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Storia e cultura a cura di Antonio Montanari Nozzoli

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Post N° 103

Post n°103 pubblicato il 25 Agosto 2022 da riministoria
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Post N° 102

Post n°102 pubblicato il 16 Maggio 2022 da riministoria
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RIMINI MODERNA. Le fiere riminesi tra '500 e '600

Post n°101 pubblicato il 16 Maggio 2022 da riministoria

Una "fiera delle pelli" si tiene fin dal 1500 a Rimini tra Borgo San Giuliano e le Celle, per la ricorrenza di sant'Antonio dal 12 al 20 giugno, dal ponte di Tiberio o della Marecchia (con le botteghe di legno) sino al torrione del monastero del Monte della Croce alle Celle, posto lungo la strada per Cesena (lato a monte) poco dopo il bivio con la via per Ravenna.


La "fiera delle pelli" è seguìta da quella di san Giuliano nata nel 1351 nell'omonimo Borgo (dal 21 giugno, vigilia della festa del santo, sino al 22 luglio). Il calendario resta stabile fino all'inizio del 1600, quando soprattutto a causa delle carestie, le due fiere sono spostate fra settembre ed ottobre, inglobando pure quella di san Gaudenzio nata in ottobre nel 1509.

Sino al 1538 la fiera di san Gaudenzio si svolge fuori dalla porta di San Bartolo, verso la attuale Flaminia uscendo dall'arco d'Augusto, che apparteneva al quartiere di Sant'Andrea ed anticamente aveva fatto "l'ufficio di porta, e perciò fu detto porta di San Genesio, e di San Bartolo" (L. Tonini). Dopo il 1538 la fiera è spostata alla piazza maggiore, nell'antico foro romano, "propter ruinam" dello stesso Borgo di San Gaudenzio, provocata "dalle ultime guerre con i Malatesti" (C. Tonini).

All'inizio del secolo la crisi economica ha unificato ad ottobre (poi tra 8 settembre ed 11 novembre), in una "fiera generale" i tre appuntamenti tradizionali: delle pelli, di san Giuliano e di san Gaudenzio.

Nel 1627 esse, sempre come "fiera generale", sono anticipate dal 15 agosto al 15 ottobre, e nel 1628 ritornano dall'8 settembre all'11 novembre. Nel 1630 è sospesa la "fiera delle pelli" per la pestilenza, preceduta da due anni di carestia. Nel 1656 nasce la fiera di sant'Antonio sul porto, dal 6 all'11 luglio, riscoperta di recente (M. Moroni, 2001).

Già nel 1613, narra Adimari, cinquanta mercanti tra forestieri e cittadini, hanno chiesto una nuova fiera in primavera, "mossi dalla bona commodità del vivere et negotiare, et conversare et fare esito delle loro mercantie in questa città". Nel 1656 c'è questa iniziativa che si ripete nel 1659, ma è sospesa nel 1665 per volere del governatore di Rimini. Riprende il 22 maggio 1671 per undici giorni (cioè sino al primo giugno), con l'autorizzazione di papa Clemente X del 13 agosto 1670.

Nel 1678 l'apertura è posticipata al 3 agosto, per sperimentare, come si legge in un atto comunale, "se in questo tempo potesse prendere quell'augmento che hoggi giorno fa' conoscere l'esperienza non ritrovarsi, a causa forse di venire in tempo scarso di monete per non essere seguiti li raccolti".

Non sono d'accordo i doganieri: in agosto con la franchigia per la fiera riminese, non pagherebbero dazio le barche che ritornano dalla fiera di Senigallia. Il 10 maggio 1681 la fiera sul porto è sospesa. Ogni anno era andato "diminuendo il concorso" di mercanti e compratori per cui non portava "se non incomodo" ai commercianti di Rimini.

Nel 1691 la fiera riprende. L'anno precedente il prefetto delle "Entrate" ha scritto al Consiglio: sono andate in disuso e sono state tralasciate le due fiere tradizionali, quella d'ottobre dalla porta del Borgo di san Giuliano alla Madonna del Giglio, e l'altra di maggio sul porto. Nel giro di un secolo l'appuntamento autunnale di san Gaudenzio era passato dal Borgo di porta romana a quello di san Giuliano. Il prefetto proponeva di "rimettere ò l'una ò l'altra", con un calendario adatto sia alla città sia ai mercanti forestieri.

