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Post n°47 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani
8 Fumi e gli occhi socchiusi alzi non so per cosa, una ragazza o una vetrina che va via rapida con una luce frettolosa. Stelle non se ne vedono, c’è una curiosa e varia architettura di lumi che ferma lo sguardo. Non so a cosa pensi, resti immobile: alzarsi sopra questo alone, respirare il buio freddo, la nevosa apprensione dell’aria, la gioia tesa della notte - l’inferno, dici, è degli amori tristi, i loro respiri morti.
9 Guarda quei due, ai lati del tavolo, in mezzo la cena terminata. La storia del mondo è un bambino al centro in silenzio che li osserva. Sono buoi d’umanità, tirare avanti fin che si è potuto, e ora com’è grave la sera, lievemente nebbiosa, come si perdono in un tunnel le parole e una bava d’amore orla le loro labbra, un’aureola stanca è la loro faccia.
10 E’ qui, tra le gambe, lo sperdimento, in qualche modo tutto. Che altro, che altro ti dice o rigurgita in volto il secondo avventore che ha l’aria ancora di sapere cosa dice. E ha l’aria di sfida ma l’aria di chi sa d’aver perduto. Tu non neghi, alzi il bicchiere, brindi: hai detto bene, sperdimento.
accostarsi a quel territorio che stiamo cercando, con quale orgoglio o padronanza a quel pozzo tremendo. L’amore vince, grida sempre quello alle nostre spalle mentre usciamo, vince fisicamente, vince su tutto il fronte. Tu ridi mentre sali, ridi forte, come non avevi fatto ancora e ti vedo monte, ti vedo con un cimiero greco sulla testa, ancora guerriero, di nuovo bisonte.
TRADUZIONE ONLINE ITALIANA |
Post n°46 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani
4 Scendi a comprare le sigarette. Il marciapiede in cui ti butti è affollato, lo traversi. Forse è la penombra o il pensare chiuso della sera, il bamboleggiare degli sguardi, ma nessuno ti riconosce, nessuno che rallenti o volga il capo. Continua la fiumana, la nera, stordita marcia. Solo quando lo scatto dell’accendino ti illumina metà del viso c’è uno che avanzava ciondoloni che s’arresta, si tocca il muso con la zampa e porta con l’ la bottiglia e fa ballar la gola d’un lungo sorso. Ride d’un riso aperto, maltagliato.
e non mi pari stupito, neanche preoccupato.
5 Eppure ti avevano cantato, ti hanno celebrato in ogni modo, penso guardandoti dal retrovisore mentre mi allento il nodo di un’orrida cravatta. E quanti, buon Dio, ti hanno cercato, gente tanta che s’è sfatta.
nel controluce di un camion alto di fanali quella folla matta e infinita di filosofi e povericristi, di oppressi dalla virtù e dal vizio, si sono smangiati il cuore e fino all’ultimo stipendio. E io non sono uno di loro ? Anche il mio nome svanisce presto nella corrente in quell’eterno dispendio. Anche se ti ho qui, quasi al mio fianco e stai sul mio lurido sedile e ascolti la mia radio lasciando cader la cenere e poche poche parole, non sono forse uno di loro chiedo e quasi piange il mio volto che mi viene incontro dal riflesso sul vetro mentre andiamo nell’oro buio della notte...
6 Anche queste signorine, dici senza accento nella voce, sì, vendono amore o cosa ti rispondo e non vedo ombra di condanna, o pena, ombra di niente. Molti altri lo fanno, ti informo con un tono da taxista cicerone, con più pudore, più frode, e più perfetto nitore. Guardi mai il televisore...
7 Fumi molto e lentamente, e lentamente entra l’auto sui grandi e stanchi viali. Andiamo dove c’è casino, dici senza emozione nel respiro. Il lampo arancione dei semafori corre sul vetro basse comete del nostro andare. Amare o non amare, è tutto qui, dici, il nostro viaggio, l’essere no non è nostra proprietà.
sono scesi nel buio fiume del viale, disegnati a matita i guidatori, la perla dello sguardo a volte brilla per l’incrocio d’altri fanali, si stringono le palpebre, prendono la mira, sentono stringere i cuori.
