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Post n°97 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani
ANCORA SOGNATO DI LEI Era Angela, certo, ma non lei, un viso tutto diverso. Era lei perché io lo dicevo, e dicevo: "Ma cos’hai fatto?". Eppure gioivo, nel sogno, di aver deciso di ritrovarla, di averla chiamata, affannato a scoprirle appena una granulosità accampata nell’occhio di quell’altra persona che era lei. LA CARTINA DI TORNASOLE "È sapere che ci si abituerà, che inutile è il lutto che ti sottrae il domani, il peggio…". E, allora, non pensarci, sbrigarsi con le pratiche del cordoglio. Ma Angela, ancora dopo cinque lustri, nel mio fondo? È, lo so, inceppamento cerebrale, abitudine priva di una veridica sostanza. Eppure è vero che è soltanto con lei che a Trieste potrei tornare senza residui, da nulla rimorso e, su tutto, l’idea di non essere "con lei" lì, al confine da tutto.
Da "Poesie della pensione" * Questa nuova stagione (che "si apre"?) forse più desolata ma tranquilla, e mi fa gioco, adesso, l’idea della città randagia, piatta fra le nebbiole dei mattini… L’AMICA "Con la liquidazione" (che parola) "imbiancherai la casa, cambierai almeno le sedie" dicevi. Io, sapendo i miei guazzabugli, sorridevo, nicchiavo, anche, a tratti, angosciandomi. E, adesso che il gruzzolo è arrivato, come ti sono grato che non lo dici più, che hai capito che non basta la quota di speranza a quel piccolo sforzo.
Da "Oli e acquarelli" LA DIRIMPETTAIA Un’argentina, o una cubana bianca (non necessariamente io furtivo) dentro il grande rettangolo della stanza. Ma poi, una volta per strada, non era facilissimo decidere, a parte il supplemento di fascino di quei gesti, per quel loro svolgersi lì, se così preferirla, ballerina ingaggiata di lontano, o invece concittadina, a sorpresa nel nero antro della fruttivendola come tutti in attesa fra gli acri odori delle merci e le verze a terra buttate. Del resto, come in una bottega dell’Avana. E l’enigma continua. |
Post n°96 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani
RISTORANTE SAN MARTINO Carrelli di bolliti, paradisi del caldo fasciante nei ristoranti, a gennaio. E dei fumi. Ma, dicono, accelera, la supernutrizione, la morte. E io ci credo. Ma, anche, accende il nirvana, ti preserva dal gelo che sempre meno tolleri di sentirti nel corpo. LA BELLEZZA DELLA CREMAZIONE Ma questo patrimonio, miracolo che sono, a pensarlo inceppato in una volta e subito infrollito, carne-verme, per un embolo, una venina… E almeno, dopo, potesse riposare, statua-corpo, a futura memoria in bella vista sul più duro basalto. DEFILAMENTO Preparare la non sopravvivenza nello scempio benevolo dei vivi; fin da ora libero dal fastidio di sapermi ancora ombra dove è, per gli altri, la vita carne e sangue, e mangiari e odori e amori. EQUIVOCI DI BASE Il corpo, indegno di qualsiasi aldilà, pensavo… E già in Confessione, da piccolo, mi sentivo in difetto perché non aggiungevo, per vergogna, "anche" le funzioni fisiologiche.
Da "Ultime per Angela" LA PREVEGGENZA INUTILE Non era la sua indole, il suo cuore! (e fu il mio massimo tributo averlo già allora saputo) cosa per me. Ma come profondo deve essere stato questo mio amore per accettare di vivere così sicuramente dentro un sogno destinato a finirmi. QUALCHE VERGOGNOSA NOTIZIA Nella routine dei giorni con la carta carbone, non va male. È soltanto la rottura imprevista dell’ordito che m’accascia: mancare per tre giorni di seguito, alla periferia di Modena, via Kosica con l’orario che incalza e ritrovarmi, affannato, lontano; se va via la luce o la televisione si guasta troppo tardi per rimediare. È allora, solo, ignominiosamente, che ritorno uno straccio, come se fosse ieri che c’è stato l’addio. |
Post n°95 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani
POESIE INEDITE
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Post n°94 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . là, a mezza costa, sulla collina nella luce tersa di fine settembre si disegna la trama dei filari delle viti Il piede affonda appena nell'erba ancora verde mentre l'occhio scorge i merli dondolarsi leggeri sulle rame, beccando rapidi la scorza, per poi svolare in altri giri tra gli alberi Sul crinale il bosco respira il cielo, limpido, quando matura l'ombra del primo autunno L'ora è colma di voli Ma ai piedi delle viti l'aria deposita Una ruggine scura, uno smog, una lebbra della stagione, che sale piano il tronco, giorno per giorno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ci plastifichiamo, a poco a poco, con nuove protesi per esperire l'esterno, saggiare con altri tentacoli il fuori, senza contatto corporeo Mediamo tra noi e la realtà con strumenti artificiali, ci neghiamo il tatto, la sensualità delle mani Finché a poco a poco muterà la vista, cambieranno gli odori Così sempre più in noi, negati i sensi, quasi androidi in serie il mondo esterno apparirà una ceralacca opaca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . forse siamo al nulla-deserto di Beckett ai due rifiuti umani, accanto ad altri rifiuti (solo un albero scheletrico resiste alla distruzione) quando il dire diventa un ingorgo insensato un arrampicare sul vuoto, un non-sense tragico Perduto il senso dei gesti la parola cede In questa deriva, aggrappati su sponde distanti, si tentano ancora segnali Ma restano chiusi in se stessi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ora in questa selva di oggetti ci perdiamo Ad ognuno appartiene una rifrazione di noi, una faccia possibile del nostro diamante Ma non ci rispondono, ci assediano muti, sempre più vicini, sempre più noi Quel silenzio incombe, ci interroga, la loro luce abbaglia, e mura noi Resisteremo all'assedio? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ora riposano le auto in un silenzio scintillante abbandonate nella periferia (solo qualche scricchiolio lieve percorre i profili) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . andiamo a visitarle, quasi in pellegrinaggio, per rendere omaggio, con i bambini, a sfiorare ancora i musi, ad accarezzare i sedili Forse non abbiamo sacrificato molto A questi nostri déi-meccanici Non abbiamo rivolto preghiere, libato, dedicato qualche vittima E loro ci tradirono . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ora l'industria, dopo l'eccesso di distruzione, si evolve Scopre, per contrappunto, l'industria del disinquinamento, per un soprassalto di coscienza ricicla le proprie scorie (Le magnifiche sorti e progressive) Controlla quindi tutti i cicli presenti e futuri Sarà la nostra Madre Eterna (Veglierà sempre su di noi) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . a video, sulla scrittura verde, da programma scorre un'altra immagine, improvvisamente Interrompendo il flusso programmato, riempie lo schermo, cattura gli occhi E' un giardino di primavera, gli alberi appena potati, un vento leggero sui rami l'erba germoglia il verde d'aprile Di seguito un'altra veduta: un fiume ad arabeschi sulla piana la riva con i pioppi in fila nel vento le ombre portate dall'acqua Poi riprende lo schema dato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . (a video ci trasmettono i sogni, su programma) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . a poco a poco dimentichiamo il nostro corpo spossessandoci di noi ad ogni cambio di stagione, fedeli alle mode Abbiamo perso i tempi lenti, le attese dolci le ore di sole abbandonate sulle pietre calde, godere l'aria sulla pelle nelle sere, i passi pigri sul selciato, persi tra le vie Ora le sensazioni incalzano, nuove, eccitanti, mutevoli Ci sfiorano, per poterle afferrare Continuamente prodotte E al corpo non resta che una vaga percezione, una nostalgia di sé, di un'altra fisicità perduta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . e ancora continua la pena, uguale negli anni non muta, giorno dopo giorno, quasi senza un prima e un dopo (la mente dimentica i giochi, non rompe più la sequenza) con catene leggere, ineffabili, nella logica dei ritmi di produzione Tanto da dimenticare il corpo, un componente della serie, e si affievoliscono gli altri desideri, subito spenti dalla programmazione lineare, senza sosta (La memoria cede al presente) Non resta che il sogno di quiete, di silenzio: il regalo del week-end . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . morsicano piano piano, a morsi lenti, la linea delle colline Così l'occhio sì abitua a poco a poco, si adegua alla nuova veduta al nuovo lucore stirato, senza pieghe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Perduta la memoria altre immagini incombono, si stratificano, la vista cede, si abbandona, e ingloba tutto il presente Sempre pronta al nuovo (con il verde all'occhiello) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Forse è la nuova parola d'ordine, un timbro pronunciato dappertutto, e diventeremo tutti dei giunchi sinuosi, con protesi adattabili, capaci di sopportare qualsiasi evento Per una duttilità sempre più specifica, meccanicizzata, con una scelta fatta circolare in maniera sottile, tanto da penetrare in noi un po' alla volta, quotidianamente, tra le altre parole, in vista di una nuova qualità del prodotto (Ci alleneremo in palestre verde post-moderno con esercizi fisici e mentali) Per un nuovo slogan per il futuro: Flessibilità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . a mezzogiorno le Signore smettono un attimo la manicure del mattino per poter scrivere cartoline di appello alla pace, con mani curate e con furore pacifista All'ora dell'aperitivo l'impegno riscatta la giornata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . premono sempre di più, stringono i luoghi, si ammonticchiano in pile pencolanti, penzolano quasi sulle nostre teste invadendo ogni passaggio, regalati perfino in sovrappiù sugli acquisti, con una incontinenza senza misura: i prodotti E ormai, dimenticato il gioco, giriamo in un labirinto costruito da muri sempre più alti di pacchi colorati, in sottofondo una musica giusta, in cerca con sempre più fatica dell'uscita, per respirare l'aria, e trovare un altro varco aperto per noi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . |
Post n°93 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani
da "Amuleti"