Il 17 giugno 1690 il Consiglio civico ha approvato (25 contro 12) di ripristinare alla fine del maggio 1691 "la fiera che si faceva nel Porto", seguendo concessioni e privilegi papali del 1670. Il segretario comunale Felice Carpentari il 18 ottobre 1690 ha suggerito un posticipo al 6 luglio, in deroga agli ordini di papa Clemente X del 1670, "parendo che in detto tempo si rendesse più facile l'introduzione, e più numeroso il concorso" dei mercanti. Ed il Consiglio ha approvato (34 contro 6).

Il 14 febbraio 1693 non è però giunta ancora l'autorizzazione allo spostamento della data quando in Consiglio si approva (32 contro 11) un nuovo memoriale del prefetto delle "Entrate" che invita ad osservare il vecchio calendario di fine maggio. Lentamente le fiere riminesi vanno di nuovo "in disuso". Soltanto nel 1726 si riapre quella sul Porto in onore di sant'Antonio.

Antonio Montanari
"il Ponte", 15.05.2022
 
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Rimini 1621, poco pane e tante arm

Post n°100 pubblicato il 20 Giugno 2021 da riministoria


"il Ponte", 20.06.2021, n. 24, ANNIVERSARI



A Roma il 13 dicembre 1600 arriva con magnifica pompa una confraternita riminese di 180 uomini vestiti con un lungo sacco nero e preceduti da uno stendardo costato duemila scudi d'oro. Tra loro c'è lo storico Cesare Clementini (1561-1624) che ne parla nel suo "Raccolto istorico", apparso a Brescia in due tomi nel 1617 e 1627. L'eleganza di quel corteo contrasta con le condizioni in cui viveva Rimini. Carestie, pestilenze e guerre (lontane, ma segnalate in loco dai continui, costosi passaggi di truppe), sono i mali che affliggono pure la nostra città.
Scarso raccolto è segnalato nel 1606. Epidemie in bovini, pecore e porci, nel 1611. In tutta la regione è avvertibile un processo d'involuzione a partire dal 1618-19. Nel 1615, come scriveva monsignor Giacomo Villani (1605-1690), un'altra insurrezione popolare aveva distrutto il ghetto ebraico. Per carestie ed epidemie del 1618 egli ha dato la colpa all'apparizione di una cometa. Per il 1649 Villani ricorda una rivolta della "plebs ariminea" contro i consiglieri municipali ed i cattivi amministratori dell'Annona per l'eccessivo costo del grano di cui "tota Italia fuit in penuria". Nel 1650 attribuisce ad un'eclissi di luna la rovina d'Italia prodotta dalle guerre. Secondo lui la crisi di Rimini nasceva dalla scomparsa dei cittadini migliori. Erano rimasti gli incapaci ed i meno ricchi.
Di soldi in giro ce ne sono pochi. Il Cardinal Legato riduce le cariche (a pagamento) in Consiglio civico, i cui componenti passano da 130 a 80. Diminuisce la popolazione urbana. Dalle circa diecimila anime tra fine 1500 e 1608, si passa nel 1656 a 7.717 con più di tre anni. Sui dati precedenti manca ogni altra precisazione circa l'età. Nel 1524 le anime registrate sono 5.500, ma dai cinque anni in avanti. L'alta mortalità infantile faceva prendere queste precauzioni statistiche.
All'inizio del secolo la crisi economica ha unificato ad ottobre in una "fiera generale" i tre appuntamenti tradizionali: la fiera delle pelli per sant'Antonio (12-20 giugno), la fiera di san Giuliano (presente dal 1351) tra 21 giugno e 22 luglio e la fiera di san Gaudenzio (nata nel 1509) ad ottobre. Era l'effetto di un declino commerciale ed economico a cui non si sapeva reagire. Già nel 1613, narra Adimari, cinquanta mercanti tra forestieri e cittadini, avevano chiesto una nuova fiera in primavera, "mossi dalla bona commodità del vivere et negotiare, et conversare et fare esito delle loro mercantie in questa città". Essa arriva nel 1656.
Nel 1614, come leggiamo in una cronaca di Anonimo datata 1728, "fu una inondazione così grande, che unitasi la Marecchia con altri fiumi, e massime in lontano col Rubicone che apportò danno molto notabile restando le barche, cessata quella disperse per gli orti di Marina, e molte fracassate, e moltissimi marinari anegati, e molte merci perite, e la terra per tutta la campagna ove era stata l'inondazione restò per molto tempo infeconda".
