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Storia e cultura a cura di Antonio Montanari Nozzoli

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« Riministoria segnalata o...Ricordo di Giuseppe Babbi »

BIBLIOTECA MALATESTIANA DI RIMINI

Post n°48 pubblicato il 21 Aprile 2007 da riministoria

BIBLIOTECA MALATESTIANA DI SAN FRANCESCO A RIMINI
Notizie e documenti

1430.
Il
progetto di costituire una biblioteca aperta al pubblico e utile
soprattutto agli studenti poveri, è testimoniato nel 1430 per
iniziativa di Galeotto Roberto Malatesti, che segue una intenzione
dello zio Carlo (morto l'anno prima).

1475.
Testamento
di Roberto Valturio che lascia la propria biblioteca alla «liberaria»
(libreria) del convento dei frati di San Francesco di Rimini «ad usum
studentium et aliorum fratrum et hominum civitatis Arimini», con la
clausola che i frati facciano edificare «unan aliam liberariam in
solario desuper actam ad dictum usum liberarie».

Dal documento (pubblicato per la prima volta da ANGELO BATTAGLINI nel 1794 in Della corte letteraria di Sigismondo Pandolfo Malatesta), ricaviamo:
1. Nel 1475 esiste già una «liberaria» del convento di San Francesco.
2. Questa «liberaria» è posta al piano terreno.

3. Essa «liberaria» (scrive A. Battaglini) era già diventata copiosa a
spese di Sigismondo, ma giaceva «in piano a terra pregiudicevole a
materiali sì fatti» (Battaglini, op. cit., p. 168).
Il trasporto al piano superiore avviene nel 1490 (v. sotto ad annum).

Conclude Battaglini che Rimini «dovette dunque non meno a Sigismondo
suo Principe, che al suo cittadino Roberto Valtùri [Valturio]
l'acquisto fatto d'una pubblica Biblioteca» (Battaglini, op. cit., p.
170).
Sigismondo, come ricorda per primo Valturio, dona alla
biblioteca monastica francescana, progettata dallo zio Carlo Malatesti,
«moltissimi volumi di libri sacri e profani, e di tutte le migliori
discipline» [cfr. R. VALTURIO, De re militari, XII, 13].

1490.
L'iscrizione del 1490 (e non 1420 come in un primo tempo era stata letta), ricorda il trasferimento
della biblioteca francescana al piano superiore del convento da quello
a terra, «pregiudicievole a materiali sì fatti» (Battaglini, op. cit.,
p. 169). Questa iscrizione è tuttora conservata nel Museo della Città
di Rimini.
Di questa iscrizione non è stata mai fornita sinora la corretta trascrizione. Infatti si è letto come «sum» quanto va trascritto come «summa».

Il testo latino è questo: «Principe Pandulpho. Malatestae sanguine
cretus, dum Galaotus erat spes patriaeque pater. Divi eloqui interpres,
Baiote Ioannes, summa tua cura sita hoc biblioteca loco. 1490».

Ecco la traduzione: «Sotto il principato di Pandolfo. Mentre Galeotto,
nato dal sangue di Malatesta, era speranza e padre della Patria. Per
tua somma cura, Giovanni Baioti teologo, la biblioteca è stata posta in
questo luogo. 1490».

Pandolfo IV, 1475-1534, è figlio di Roberto Novello (1442-1482), a sua volta figlio di Sigismondo (1417-68).
Roberto è morto combattendo al servizio della Chiesa. Con lui era Raimondo Malatesti (figlio di Almerico Malatesta e di Amabilia Castracani) che reca a Rimini la notizia della morte del signore della città.
Galeotto
[Galeotto II Lodovico], figlio di Almerico Malatesta (e quindi fratello
di Raimondo), è tutore di Pandolfo e governatore di Rimini.
Giovanni Baiotti da Lugo, frate francescano, è teologo e guardiano del convento di San Francesco.
Raimondo Malatesti il 6 marzo 1492 è ucciso dai nipoti Pandolfo e Gaspare, figli del fratello Galeotto II Lodovico ricordato nella lapide.

