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RACCONTI ITALIANI ONLINE - RIO - POEMI ITALIANI MODERNI - MARCELLO MOSCHEN - SCRITTORE, POETA ED ARTISTA MODERNO - CONTEMPORANEO

Post n°57 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani

1994

La più fedele

Dire torneranno suonava falso.

La gabbia aperta odore di libertà.

Sul davanzale il pegno di qualche piuma.

Sfumature che non si dimenticano.

Inutile affannarsi nei giardini

imitare il verso della specie.

Ingannevoli i rami e quel brusìo

di foglie combinate al vento.

Sera interminabile sera vuota.

Chi diceva aspettiamo chi disastro.

La coppia più fedele è anche la più leggera,

miagolava uno sentendosi in colpa.

1994

 

Da Il gioco e la candela

Tredicesima fatica

A tal segno il mondo era maturo

che bastò un'impazienza del vento

un che di labile mosso tra l'erba.

Franava la collina, briciole

e fumo i suoi feticci – quanti! –

giù giù fin dove si schierano i regni

dei venditori di castagne al ruvido

dei graticci roventi.

Le metope

riverse, rotto un Eracle alla prova

della sua tredicesima fatica.

Era tempo.

Un passaggio di secoli

senz'acqua. Solo viaggiatore il vento

su questi cimiteri, a liberare

tibie saltuarie d'eroi, teschi

e altre grazie velate.

Ancora un poco

e i tedeschi scoprono la Grecia.

1990

Il velo per memoria

La bandiera che dà smalto di patria

e slancio anche alla più pigra facciata

il telo sotto cui pensa la statua

prima dell'ora dello scoprimento

il bucato che sul filo del vento

predice inverno e asciuttezza di cuori

la tovaglia che fu dei genitori

chiarore arcaico a proteggere i figli

il panno scuro alibi e nascondiglio

del genio del fotografo una volta

lo striscione che chiama alla rivolta

gli esclusi sotto il bastione dei torti

il fazzoletto che serra, dolore

con dolore, la mascella dei morti

la fascia sulla fronte bianca e oro

dei cresimandi – i soldati di Cristo! –

il velo per memoria della sposa

a decollo avvenuto sulla pista.

1991

 

Sulle precise carte

Quando

un parente

ha deciso:

morirò

prima che muoia

l'estate

la sua parola

vale

e allora è giusto

lasciare

un recàpito fisso

qualcuno dovrà dirti

in che minuto

si scoperchia l'abisso

chiamarti alle fatiche

degli avvisi

delle iscrizioni

della scelta del legno

pace quindi anche a noi

si rinuncia al Regno

una volta di più

risparmiamo le suole

e le provviste

sciogliamo

il fiato e l'anima

l'avventura si fa

sulle precise carte

passiamo con le mani

tra le bianche rovine

di abbazie smeraldine

annusiamo gli umori

termali anche da qui

si sente Harrogate

o il mare

grigio di ghiaccio

del Norfolk, stiamo attenti

riparte il bus

il ritmo è vago

forse

un God save the Queen

fin tanto che dilaga

la sera di King's Lynn

1992

 
 
 

RACCONTI ITALIANI ONLINE - RIO - POEMI ITALIANI MODERNI - MARCELLO MOSCHEN - SCRITTORE, POETA ED ARTISTA MODERNO - CONTEMPORANEO

Post n°56 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani

1991

 

Da Numeri primi

Dividere un viaggio

Non è solamente un dividere

le spese, adoprando la casta

ispirata equità dei pionieri –

non un contar le gallette

e man mano le briciole – o un fare

in spicchi eguali l'arancia

(frutto sempre più di ieri,

colori ipnotici ormai

piuttosto che veri) – né basta

diradare gli appuntamenti

con la borraccia, onorando

la goccia che lungo il bordo

rischia di perdersi –

no,

dividere il viaggio vuol dire

sfiniti, ogni sera, finirsi

gli occhi sulle carte, in ricalchi

di nere linee, già previste,

o tracciarne di nostre, azzurre

o rosse – "Domani saremo…".

Dividere il viaggio è sparire

a noi stessi, spartire pensieri

(un pane che non si consuma);

compatire, quando uno grida

nel sonno a cattive memorie

che gli scampanano dentro

e tira un po' più dalla sua

la coperta, se mai lo difenda

in quel punto che si contrae

l'universo in una tenda.

1994

Ghiaieto

Senza un alterco, senza un broncio, via.

In quattro pedalate era finita.

Quel sentimento messo di traverso

sulla piana perplessa della mia

vita, andato con lei. Verso il ghiaieto

ardente, a seppellirci il suo segreto.

1994

 
 
 

RACCONTI ITALIANI ONLINE - RIO - POEMI ITALIANI MODERNI - MARCELLO MOSCHEN - SCRITTORE, POETA ED ARTISTA MODERNO - CONTEMPORANEO

Post n°55 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani

1980

 

Da Una fonte

Una fonte, XXII

I poeti dicono la verità.