Due anni dopo per un fortunale (citato dal canonico Giacomo Antonio Pedroni nei suoi "Diari"), affondano molte barche, "s'affogarono assai persone" e si registrano molti danni nel borgo di san Giuliano.
In tutta l'Emilia-Romagna "attorno al 1620 si ha il punto di svolta della congiuntura economica italiana e l'inizio della depressione seicentesca", ha scritto F. Cazzola (1977). A Rimini nel 1621 a causa della penuria dei raccolti si deve pensare al sostentamento dei poveri "trovando a censo ingenti somme" (C. Tonini, 1896). È l'esplosione di una carestia che avviene tra 1618 e 1621, e che coincide con un periodo di guerre nella nostra regione che ne compromettono l'economia per molyi decenni. Gravi carestie si ritrovano alla fine degli anni 40 del secolo.
Un dato che riguarda Bologna illustra la drammatica situazione degli anni Venti: scompaiono quasi 15 mila abitanti. In quel periodo diminuisce anche l'importazione del grano: e ciò, leggiamo in un pregevole studio del 1891 ("La popolazione di Bologna nel secolo XVII") apparso nella rivista della bolognese Deputazione di Storia patria (vol. IX, III serie), "può essere tanto la causa come l'effetto" della diminuzione degli abitanti. Il 1621 è definito proprio come anno di carestia. L'autore della ricerca è Giovan Battista Salvioni (1849-1925), docente di Statistica nell'Ateneo di Bologna.
In quel saggio s'intravede la commossa partecipazione ai fatti narrati con il richiamo alle celebri pagine manzoniane sulla peste desolatrice de "I promessi sposi". Narrare quella di Bologna "senza avere il pensiero rivolto al grande Maestro sarebbe impossibile e basterebbe questo a farci deporre la penna, se, per fortuna, chi scrive non dovesse abbandonare ogni velleità in olocausto all'austera disciplina delle cifre". Le quali arrivano a 23.691 decessi con "33 curati, 27 medici, 17 astati, 87 barbieri, 48 porta cocchietti, 23 beccamorti, 244 meretrici, 361 facchini, 11.561 donne, 11.128 diversi, 162 cittadini.
Per il 1622 riminese ritorniamo al cronista Giacomo Antonio Pedroni: dopo alcune considerazioni sulla carestia che imperversava e sul micidiale rincaro dei prezzi dei generi alimentari, annota che "più persone facevano delle piadine di sarmenti e fave macinati insieme, per mangiarle in così gran bisogno". Queste miserabili piadine fabbricate con ingredienti vili e vilissimi avranno avuto la forma, se non la composizione, delle attuali, leggiamo in una pagina storica del sito web del Comune di Rimini, che possiamo ipotizzare composta dal saggista Piero Meldini, prima insegnante di Lettere e poi direttore della Biblioteca Gambalunga.
Circa le cause della crisi italiana del Seicento, apriamo un testo di Enrico Stumpo (2012), dove si richiamano le tesi di Carlo M. Cipolla (1959) e Ruggiero Romano (1971). La risposta del primo rimanda al crollo ed al declino dell'economia più sviluppata. Quella del secondo al ritorno di certe forme di feudalesimo. Stumpo ricorda che l'Italia di allora era l'insieme di piccoli Stati, divisi e separati tra loro non solo politicamente ma anche economicamente. Per tutti esiste poi la terribile concorrenza straniera.
Come sempre anche per Rimini c'è dietro nel bene e nel male uno scenario europeo da cui non si può prescindere considerando le nostre vicende cittadine soltanto come espressione dei respiri delle nostre contrade.prima edizione a Modena nel 1710, e poi ristampato nel 1714 (sempre a Modena), nel 1720 e 1743 a Napoli ed infine ad Arezzo nel 1767. Il suo titolo è "Del governo della peste e delle maniere di guardarsene". Muratori presenta notizie che testimoniano lo sguardo attento di uno scrittore che vuole documentare quel tragico fenomeno che coinvolge tutta l'Europa, come evidenziano le cronache del 1713 da Praga ed Amburgo, per illustrare un problema che nello stesso 1713 ha coinvolto la specie bovina dei ducati di Modena e Reggio.