Il delitto è considerato da Clementini all'origine di tutti i mali che
affliggono successivamente Rimini, ovvero «il precipizio de' cittadini
e l'esterminio de signori» Malatesti e della loro casa.
Il 31
luglio 1492 Pandolfo e Gaspare, gli uccisori dello zio Raimondo, sono
utilizzati dal padre Galeotto II Lodovico per una congiura contro lo
stesso Pandolfo IV e la sua famiglia.
A mandarla all'aria evitando
una strage, ci pensa Violante Aldobrandini, seconda moglie dello stesso
Galeotto Lodovico e sorella di Elisabetta, madre di Pandolfo IV.
In casa di Elisabetta era stato ucciso Raimondo Malatesti quasi cinque mesi prima (il 6 marzo 1492).

Nella stessa abitazione di Elisabetta è ammazzato Galeotto Lodovico,
mentre suo figlio Pandolfo è tolto di mezzo in casa del signore di
Rimini Pandolfo IV. Gaspare invece è arrestato, processato
sommariamente e decapitato.
Due mesi e mezzo dopo la congiura
fallita e la morte dei suoi ideatori, Violante convola a nuove nozze.
Violante era la matrigna di Gaspare e Pandolfo, figli della prima
moglie di Galeotto Lodovico, Raffaella da Barbiano.
Pandolfo di
Galeotto Lodovico a sua volta ebbe quattro figli (Carlo, Malatesta,
Raffaella, Laura) perdonati da Pandolfo IV a testimonianza della sua
volontà di pacificazione all'interno della famiglia e della città.

Dal 1492 per circa un secolo, gli omicidi politici che abbiamo
registrato, continueranno «a far calare sangue», come acutamente
osserva Rosita Copioli.

1560.
La biblioteca era
costituita da due file di plutei di venti elementi ciascuna. “Circa”
centocinquanta opere sono nella prima fila, “circa” centoventitre nella
seconda. Ovvero “circa” 273 opere in tutto.

Questi dati
risultano da un inventario del 1560 (p. 346) conservato a Perugia e
pubblicato nel 1901 da Giuseppe Mazzatinti in un saggio intitolato La
biblioteca di San Francesco (Tempio malatestiano) di Rimini, contenuto
nel volume «Scritti vari di Filologia» apparso a Roma presso Forzani,
Tipografi del Senato, pp. 345-352.
Il saggio di Mazzatinti è datato «Forlì, agosto 1901».

1511.
Ricordandoci attentamente di questo inventario del 1560, prendiamo in considerazione una notizia relativa al 1511, e contenuta in un testo ms. di padre Francesco Antonio Righini (SC-MS 372, "Miscellanea Scriptorum...", c. 284r, Biblioteca Gambalunga di Rimini).
Righini scrive: dai libri conventuali di San Francesco risulta che la biblioteca era stata trasferita a Roma «sic jubente Pontefice».
Righini precisa l'anno (appunto il 1511), citando un testo di Paride Grassi relativo al soggiorno riminese presso i francescani del papa stesso, Giulio II.
(Il testo di Grassi, cerimoniere pontificio, è stato pubblicato nel 1886, Le due spedizioni militari di Giulio II, in «Documenti e Studi» della Deputazione di Storia Patria per le province di Romagna, I).
Il passo di Righini forse allude ad un trasferimento parziale
della biblioteca francescana, dato appunto che nel 1560 la essa era
costituita da due file di plutei di venti elementi ciascuna per un
totale di “circa” 273 opere.

