Post n°168 pubblicato il 21 Febbraio 2011 da raccontiitaliani

15-             LA VITA
                     

                       Passano i giorni lieti, tristi                       avvenimenti mai visti                       ti fanno sognare                       ed ancora a lungo vorresti errare.
                       Ricordi lontani ti fanno gioire                       e vorresti sentirne                       la dolce carezza                       e riviverne sempre l'ebbrezza.
                       Ma sei vecchio ormai e non puoi                       ora correre, ridere e correre ancora,                       ti resta soltanto una cosa infinita:                       la vita!
16-                 L' ORIZZONTE                       
                       La stretta strada di campagna                        che mi riportava alla realtà.              
                       Pensieroso, anzi assillato                       da problemi irrisolvibili                       e ingombranti andavo, mirando                       confuso l'orizzonte.                       Ma non lo scorgevo affatto, preso                       com'ero da un affanno ingrato:                       quello di pensare sempre te: amante,                       figlio, amico ( o che parola più comune )                        dovrei ancora usare per non turbare                       sempre la tua attenta suscettibilità.
                       Si! guardavo un filo viola                        che tagliava, anzi spezzava                       in due la terra al cielo,                       con la sua irrealtà.
                       E l'orizzonte non m'appariva                       come l'avevo sempre immaginato.                       Questo orizzonte era molto frastagliato.                       Sembrava proprio che l'avessi costruito                       te, pessimo tagliatore, con forbici                       assassine, intenta solo a modellare                       la tua futile e contorta vanità.                       
17-                  GRANDINE                                       
                          E quando piove, tu                          diventi grandine.                          E ogni grano che violento                          cade nel mio terreno asciutto,                          è più d'una ferita.
18- IL NUME PROTETTORE
Notte tempestosa di temibilebufera. Turba il vento, con mugugniriottosi, l'intima preghiera.Invocavo la pace cercando veritàe la ragione perduta tempo fa.Ma i santi non m'ascoltano piùessendo peccatore.Chi ho contrariato amando troppocon passione insana, quel grandeuomo che a me appariva un numeprotettore?Tacciono le divinità.Cessata è la bufera.La notte resta nera.
19- STELLE CADENTI
Precipitava velocemente un astrosolcando l'aria con sfacciata luce.Credulo del solito potere delle stellecadenti, espressi fiducioso un desiderio:
- Ti rivolevo ancora come una volta,  quando la terra e il cielo, insieme,  ci abbracciavamo formando sopra noi  unico guscio.-
Molto tempo è passato. Nulla s'è avverato!E quel mistero popolare che m'illuse senzache tu ritornassi, mi rende ancora sognatore,ma fermo a un precipizio, incapace di muoverealtri passi.
20-            DISPERAZIONE
Il sole, alto, trafiggeva il mare.Un gabbiano, sulla riva, attendevadi morire, esausto dai quotidiani voli dispersivi e senza fine.
Accomunato a lui provai la stessafiacca, e subito sentii afona la mortestrozzarmi duro con forzute braccia. 
                         
  21-             A chi non è capitatoda bambino ancoraalla scuola elementare, durante il dettato,o la bella scrittura: sbagliare!
Si prendeva la gommae cancellando si cercavadi correggere l'errore.
La carta, a furia di sfregaresulla sua superficie, si bucava.Cosi', di nuovo si ricominciava.
Da grande, nella vita è stato poilo stesso!Sugli sbagli cancellatialtri se ne sono accumulati
E, come un cancro,giorno per giornohanno mangiato l'animae la mia gioventù.
22-          E se non fosse amore? Pur sele palpitazioni erano violentepiù della voglia di cercare?No! il nostro è più che amore.E' un gabbiano che vola altocome l'aeroplano, spezzandole nuvole gravide di pioggiae trafiggendo come frecciail cielo screziato d' ametista.                            Atterra poi sulle pistedel cuore, lambito da una luceper farlo esplodere: vogliamatta di godersi il fruttoprelibato, con avidità.Respiriamo uniti, strettida un laccio che non creasofferenza, ma la remotaletizia che ha dato semprevoce ai poeti e ai cantoriche vivevano nella santità.
23-          INNO             
                   " Anima pura! "   ti dicevo calmoconvinto della vera affermazione.
" Dammi la tenerezza! "   esortavotremante, portando le tue mani alla mia testa che stava posata sul tuo cuore.
E tu, sospinto a forza dalla passioneche temevi sempre di rivelare, coi piedipuntati sotto ai miei, sollevasti il mio corpo per intero e come una tegolam' adagiasti su te, caldo e fremente.
Viso contro viso. Torace con torace.Perfetto sincronismo di tutti i movimentiChe legavano l'addome mio al tuo.
E ti rubai il respiro… Il fiato accumulato in quel momento.Tutto fu mio. Io, soltanto tuo.Il tempo fu fermato!………………….…non muore in me, l'ora di quella notteche ancora canta con vibrazione acutal'inno per te, che mi ha ridato vita.
24-              GIOCO
Passa l'amaro giorno della mia sconfittae dal tuo volto il gaudiodell'ultima conquista.
Ma, pure traditore resti sempre l'unico padrone,della mia mente immersanel più scabroso giocoche ha acceso la passione.
         25-              Ci siamo divorati: avideconchiglie in un tappetodi sale. Ora, restano gusciumidi, sovrapposti, nella morbidanotte che genera illusioni.
     Un gabbiano, in mezzo al mare,     solo, senza compagno, privo     di fratelli attende aiuto     dopo molteplici richiami.
- A chi racconterà le insidiosepassioni che gli struggonoil cuore, se nessuno è vicino? -
                          Torna! E con un lampo                          incendia ancora i sogni                          miei ed i pensieri tutti                          come Nerone, per gioco,                          bruciò l'antica Roma.                          
                         
         26-            L' INCANTATORE                       
                          Ieri, t'abbandonavi come un pulcino                          alla carezza lieve d'una mano;                          al gioco serio della vera magia                          che mi rendeva di te, l'incantatore.
                          Dopo, rigirando il tuo corpo caldo                           e bruciante su lenzuola bagnate                          di sudore, da tanta brace,                          tale a un serpente scivolasti via                          togliendomi la pace.
                          Ed io, incantatore, rimasi ancora solo                          pronto a morire della solita agonia.
 
 
 
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