L'intenzione di comporre "un trattato popolare" è spiegata così: egli non vuole usare i "termini astrusi, con cui alcuni Professori della Medicina cercano di farsi credito con poca spesa presso i meno intendenti". Per Muratori, nei sospetti di contagio bisognava "alleggerire di gente le Città". Fondamentale allo scopo, precisa, è l'organizzazione dello Stato. Come ha scritto Ezio Raimondi (1967), Muratori è l'erudito razionalista di gusto moderno che crede in una scienza che si applica sempre al reale. Lo vediamo quando lo stesso Muratori osserva: nel 1576 a Venezia c'è stata una orribilissima strage perché i medici disputavano se fosse peste vera o no. I ricchi, aggiunge, hanno l'obbligo di soccorrere i poveri.
Sono "tempi calamitosi": così li definisce il cardinal Galeazzo Ruspoli Marescotti (1627-1726) al Consiglio Municipale di Rimini in una lettera del 27 gennaio 1703, spiegando che bisognava non fare spese superflue, si dovevano evitare abiti sfarzosi e gioielli, anche se falsi. La città s'adegua con una serie di norme che mirano ad imporre un'attenta cura per evitare sprechi nelle vesti, nei servitori e nel modo di gestire la propria famiglia, come scrive Luigi Tonini.
Ruspoli Marescotti era a capo della Congregazione del Sollievo, sorta per decisione di Clemente XI nel marzo 1701 ed attiva praticamente fino al 1715 (anno delle sue dimissioni), per favorire la modernizzazione agraria, il controllo dei prezzi ed il miglioramento della viabilità (G. Motta, 2008). Essa era composta da altri quattro cardinali oltre che da prelati e laici che facevano parte dell'organizzazione amministrativa dello Stato. La chiusura della sua attività è ufficialmente datata 1725. Marescotti (come apprendiamo in un testo di G. De Novaes, 1802) aveva riedificato la città di Rimini "quasi distrutta dal terremoto del 1672". Luigi Tonini da scritti di Monsignor Giacomo Villani (1605-1690) riprende la notizia che scosse e crolli durarono a sentirsi per lo spazio di cinque mesi. Un'accurata biografia di Villani è presentata da Carlo Tonini nella sua storia della cultura riminese (1884).
Nel 1703, racconta Luigi Tonini, un grande terremoto scuote nuovamente la città, ma per fortuna non provoca danni. I quali sono temuti l'anno dopo per il corso del fiume Marecchia rivolto verso la città. Nel 1705 si pensa di chiamare un perito forestiero che il Pontefice aveva mandato a Ferrara per i ripari da farsi al Po. Tra 1709 e 1710 le casse comunali riminesi debbono provvedere con grandi spese a mantenere i ventimila militari tedeschi che transitano diretti a Napoli "ove quel popolo si era levato a tumulto contro il governo de' Francesi". I tedeschi inondano tutta la Romagna. Nemmeno le case dei poveri sono risparmiate dall'obbligo degli alloggi, per cui (scrive Tonini) quegli infelici dovettero più e più volte levarsi il pane di bocca. Poi passano le truppe pontificie di pari consistenza numerica per combattere atti di prepotenza imperiale, come l'occupazione di Comacchio e le minacce al duca di Parma perché cedesse il proprio potere allo Stato di Milano.
L'esausto erario comunale necessita di entrate: si rincarono i dazi e si inventano nuove imposte che colpiscono soprattutto il mondo agricolo che protesta duramente con il potere politico locale. Tra 1712 e 1713 una peste bovina si era diffusa nel territorio lombardo, in quello veneto, nello Stato ecclesiatico e nel regno di Napoli: ma le "patrie memorie" sono mute, osserva Luigi Tonini. Per la guerra col Turco ci sono passaggi di truppe sino al 1720, come si ricava da mons. Antonio Sartoni che fa "un quadro assai doloroso della nostra Città in quelle congiunture", leggiamo ancora in Luigi Tonini. Sartoni era un suo zio paterno. Carlo Tonini ricorda nella citata storia della cultura riminese uno "Zibaldone di memorie inedite" composto da Sartoni.
Muratori in uno scritto del 1715 osserva che "l'istoria principalmente dipende da documenti sicuri e copiosi". Luigi Tonini intitola il capitolo sugli anni 1720-1738 con una confessione dolorosa: "Scarsezza di notizie". Poi annota sul 1721: "Continuavano i sospetti del contagio" per cui i Consigli comunali decidevano cure e spese per la vigilanza con cui tenergli chiuso l'accesso alle nostre contrade.
Antonio Montanari