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Post n°45 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani
12
Tu non sei al fondo di nessun pensiero non sei nel nero perlustrato dal lento radar delle barche del silenzio – non sei nel folto dove ogni ramo e ogni battito fuggito d’ala anima un fantasma sugli stagni azzurri della mente. Non ti sei mai nascosto al nostro dolore come cane che ti insegue, non volti il viso ai colpi delle insopportabili domande, hai opposto al nostro ritirarci la tua paziente, alzato come straccio, la tua dura esposizione. Lo sai ora son contento che tu sia qui mentre una frazione di luce sui monti resiste sulla linea delle groppe scure e le grandi città luccicano in fondo alle valli, nel ventre delle pianure. Sono contento quaggiù di vedere tra le bottiglie il tuo guardare le mani che smistano vino, pesce, il pane fatto a pezzi – Gesù così, mio familiare, Dio fedele alla vita.
INEDITI Titolo provvisorio: L’amore. 1 Stringo gli occhi e vedo che non sei un fantasma anche se il tuo passo sembra venire barcollando dal vicolo nebbioso nel porto dominato da una notte che ha un’asma nel respiro.
d’acqua morta sugli scafi. E’ largo il giro delle luci lungo la solitudine dei moli. Vieni dai rifugi, dalle tane dove ti avevano cacciato. Quante botte, quante sbornie ti han conciato il volto bello e pesto, un taglio s’è da poco rappreso sulle labbra. Con quei vestiti hai fatto estate e inverno, sono stinti, il tuo corpo ci è dimagrato dentro. Ma il tuo sorriso è un coltello ancora e un fiorire agli occhi.
gireremo la città.
2 Le grandi insegne ci esplodono sui vetri dell’auto e poi negli occhi più debolmente. Hai sonno ? dico, un whiskey, vuoi forse riposare... Voglio vedere, mi fai, vedere solamente. Allora viro sui grandi viali, nella notte di nero e zinco punteggiata fittamente dai fanali, dalle sirene, dal ritmo intermittente dei semafori appesi al niente.
3 Quante cose ti potrei raccontare, dico mentre lasci la testa sul sedile, ti avevano dato per disperso, andato di cotenna e forse annoiato dopo secoli di fraintendimento, di agguati, di mancati appuntamenti. Giri gli occhi lentamente qualcosa riconosci o perduto in tuo acquario non guardi niente...
sotto le insegne di un megastore, ne hai viste tante, il rumore del traffico riporta le memorie il tuo film, ti han fatto anche passare per traditore. Non te lo dico, so che è il punto che ti dà maggior dolore.
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Post n°44 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani
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Se tu restassi quisi potrebbe continuare la conversazione,e sulle mani che tieni in gremboriposerei i miei occhi bianchi.Tu saresti la quiete del mondoe quel poco d'argine che soffermala piena...Ma no, dicevi, già via dal tuo stesso pianto e dal mio, che principiava, lasciando me e la mia casa come due inutilità per il tuo cuore da star - - Dio, che ami le star non lasciare che vada in cenere il suo passo e il dolore inchiodamelo dentro come un bene.
10
A G.Ungaretti, visto di notte alla televisione leggere "I fiumi"
Non ho fiumi io, non ho mai vissuto sporgendo il volto sull'acqua che quieta o vorticosa taglia la città, nobilita o nel gorgo riporta via tutti i pensieri. Non ho avuto gradoni di pietra su cui disteso perdere sotto il sole il lume della mente, addormentando. Non la loro vita da rubare, da prendere nel sangue quel ritmo, quel fermento. Ho avuto viali, strade larghe, rumorose, il getto alto di tangenziali, braccia aperte di povera madre vene da cui entra in città ogni genere di roba. Ho avuto viali d'alberi o rapide vertigini tra pareti di acciaio e di vetro oscuro. Cento volte risaliti, come vecchie canzoni, cento volte ridiscesi, nessuno più che chiede che davvero lo si guardi. Ho avuto viali che il caos rende identici, che sotto la pioggia sono l'inferno, sono frenetici. Ma alla notte, quando cade la notte si ridisegnano, viali nuovi d'ombra e di solitudine, quando li illumina il lento collo dei lampioni e lo spegnersi delle ultime réclame. Si muovono allora leggermente, ramificano, forse rotea un poco tutta la città; qualcuno finisce in faccia a un castello, a una cattedrale, altri smuoiono sotto i fari arancio di un nodo autostradale - - i viali la notte respirano con le foglie dei platani, larghe, nere, per i buchi oscuri alle finestre, le grate del metrò e l'aria nenia che dorme sui bambini. Tirano il fiato quando va via il passaggero sull'ultimo tram - I viali mi danno una vita speciale, che non è pianto e allegria non è, ma una ventosità, un andare ancora andare che viene da chissà che mari, da quali valli, da grandi fiumi.