XVII secolo.
Nel Sito riminese di Raffaele Adimari,
che esce a Brescia nel 1616, si legge (I, p. 72) che presso il convento
francescano dei Conventuali esisteva una «sontuosa, et buona libreria».
All'inizio del secolo XVII, precisa Antonio Bianchi (Storia di Rimino dalle origini al 1832,
Rimini 1997, a cura di Antonio Montanari, p. 146), «della preziosa
libreria, che i Malatesti, per conservarla ad utile pubblico, avevano
dato in custodia ai frati di San Francesco», restano soltanto quattrocento volumi per la maggior parte manoscritti.

Questo «rimasuglio» di quattrocento volumi (in realtà molto meno, “circa” 273, visto l'inventario del 1560), va perduto secondo monsignor Giacomo Villani (1605-1690), perché quelle carte preziose finiscono in mano ai salumai («deinde in manus salsamentariorum mea aetate pervenisse satis constat»).

Federico Sartoni (1730-1786), come riferisce Luigi Tonini (Rimini dopo il Mille, p. 94), sostiene invece che i frati vendettero la libreria alla famiglia romana dei Cesi,
alla quale appartengono i fratelli Angelo (vescovo di Rimini dal 1627
al 1646) e Federico, fondatore dell'Accademia dei Lincei nel 1603.
Il manoscritto di Sartoni è in BGR, Sc-Ms.1136: SARTONI, FEDERICO COSIMO, Copia
di uno zibaldone mss. che era in Casa Sartoni ed ora posseduto dal N.
U. Signor Domenico Mattioli, contenente memorie ed avvertimenti per la
storia di Rimini
... Sta in: TONINI, LUIGI: [Cronache riminesi...] (cc. 222-97). La parte che qui interessa è alle cc. 49-50.

XVIII secolo.
Il
convento di San Francesco è ristrutturato ampiamente, come documenta il
ms. AB 51, relativo alle spese fatte «per la Fabrica del Convento (1762-1764)», conservato in Archivio di Stato di Rimini, Fondo Congregazioni soppresse.


CONCLUSIONI.

1. Francesco Gaetano Battaglini nelle sue Memorie
sulla storia riminese (1789, p. 281) scrive che nel 1490 avvenne il
trasporto della «celebre» biblioteca francescana «a più conveniente
luogo», secondo le disposizioni di Valturio.
In precedenza,
aggiungeva Battaglini, la biblioteca francescana era stata «arricchita
di codici da Sigismondo, ed accresciuta dalla suppellettile libraria»
dello stesso Valturio. (Questo passo è riprodotto da Luigi Tonini nella
Storia di Rimini, III, p. 321.)

2. L'archivio comunale e la biblioteca. Già da epoca anteriore, «apud locum fratrum minorum» (cioè nello stesso convento francescano) si trovava l'archivio comunale
(F. G. Battaglini, p. 44). Questo luogo dell'archivio è definito a metà
del XV sec. come «sacristia Communis Arimini in Conventu Sancti
Francisci» (F. G. Battaglini, ibid.)
La presenza del pubblico archivio
nella sede conventuale, documenta un particolare ed antico rapporto fra
l'amministrazione cittadina ed i padri della chiesa di San Francesco,
ben anteriore alla nascita di quella «celebre» biblioteca che, anche secondo Battaglini, essendo stata arricchita da Sigismondo, esiste quindi quando questi governa Rimini: dal 1430 assieme ai fratelli Galeotto Roberto (che scompare il 10 ottobre 1432) e Domenico Malatesta Novello; e dal 1433 da solo (mentre Novello diviene signore di Cesena).
Circa l'archivio, da altra fonte (una cronaca firmata da padre Alessandro da Rimini e pubblicata nel secolo scorso da padre Gregorio Giovanardi), ricaviamo:


a) al tempo di papa Paolo II (1464-71) va a fuoco la sagrestia della
chiesa di san Francesco con perdita di mss. «antichissimi ed
importantissimi» (si ricordi quanto riportato in F. G. Battaglini circa
«sacristia Communis Arimini in Conventu Sancti Francisci»;

b) il resto dell'archivio, verso il 1528, è dichiarato a Roma da papa Clemente VII (1523-34).

