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Post n°107 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani
Ti vidi, andavi fra tanti - nell'aria filtravano ombre, in fondo alla piazza giardini di alberi spogli - ti vidi: eri tu chi aspettavo. Andammo, insieme, parlando - il buio avvolse le case, s'alzò dal fiume un gabbiano- quale parola, fra tante, quale gesto mancammo? Ora io so che quel tempo fu solo un lungo patire, pure a volte mi chiedo: " Quale parola fra tante, quale gesto mancammo?" Un dio nemico ci tenne fermi, sopra un abisso.
La luna apparve, tonda, e ci distrasse (nella finestra, in cima alla magnolia), stavo per dire:" Non sei tu, l'amore. Io voglio solo prenderti, tenerti per un eternità che non misuro". Corsero i giorni, la luna riapparve (nel vento lieve, sopra la magnolia) e mi dicesti:" Partirò domani.", con la voce di chi non vuol ferire, intanto caccia nel ventre un coltello.
Chi potrà mai, mai più darmi quel bene che m'aspettavo come un nutrimento? Che m'accadrà, ora che a un guscio vuoto assomiglio il mio giorno, la mia sorte? Non vedo, non ascolto, m'incammino per una lunga strada, senza mappa, e non lascio segnali per tornare: incontro al buio avanzo dal buio.
Altro non ho che la disperazione e una confusa voglia di sparire: nessuna voce che venga a chiamarmi nel pozzo vuoto in cui sto rannicchiato. E' morte questa che già mi rinchiude. La memoria è disfatta. Ci fu un tempo ( a chi appartenne se niente rimane?) quando attendevo che tu ritornassi e pativo, chiamavo, e tu apparivi molto ridendo di quel mio penare.
" Vorrei che mi guardassi e m'ignorassi.", chiedi. Tu sei vigore e sfinimento. Arde l'estate, seguitiamo i passi di un inatteso accordo, di un intento che al sempre il sempre aggiunge e vi disvela un'antica promessa da fermare. Nell'orizzonte trascorre una vela: immenso desiderio da chiamare. Presso gli scogli la medusa attende l'incauto che s'accosta. Ti disciogli dall'acqua azzurra. Sulle case scende il sole, come un gioco che si compie, come la sola suprema risposta.
Hai sognato il tuo gatto che affogava. E' mattino sui monti, nella stanza trapela un fresco sole, mi domandi: ( esiti prima, ti guardi le mani lievi, sottili come foglia o vetro, attendo un poco ansioso, ti sorrido) " Ora, promettimi di essere eterno". La tua voce pretende una risposta. Io dico:" Eterno è questo che viviamo.", dico che t'aggrediscono fantasmi dissennati nel mezzo della gioia.
che ci spetta, la brevità del tempo che ci fu dato in oscura misura, v'è la passione che non sa durare oltre il fievole battito del cuore; v'è la sconfitta e, pure in questa, il bene di restare nel sole del mattino, di traversare strettamente insieme l'ora della stagione ed il destino. |
Post n°106 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani
da Poesie per la madre Io non sapevo, no, quando cantavi - forse d'aprile, nella stanza azzurra- che tu eri la madre, ch'ero il figlio. T'ascoltavano i monti e le pianure, le rondini acquietate nelle gronde e io incantato sul cuscino bianco. Nel tuo canto s'aprivano le attese del confuso presente, le mestizie di tutti gli improbabili futuri. Compresi allora ch'eri la compagna di un viaggio di asprezze, di tormenti, al di là delle mura e delle porte. Lungo molte stagioni quell'inganno dentro mi crebbi e mi finsi colui che nella notte cammina davanti. Stasera dici con voce di pianto - sale nel cielo la luna di agosto- che andasti sola per le strade buie.
da Congedi
Il sogno, non quello che a notte assai di rado conduce per inattesi Eldoradi, invece inserra porte, stringe cunicoli, confonde alfabeti, lega i piedi alla fuga; (torna mio padre e mi offende come mai fece da vivo; parte per non più tornare chi a fianco mi dorme fedele) il sogno, che accompagna la veglia -fantasma d'amore- salute- ferma allegria, e converte i passi, falsamente consola, sdoppia l'istante in uno specchio ingannevole: una tale spaventosa chimera dobbiamo ucciderci dentro. ...Andava il delfino veloce nell'acqua azzurra portando la prima voglia di esistere.
da Recinto d'amore Da sempre aborro le armi, non so se per superbia o per paura, e quanto ai cavalieri preferisco i cavalli. Amo invece l'amore e seguito a cercarlo bestemmiando e soffrendo, come non mai sapessi d'essere in un servaggio. |
Post n°105 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani
a Pier Paolo Pasolini Ancora la vita come fosse un altrove da abitare nel sogno e questa - di rabbie, di attese, e pure cara, cercata - la porta da valicare, una vigilia, una sosta. Ancora l'ansia, come scura semenza da concimare, annaffiare, e in essa la mappa per seguitare il viaggio. ( Un pomeriggio, a Sabaudia, nella tua ultima estate - dal terrazzo tua madre chiama il mare che avanza- maledici il catrame dentro la sabbia, lungo la battigia, e stupisci dell'olio di uliva che smacchia ).
per Sandro Penna Nell'alta stanza con le imposte chiuse gli tornavano intatti il cielo e il mare e fanciulli fra l'erbe e l'erbe al sole del tempo immemorabile sereno forse varcato soltanto nel sogno. S'ammucchiavano intorno al suo letto di logore lenzuola vari strumenti e vecchi panni e mappe per un viaggio da compiere ancora. Nelle notti vegliate udiva l'ora battere sopra le cupole e il fiume e già piangeva l'attimo bruciante quando la triste fanciulla gentile sarebbe entrata a fermarlo nel sonno.