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L’angelo delle tangenziali
Stava seduto sul guardrail nella luce spiovente d’arancio d’un grande lampione. La nebbia rancida
La vita, diceva, bestia la vita, mentre lo sfiorava la voluminosa carezza dei tir che vanno come sogni in autostrada. Non mi trovo più addosso un gesto solo che sia vergine
diceva fissandosi le mani,
(Lo incontro mille volte al ritornoda chissà doveo quando i viaggi nel sonno finiscono su mozartiane o vascorossiane tangenziali e poi si disfano in cunicoli, mio povero angelo, il mio e di ostiati come lui - -) o mia vita, ripeto e ripeteva,che non senti l'albanelle ossa e nelle giunture, ma il sale e solo il vento che dirada mai, che si placa mai
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Post n°43 pubblicato il 09 Febbraio 2011 da raccontiitaliani
5 Sembra venire a volte come opera del niente il giorno nei tram, nelle vetrinette dei bar.
Non hanno sentinelle le nostre città, chi veglia lo fa per mestiere o per disperanza.
E il nemico nessuno lo ha mai visto arrivare.
6 Incinta, dice il test Non chiamarlo, vienenella sua forza semilucente,è già una parte del tuo sorrisoviene come il profumo dei boschi,un niente, il muso improvvisodella lepre, è già una pieganelle tue mani, siedesul trono che diventi. E' un aumento che ha dismisura di nubi, fa paura come l'inizio del vento che piega i rami ma ravviva i colori. Mio amore bello e pieno di tormento, la sua impronta è già nella nostra figura. La felicità è l'attesa, è il tempo.
7 Dell'esperienza grave e felice del cullare Non conto più i miei giorni ma i tuoi, e le parole e le balbuzie sono le tue che attendo non le mie, scritte ormai più per abbandono che per forza. E guardo salire incendiato il giorno nei tuoi occhi o sulla foglia dei piccoli respiri -- Anche Dio che l'ha inventato con la fiamma delle comete ancora in mano obbedisce a questo struggimento: cresce nel figlio il padre, cede e aumenta la propria gloria, è uno stordito amore che fa la storia. Altri che non han voluto figli nè di carne nè di cuore fissano svanire le sere sui fogli che restano bianchi anche quando sono riempiti dai grandi geroglifici del vento. Quel che tu sei, Bartolomeo, non sta nel grande campo del mio fuoco, eccede il mio pensiero, scompare come un sogno all'amore che lo insegue. Eppure ti fa, è nelle tue mani, nel piede, nell'improvviso che in te ride, nel morso al paperino. Ed è nel sonno che ci parifica al cielo profondo e porta vicino al silenzio delle cose.
8 Figura del centurione O Signore non son degno - degno noanzi quasi tutto bagnatoo interamente svergognatodi star qui come un sasso, una pietra,un ferro, figurati anchese invitarti a cena, di partecipare alla tua mensa per dividere i miei avanzi, il freddo dei miei pasti, la tovaglia stupida quadrettata, la sedia sghemba, la bottiglia già iniziata, e l'ombra della fronte sconcia o portarti per un bicchiere al primo bar. Ma di' ma di' solo e soltanto una parola, una cosa, un uccelletto di voce, di' solo e soltanto un niente -quel che ti passa per la mente o per la testa così incoronata di cielo e di tempesta di' solo e soltanto lascia magari cadere un grano delle tue preghiere o anche non dir niente leggerò sulle labbra appena o sentirò con gli occhi bassi che un bacio d'aria viene e io sarò salvato dalle jene dei miei errori e l'anima devastata avrà la vita piena - -
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Inviato da: chiaracarboni90
il 31/05/2011 alle 11:36