3. Augusto Campana
[1932] nel celebre studio sulle biblioteche italiane, scrive al
proposito della presenza dei padri francescani nella biblioteca
malatestiana: «È possibile, ma è prudente darlo solo come possibile,
“che questa libreria - per servirmi delle parole del Massèra - fosse
affidata ai frati di San Francesco”». Prosegue Campana: «Ad ogni modo
presso di quelli, verso la metà del quattrocento, dovette stabilirsi una notevole raccolta di libri», poi arricchita da Sigismondo (v. sopra).
Quindi Campana non mette
in dubbio l'esistenza di una pubblica biblioteca malatestiana «ad
communem usum pauperum et aliorum studentium», ma segnala che è
prudente (seguendo Massèra) considerare possibile una sua gestione da
parte dei frati.
Il che però contrasta fortemente con il
testamento di Valturio del 1475 che si rivolge direttamente a quei
frati. Se non l'avessero gestita loro, Valturio non avrebbe scritto
quanto leggiamo nelle sue volontà (in ben tre stesure), dove sempre si
parla della «libreria del convento dei frati di San Francesco».
Le carte d'archivio parlano chiaramente, e fanno decadere l'osservazione di Massèra e la conseguente cautela di Campana.

4. Massèra. Riporto il testo integrale di Massèra
dal saggio sulla Gambalunga contenuto in «Accademie e Biblioteche
d'Italia», 1928, VI, p. 27: «È probabile che questa libreria fosse
affidata ai frati di San Francesco, il cui convento era attiguo alla
chiesa» poi divenuta il Tempio malatestiano. «Appunto fu Sigismondo ad
arricchire la biblioteca dei Conventuali di moltissimi volumi», come
attesta Valturio etc.
Poi Massèra scrive che la lapide «tuttora
esistente» attesta «che la sistemazione desiderata ebbe luogo o
termine», essendo guardiano Giovanni Baiotti da Lugo.
A p. 29 Massèra incolpa i Conventuali riminesi d'aver lasciato «disperdere le ricchezze raccolte».
I frati vendettero liberamente la libreria alla famiglia romana dei Cesi, come pare sostenere Sartoni?

Forse essi furono costretti non dico dal vescovo romano, ma dalle loro
misere condizioni (che risultano da molti documenti conservati in
Archivio di Stato di Rimini).
Certo è che Massèra non conosceva la notizia di Righini del 1511 (la biblioteca era stata trasferita a Roma «sic jubente Pontefice»).

5. Prima di Cesena.
Se la biblioteca Gambalunga (1619) è la terza in Italia ad essere
pubblica dopo l'Ambrosiana di Milano (1609) e l'Angelica di Roma
(1614), a quella riminese di Francescani e Malatesti del XV secolo spetterebbe il merito di essere stata la prima in assoluto ad essere pubblica,
partendo dal documento del 1430. E di essere sorta anteriormente a
quella di Cesena che infatti, si apre soltanto nel 1452 (v. sotto, la
scheda «TRA RIMINI E CESENA»).
La Gambalunga, va aggiunto, è la prima in Italia ad essere «civica» (cioè del Comune).



TRA RIMINI E CESENA

I rapporti intercorsi tra Rimini e Cesena a metà Quattrocento, sono documentabili attraverso due edizioni della Naturalis Historia di Plinio.