 
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Il bibliotecario Massèra

Post n°99 pubblicato il 05 Luglio 2020 da riministoria

Il bibliotecario Massèra, cultura in Gambalunga
Un prezioso saggio di Maria Cecilia Antoni svela una figura storica

"il Ponte", Rimini, n. 26, 5.7.2020

Aldo Francesco Massèra (1883-1928) nel 1905 vince il concorso come docente al Ginnasio superiore di Rimini che si trova nel palazzo Gambalunga. Dove c'è anche l'Istituto Tecnico Roberto Valturio, nel quale Massèra si trasferisce nel 1906. Due anni dopo è nominato reggente temporaneo della Civica Biblioteca Gambalunga, succedendo agli illustri Luigi (1807-1874) e Carlo Tonini (1835-1907), padre e figlio. Massèra scompare a 45 anni. Gli subentra Carlo Lucchesi (1881-1959), dal 1929 al 1952. Dall'andito del Palazzo Gambalunga si accedeva ai locali della Biblioteca. Nel 1928 Massèra pubblica un articolo intitolato "Il risorgimento della Gambalunga": "Essa attende nella sua sede il pubblico che sa e vuole studiare".
Leggiamo queste notizie nel prezioso saggio "Carte e libri di Massèra, studioso e bibliotecario, nella Biblioteca Gambalunga di Rimini" che la studiosa riminese e bibliotecaria gambalunghiana Maria Cecilia Antoni ha composto per un volume apparso nel 2018, in cui sono ospitati complessivamente diciannove testi. Alla Antoni, nello stesso volume, si deve pure il prezioso inventario delle "Carte Massèra", preziosa fonte per studi e ricerche sulla cultura riminese.
Il saggio della Antoni illumina sulla formazione di uno studioso e la sua conseguente applicazione alla cultura nella vita cosiddetta pratica, mostrando grande cura per lo studio della Storia e della vita intellettuale cittadina.
Massèra nel 1909, sul foglio riminese "il Momento", attacca duramente il "buon Carlo Tonini" per non aver fatto nulla per esplorare certi argomenti malatestiani studiati dai fratelli settecenteschi Francesco Gaetano (1753-1810) ed Angelo Battaglini (1759-1842, canonico e primo conservatore della Biblioteca Vaticana).
Quel "buon Carlo Tonini", leggiamo in Antoni, alludeva allo scarso valore di studioso del figlio di Luigi Tonini, peraltro autore di un ampio volume in due tomi, "La Coltura letteraria e scientifica in Rimini" (1884). Da antico frequentatore di questo famoso testo, mi permetto sostenere che avesse ragione Massèra nell'esprimere quel giudizio.
Un ricordo personale legato alla Biblioteca Gambalunga: il 13 maggio 1938, mio padre Valfredo Montanari fu nominato Vice Bibliotecario Capo Sezione. Più indietro negli anni, un antenato di mia madre Maddalena Nozzoli fu Bibliotecario gambalunghiano: era Ignazio Vanzi, vissuto tra 1667 e 1715 ed attivo in quel servizio tra 1711 e lo stesso 1715.
Antonio Montanari


Anche i libri ci parlano.
Il bibliotecario Massèra in Gambalunga (1908-28)

 


Un saggio di Maria Cecilia Antoni, Il tesoro di carta del Fondo Gambetti. - "il Ponte", settimanale, n. 01, 06.01.2013


 