1990 - Se ti guardo di tre quarti (lo so, è il tuo lato migliore) i tuoi occhi diventano più fondi, più scuri per me Mi attendi, ti apri Sfioro il tuo petto, più sodo passo le mie mani sulla tua barba bianca sul mento, la mia testina ribelle sul tuo collo Mio orso bruno, un po' irsuto -
- Quando ti guardo i tuoi occhi sono più grandi, più azzurri Scompare quell'ombra viola Sei tenera, mia piccola vespa Rabbrividisce la tua pelle se i miei piccoli morsi scendono nell'incavo dei tuoi seni, nelle tue fossette scure Mia piccola volpe bionda, selvaggia - "Ancora tu, ma non dovevamo vederci più?" Ritorni d'improvviso, trasvolando con le tue piccole ali di mercurio. Mi sfiori la fronte, a mezz'aria, leggera come i gemelli, con i tuoi capelli capricciosi Appena ti afferro per mangiarti gli occhi, il naso, il mento piccolo, cambi il tuo gioco, metti gli specchi Mi resta l'ombra della tua schiena sulle dita Amorino, hai due gambe elettriche il culetto al neon A volte, ti poni accanto arricciata, gli occhi gelati d'azzurro, puntuta come un ghiacciolo E ti cerco con la mano sfioro con le dita le tue ginocchia scendo tenero fino all'incavo delle tue gambe, alla tua piccola cala. Il mare fruscia. E resto lì, abbandonato, sui sensi della tua pelle bruna Vorrei essere la tua piccola vena azzurra delle palpebre per baciarti sempre gli occhi
da "Dalla periferia del verde"
1997 Cementano le rocce smaltando di grigio le asperità, le punte incavano le linee più sinuose per adattare le curve, le prospettive tagliate si spezzano, si arrotondano per l'occhio placido Una colata si stende piana, senza sbavature un bel grigio-cenere uniforme spariti i riflessi, i giochi di luce (non disturbare la percezione) Per un nuovo paesaggio a nostra misura (Dolcemente conforme) Al fondo spezzano la linea dei seni delle colline al tremolio di luce sul profilo, spuntate d'improvviso, a cono, nella mattina grigie di cenere, con un pennacchietto di fumo sulla bocca, l'odore marcio e dolciastro sui fianchi pelati: le colline dei rifiuti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . finalmente abbiamo uno spettacolo nuovo: la guerra in diretta sullo schermo, nel blu-notte si aprono a ventaglio gli attacchi luminosi e fioriscono in corolle come fuochi d'artificio Nuovi come nella guerra di Apollinaire . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Per giorni lo spettacolo si ripete senza sangue Finché, un po' alla volta, l'occhio si annoia, tergiversa su altri fondali si posa sugli steli verdi delle piante dell'angolo in cerca di un altro video, senza interruzione (Anche la guerra si consuma) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ci neghiamo a noi stessi per un nuovo ordine, sempre più contenuti, in regola, assistiamo alla nostra lenta, purgatoriale resa Sfumando piano i nostri contorni ci inseriamo nel grigio, nell'apparente ordine scritto dell'evoluzione Con un nuova mutilazione giorno per giorno ci salvano dal nostro intimo caos . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . noi curiamo le rose gialle, comperiamo il novecento (salirà ancora), riscopriamo il primo cinema, sorseggiamo un drink estivo, mandiamo i figli a scuola di vela, vestiamo con nonchalance l'ultima moda, rifaremo una cantina assortita di vini, sempre leggeri, non sfiorati da niente, (le notizie dei giornali tramontano subito) con l'abbronzatura sorridente, le mogli stirate in viso, intoccabili, come dèi dal passo agile, giovanile, amici dei figli, in forma, esempio di saper vivere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La crociera per i mari del sud è al largo, nello stridio dei gabbiani, lontano dalla linea della nave (Un odore sottile, diverso, li inquieta) Alla balaustra, i maschi, neri, puntano ironici, gattoni commentano leggeri ogni gioco Seducono, con i piedi nudi come arabi, il passeggio della sera, quando le signore abbronzate, quasi viola si abbandonano al finto riposo, eroticissime Sul ponte i camerieri hanno il sorriso dei camerieri, il lustro è lustro, l'azzurro della piscina è l'azzurro della piscina Ma una scritta rossa corre a mezz'altezza VIETATO SCENDERE LA LINEA DEL PONTE (E' la crociera dei rifiuti) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . girato l'angolo la strada è interrotta da transenne, cavalletti, cartelli di divieto sbarrano la marcia mentre una talpa meccanica scava un nuovo tunnel, eruttando cumuli di terra . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pali di cemento per la luce vengono innalzati, nuovi obelischi, in un batter d'occhio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . altri raccordi stradali s'intrecciano, in nuove geometrie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . si spianano colline in periferia, con un rombo continuo per altri quartieri allo stesso livello dei precedenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . (la città si rifà il viso, muta in continuazione, assembla tutti gli stili, cambia di pelle, scoprendo eritemi, ingloba una parte di noi)
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Inviato da: chiaracarboni90
il 31/05/2011 alle 11:36