J.R. Wilcock " Tutto è niente- diceva- e niente è morte.", come il sapiente di Vienna salito nei boschi pacatamente insisteva:" E tutto è parola.", dalla sua casa di tufo guardava le terre cedere i solchi all'abisso e le viti slegate. Quando la mano non tenne la pillola amara - forse sarebbe rimasto ancora un mese- l'ombra sua macilenta, nell'alba di marzo, chiuse la stanza dei libri, spense la lampada, lasciò sulla porta il cane in mezzo alla nebbia, sdegnata sparve verso i confini del vuoto dove avrebbe dissolto il chiaro degli occhi e la sua fragile sorte di triste animale.
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Post n°104 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani
Al padre Ombra che indugi nella memoria confusa come al ritorno da un lontano viaggio non più dicendo di altre partenze e fatiche e del destino di abitare sulle onde. Corpo toccato solo avanti la morte, arrese mani, brevi ceduti lamenti, venni per mare anch'io se mi portava fra chiuse mura la tua nave inerme. Vecchio randagio lungo deserti di acqua, partito ragazzo da un paese di selve, poco o niente sapesti del figlio sperso a rintracciare nel buio l'esatta via. ( Aprile, vele nel golfo, tu m'attendevi e la pianola sgranò una promessa d'amore, m'involse allora la pena che adesso sciolgo, avevi gli anni che compio mentre ti parlo.)
( Noi scendevamo l'isola verde di luce, svaniti gli orti, le case, prossimo il cielo, nelle tue braccia, come semenza nel solco, colsi un istante il bene di essere colmo.) Ti riconosco compagno nell'arduo cammino oggi che molti padri invano ho cercati solo trovando uguali nel dubbio, nell'ansia, cauti viandanti verso un ignoto traguardo. Sei la stagione trascorsa avanti la mia, l'ultima porta e scendo verso l'uscita, la voce tenue levando traverso le nebbie, ombre chiamando nel nome breve dei vivi.
Confidenza M'attende nello specchio come in un vecchio racconto di prevenuta pazzia, raramente mi guarda pure so bene il disprezzo che alterna alla paura, stiamo insieme ab initio ci staremo di certo fino all'estrema chiusura quando ripartiremo per quel niente che a noi come a tutti spetta. Ogni tanto lo scordo e andando si fa lieve e contento il tragitto, ma presto l'ignorato torna a contare i passi, a mozzare i respiri; l'ho visto, si ammanniva di assai dubbie speranze, di premi da poco, quando era sufficiente amministrarsi le ansie e le voglie mai zitte. La volta che ho provato a lasciare la stanza del suo triste segreto ha socchiuso la porta e m'ha mostrato, un attimo, sabbia soltanto e cenere.
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Post n°103 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani
L'ultimo canto Forse la prova fu in questo andare per acque mai ferme sotto i cieli, sopra gli abissi, incontro a porti segnati su logore mappe, e ancora in questo snodare funi d'inganni, chiusi dentro l'inganno che tutto include, così seguitando le attese, le congetture. Dunque sostiamo fra le mura e gli arredi dicendoci eventi remoti, grovigli di storie, il colmo amore attimo fulminante, il nostro, il loro ultimo esteso dolore, un canto accennando, breve come un saluto: "..la segreta allegria di starsene affacciato, il cammino malcerto nel percorso tracciato, l'arbusto che infoglia, il cielo che imbruna, dentro i vetri la luna.."
Epifanie Vengono ombre che s'appressano intente, salgono in folla anche le non chiamate. (Quali di esse amai, quali mi amarono, e chi mi disse:"Andiamo", a chi risposi:"Sempre", chi dopo tanto lasciai, da chi fui lasciato, con chi percorsi una strada,di chi attesi la voce e chi passò veloce dentro i miei giorni ?) (Da molti aspettai vicinanze, da molti una guerra, di quelli che più m'accostarono chiesi la morte tanto così m'affamava la loro presenza. Con tutti compii un tragitto breve, inconcluso, di alcuni conobbi l'ansia, di alcuni il rancore, per altri appresi un passato di insidie, di incanti, e chi chiamò piangendo, chi rise e disparve).
Sostano finalmente nella mia camera ombrosa, si sovrappongono i volti, sono confuse le voci, al mio cauto richiamo rispondono chiamando, dal mio desiderio adunate ripetono il loro apparire.
Tornano nel mistero mai veramente toccate - con loro fui quello che ieri si aggirò nel recinto annodando parole, dalle parole vinto. |
Inviato da: chiaracarboni90
il 31/05/2011 alle 11:36