Una parte di essa duole in altri

ed è quella che dura. Sto leggendo

nella coppia di buoi aggiogata alta

sopra i binarî una specie che il secolo

ventunesimo estinguerà. Dell'erba

del pendio su cui poco procedono

dico che sarà presto sulla curva

del rimpianto. Con altro, di paese

in paese, di fonte in fonte, avendo

lo stesso muro opaco d'aria in fronte.

1981

 

Da Ventagli

*

Lei si leva dal caldo del sonno,

divaga tra le ombre insegue

con poca presa un frutto da intaccare,

ritrova quasi di un altro emisfero

quei fogli scritti poco più che a mezzo

abbandonati sull'ora di cena

ieri ma adesso nel freddo

la luce è più leggera, non può

incepparsi il pennino, continua

fino all'ultima riga la sua traccia

il codice in viaggio sulla pagina

che con amore ripete: – complètami –,

se non fosse il controcanto, da sotto

in su a chiedere: – strappami –

sussultando in un ritorno di fiamma

del sonno quest'umore di suicidio e di nulla,

come dall'altra stanza sta vivendolo

chi è rimasto a pescare nel buio

anche lui senza presa – finché rullano

le radiosveglie sul petto e ritornano,

nodi al pettine, i minuti contati.

1982

 

Da Serials

Colori per un anno: Arancione

La bacca viva esplode fuori campo,

veli di plastica frenano il colpo,

da olivo a olivo una marea di grinze,

qualcosa dalla ragnatela afferra

i filosofi, li prosciuga nell'unica

goccia di sangue del loro cuore.

1984

 

Da Pomerania

*

Dal rintocco dell'ultima cesura

la tua voce recitante potrà

non da altro spinta che da natura

risalire: così lungo una tela

senza smagliatura il colore va

dal cinereo al cilestro all'azzurro

al turchino sfrangiantesi in viola

e avanti e dopo ogni punto è del cielo

dove la Morte dice alla Parola:

stammi in grembo seguimi nella gola

del vento, non puoi farcela da sola,

son io la casta diva, la tua scuola.

1986

*

Hai voglia a sforbiciare! ci son chiome

che infoltiscono appena vi s'accosti

una lama – e lo stesso certe siepi

al minimo sospetto di cesoie.

Così la rampicante minutaglia

degl'inchiostri sibillini, che va

lungo le afflitte e le ridenti vie

di carta, simulata verità,

quella non la riduce non la taglia

l'autenticante ossessione, la febbre

dell'essenza, del nòcciolo.

(Tu prova

a colpire, mentre sogni o dal vero,

la punta dei campanili, decàpita

dei gigli rari e agili le torri:

a ogni crollo è più vasta la città).

1989

Via Lagrange

(Lagrange…chi era Lagrange?) Ogni città

ha forse la sua via Lagrange. Ma una

nell'impaginazione del ricordo,

una sola s'imprime. Vive travi

di càrpini, condominii in decoro,

fioriere gremite di petunie.

Gli attici puntano verso le Alpi.

Proprio là dove segna la lapide

via Lagrange, spiovono molli frange

vegetali. Nell'ora dell'Angelus.

C'è una bella signora che piange.

Conta i passi, forse dieci, raggiunge

sull'angolo più lontano una conca

di viole. Tutto il balcone è alleanza:

il lampo del sole morente, la vampa

di quei fiori – e di lei già fuori campo,

quasi un pòlline, un senso di carminio.

1991

 
 
 

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Post n°54 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani

Da Orto e nido

Orto e nido, XXXIII

Non esiste, non qui almeno,

il vetro, l'ultima teca a misura

del suo corpo, del nulla insinuante

ch'è il suo corpo.

È entrato, ora, sussulto

e prodigio, il folletto dei canali,

più che zanzara, libellula

 

anima in forse anima incostante –,

e quante mani, per questo, in agguato

verso la sua paura che su ali strette costeggia

il girasole…

Anche le anime emerse

dalle occhiaie di un fossato lo sentono,

il magnetismo del fuoco, perfino nella penombra

dove un fiore, distratto ossa e pupille

dalla sua arcana pece, un po' patisce

il suo primo giorno di terraferma.

1979

Orto e nido, XLII

Non c'è profanazione, si consacrano

tutti in orbita i significati,

la cometa fa strada, non la possono

incantare preghiere qualsiasi.

È per questo

che profaniamo noi un senso compiuto,

il nostro "come eravamo" (ma poi: come?), sfidando

in aria di lacrime l'inaspettata marea,

il surf ormai quasi in punta di secolo

su tavole imporrite da un'estesa

disattenzione, dal digiuno e dal buio,

e al primo urto si è già più che perduti,

disfatti.