1. Il Plinio di Jacopo della Pergola (1446)
La prima, completata da Jacopo della Pergola a Rimini l'11 ottobre 1446, è stata voluta (secondo Raimondo Zazzeri, 1887) da SigismondoPandolfo Malatesti. Il quale poi la donò al fratello Malatesta Novello che la fece inserire nella biblioteca cesenate (S. XI. I).
Questa notizia di Zazzeri è stata smentita da Enza Savino (I due Plinii Naturalis historia della Malatestiana, in Libraria Domini. I manoscritti della Biblioteca Malatestiana: testi e decorazioni,
a cura di a cura di Fabrizio Lollini e Piero Lucchi, Bologna, Grafis,
1995, pp. 103-114), soltanto in base al «fatto che Sigismondo Pandolfo,
secondo l'immagine consegnata dalla storiografia locale, non coltivò
interessi da bibliofilo né tanto meno da bibliografo con la stessa
costanza e passione del fratello».
L'immagine che Enza Savino
riprende di Sigismondo «dalla storiografia locale», è tutto all'opposto
della realtà. Abbiamo già visto che Sigismondo, come scrisse Valturio,
dona alla biblioteca francescana «moltissimi volumi di libri sacri e
profani, e di tutte le migliori discipline». (Testi latini, greci,
ebraici, caldei ed arabi «che restano quali tracce del progetto di
Sigismondo per diffondere una conoscenza aperta all'ascolto di tutte le
voci, da Aristotele a Cicerone, da Aulo Gellio al Lucrezio del De rerum natura, da Seneca a sant'Agostino, sino a Diogene Laerzio ed alle sue Vitae degli antichi filosofi»: cfr. il mio Sigismondo filosofo umanista).

Non interessa stabilire, cosa del resto difficile se non impossibile,
se veramente il ms. S. XI. I sia stato ordinato ad Jacopo della Pergola
da Sigismondo. Il dato certo è che esso è stato lavorato a Rimini e che esso poi è finito a Cesena.

Augusto Campana [1932] ricorda che Jacopo lavorò sia a Rimini sia a
Fano. Il che gli suggerisce questa importante conclusione: è possibile
supporre che i copisti «fossero scambiati, al bisogno, tra il Signore
di Cesena e quello di Rimini».
2. Il Plinio di Francesco da Figline (1451)
L'altra Naturalis Historia cesenate(S.
XXIV. 5), è opera di Francesco da Figline commissionatagli dal medico
riminese Giovanni di Marco («Scriptus et completus per me fratrem
Franciscum de Fighino ordinis minorum pro egregio ac prestantissimo
artium et medicine doctore Iohanne Marci de Arimino 1451 die 10 maii»).

Fu lasciata in testamento alla biblioteca cesenate nel 1474 dallo
stesso Giovanni di Marco, in precedenza medico personale di Malatesta
Novello.
Nel 1451 la Malatestiana cesenate non era ancora
completata. Lo sarà l'anno successivo («la biblioteca fu compiuta nel
1452: M CCCCLII / Matheus Nutius fanensi ex urbe creatus, / Dedalus alter, opus tantum deduxit ad unguem», cfr. Campana).

Quindi Francesco da Figline non era ancora nella città di Novello che
poi lo nomina primo bibliotecario della Malatestiana. Ma era ancora a
Rimini. Dove lavora (anche) per Giovanni di Marco il quale come medico
era attivo sia a Rimini sia a Cesena.

I due manoscritti di Plinio documentano dunque un'intesa attività 'libraria' riminese dopo il 1430 e prima del 1452 (apertura della biblioteca di Cesena).
Questa attività è facilmente collegabile alla esistenza della biblioteca dei Malatesti presso il convento di San Francesco di Rimini.

Per quel lasso di tempo i documenti si trovano, se non ci si dimentica
di interpretare correttamente quelli che esistono già, come appunto i
lavori 'riminesi' di Jacopo della Pergola (1446) e di Francesco da
Figline (1451).

21-04-2007 9:37

Antonio Montanari



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Commenti al Post:
Lolann
Lolann il 09/05/07 alle 18:04 via WEB
Vivo a Rimini da tutta la vita e ignoravo moltissime cose. Grazie per il tuo blog!
(Rispondi)
 
riministoria
riministoria il 28/05/07 alle 17:47 via WEB
Ringrazio i visitatori per i loro commenti. Gli aggiornamenti sul portale Libero si leggono di qui: il Rimino.
(Rispondi)
 
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