1979

 

Da L'arte del primo sonno

*

L'universo in quattro battute, è questo che mi domandi,

non più di una per elemento (e credi

sia troppo). Così barcamenandomi

tra aria e cibo, fuoco e sonno, fo torto

a tutte le altre pietre, te ne stacco

quattro appena per dedica:

il tempo di Venezia senza spigoli,

il riso di un vassoio senza smalto,

noi due nature vive nel giardino dei morti,

le arance tutta buccia di Rialto.

1980

*

Le mani vivono intere sul piccolo piano di fòrmica,

le mani felicemente distolte

dalla scrittura. Dorme la tortuosa

intelligenza, dorme la prima parola

con l'ultima nel moto delle mani

così attente così implacabilmente

illetterate.

Le mie mani: preparano

il presente, cucinano stelle

d'arte povera, hanno due figli,

li scoprono pieni di mani, di voglia

d'inventare e inventarsi mescolando le carte

e gli elementi: non tutti finiti

nel volo di una tovaglia che plana sul piano di fòrmica –

il volo forse del tappeto magico

d'ogni sera, che saprebbe portarci

in qualche altro occidente e non lo fa.

1980

 

Da In piena prosa

*

Il più nuovo messaggio, come altre volte, non ha bisogno di voce:

è la postilla di Dio, sorride più che in passato

nei due scesi di casa a salutarmi,

ventitré anni a sommarli, distribuiti

secondo un equilibrio di bilance terra-cielo,

il leone e la vergine,

ed è bene che io non mi appoggi su nessuno dei due, quand'anche visibili, piatti e segni:

debbo equilibrarmi io in me stesso, resistendo ai colpi di freno, di coda, dell'autobus

che ormai è mosso,

reggere i colpi bussati da dentro

e intanto non tralasciare finché siete nel fuoco della mia poca pupilla,

di accennarvi, senza che mai vi pesi, Giuliano, Silvia, l'amore

come un regalo di quelli che sorprendono quanto più attesi

e di cui, con un po' d'imbarazzo, si usa dire: – non ho parole –

ecco, tutto questo vi tocca durante la cenere

del pensiero d'un lungo viaggio…

1980

 
 
 

RACCONTI ITALIANI ONLINE - RIO - POEMI ITALIANI MODERNI - MARCELLO MOSCHEN - SCRITTORE, POETA ED ARTISTA MODERNO - CONTEMPORANEO

Post n°53 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani

Da In parola

Tra i rami, dopo i rami

Lo distinguo davvero, ora che manca.

L'albero che fu il perno dissestato del campo,

cancellato è più mio, posso parlarlo.

Al vento mancano i rami per far musica

ma un ramo altrove è il fuoco di pienezza

che accelera l'annata, senza nidiate domani.

Di quanto rattrappisce sotto l'ultima assenza,

di tanto ci ripaga, nella zona

che si disse albero, un polline sulla cenere:

neanche una cicatrice si rileva,

tutto è in pari, e il fuoco pende in qua.

1973

Perdendo quota

Quell'ago per chi ricama

il suo punto di luce sull'oceano?

Bruciano per la cruna illimitata

 

li vedo, li travedo – i lenti lumi

di Milano, fioriti disattenti

a sconcertarmi con te. Oltre di te,

ti tocco con la punta delle tue dita assenti,

ti riconosco intera, ti conosco

dentro il perpetuo giorno del tuo nuovo non esserci.

Che cosa lo moltiplica, il lavoro di quell'ago.

Chi ha ingigantito quel punto.

Più mi planano stelle che pensieri.

Stellata viva idea di non pensarmi,

anche tu, ad ali tese, mi ricami

nel brivido d'America precoce

quasi a picco sulla città presepio

perdendo quota il cuore.

1974

 

Da L'inverno delle teorie

Poema intempestivo, XXXIX

È tutto vero, non fu l'inganno

a preparare la cena, sincera

la mano che dispose piatti e coppe

e l'altro necessario. Sta nel vero

chi pilucca compunto e chi divora;

è nel giusto anche chi tradirà.

Sullo stesso orizzonte le monete

chiassose nella borsa, il bacio

e la cattura, la spugna e l'aceto.

L'amore pesa al fondo del bicchiere

sulla mensa, ma ora sparecchiano.

1976

L'inverno delle teorie, XXV

E – non poteva essere che qui –

la incontri ancora, scordata da secoli,

secolare la trama delle ortiche,

ma è sui muri cinerei, sull'affresco

della navata che va restituendo

come un'anima la sinopia acuta,

ma è, quest'ortica, l'incondita forma

e pelle, acida e spessa, che lungo il tempo assume

quel che l'artista intese fogliame di pergola o vigna.

Ora è quasi foresta. Di colore contiguo

l'umidità forte e piena, s'aggiunge

trama a trama. Vedi lo strano maestro

ch'è il tempo, artifex additus, solerte in queste pievi

o isole del mondo a correggere chi

definiti per sempre supponeva

figura, aureola, chiaroscuro, margine.

1977

 
 
 
 
 

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