 
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1519, Ebrei e Rimini

Post n°98 pubblicato il 06 Febbraio 2019 da riministoria

1519, Ebrei e Rimini

Nel 1519, dietro istanza di frate Orso dei Minori di San Francesco, in obbedienza anche ai «decreti del Sacro Concilio», sono ripetuti gli ordini del segno distintivo impartiti il 13 aprile 1515.
Quel giorno il Consiglio generale ha approvato all’unanimità l’adozione di tre provvedimenti: chiedere licenza al papa di bandire gli Israeliti; far loro pagare le spese per i soldati a piedi ed a cavallo «qui condotti, e trattenuti per guardia de gli Ebrei» medesimi; ed infine stabilire «che nell’avvenire volendo detti Ebrei continuare l’habitatione in questa Città, portassero il capello, o la beretta gialla».
Per le donne il successivo 28 aprile è introdotta la regola di recare una benda gialla in fronte, facendo loro nel contempo divieto di porre sul capo i mantelli secondo (aggiungiamo noi) l’usanza comune della nostra popolazione di sesso femminile.
Gli Ebrei richiedono di non essere costretti alla berretta ed alla benda gialle (secondo il sesso), ma di recare semplicemente un segnale sul mantello. (Il precedente più antico risale al 1432 quando Galeotto Roberto Malatesti aveva ottenuto da papa Eugenio IV un «breve» che introduceva per loro il «segno» di distinzione obbligatorio.) La città ricorre al papa «da cui fu commandato, o che quelli partissero da Rimini, overo obbedissero alla Città».
I tre punti del 13 aprile 1515 hanno una premessa di tutti rispetto negli atti del Consiglio generale, che è però dimenticata dagli storici (Clementini prima e Carlo Tonini poi). In tale premessa si dice che gli Ebrei erano visti in città come «inimici».
Carlo Tonini, nel riferire i provvedimenti del 13 aprile 1515, premette che «la città era in tumulto per cagione degli Ebrei». Riferisce che «fu proposto di sbandeggiarli, quali nemici della religione e promotori di scandali nel popolo», chiedendone licenza al pontefice. Conclude che «in causa di questo tumulto fu fatto venire un numero di cavalli di lieve armatura», la cui spesa «volevasi fosse fatta pagare agli Ebrei, alla cui difesa appunto erano venuti que’ militi».
Il passo di Clementini sui soldati «condotti, e trattenuti per guardia degli Ebrei», ha portato Carlo Tonini a scrivere di un «tumulto per cagione degli Ebrei» (del quale non c’è traccia nel testo di Clementini). Tonini aggiunge che i militi erano stati chiamati in città a «difesa» degli Israeliti, e quindi da considerarsi a loro carico. Clementini aveva parlato di «guardia», termine il quale oltre che difesa (di una parte lesa) può significare anche controllo (e repressione di facinorosi…).
Se il passo di Tonini sul «tumulto per cagione degli Ebrei» significa che erano stati essi a provocare una sommossa, tale affermazione non ha nessun legame logico con quella successiva, relativa all’intervento di truppa forestiera per proteggerli («alla cui difesa appunto erano venuti que’ militi»).
Questo controsenso non ci sarebbe nella peggiore delle ipotesi, che cioè quel «per cagione degli Ebrei» significasse che la loro sola presenza in città (che li considerava «nemici») aveva provocato una rivolta popolare arginata dall’autorità manu militari per salvaguardare l’ordine pubblico.
Nel 1548, Rimini anticipa il ghetto ebraico, poi istituito da papa Paolo IV il 17 luglio 1555.

1. Storia degli Ebrei a Rimini.
2. Rimini e gli Ebrei, archivio.

Antonio Montanari

 

 
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Cencino andava alla grande guerra

Post n°97 pubblicato il 27 Marzo 2018 da riministoria

Il libro di Aldo Cazzullo sulla "Guerra dei nostri nonni", ed in particolare il capitolo sui soldati contadini, mi richiama una memoria di famiglia, legata a Cencino, zio di mio suocero.
Ne parlai in un post pubblicato nel 2008, che ripropongo in parte, rimandando all'originale.

Cencino era nato nelle valli del Po, di pura razza selezionata dalla miseria, dalla fame e dalla malattie, sul finire del 1800, giusto in tempo per essere chiamato militare alla guerra del 1915-18. Quando finì a Padova come attendente del generale comandante il reggimento di cavalleria.
Corse il rischio di essere fucilato come disertore perché era andato senza permesso al funerale del fratello.
La leggenda che lo circondava in famiglia riguardava l'intervento dello stesso generale per evitargli l'ultima, prematura grana della sua vita. E coinvolgeva pure l'affetto materno che la pia moglie del generale aveva verso quel ragazzo non bello, non alto, ma geniale come i contadini che si sono letti il libro della vita, imparando bene la lezione senz'altra maestra che la vita stessa e la natura.
La signora gli offriva settimanalmente una piccola mancia perché il giovanotto si recasse devoto alla basilica del Santo ad ascoltare la santa messa.
Il disobbediente in armi invece andava a bersi comodamente qualcosa al caffè Pedrocchi, con quella modesta ma gradita cifra.
Non si era mai saputo perché poi, in mezzo a tanta stima per la sua abilità nel governare i cavalli, fosse stato poi privato del posto di attendente del generale.
Non lo avevano saputo i suoi congiunti, ma glielo chiesi io (parente acquisito), e così si ruppe il segreto. La signora lo aveva scoperto a letto con la propria cameriera.
Rimase famosa in casa nostra, la frase finale del racconto di Cencino: le mogli degli ufficiali andavano a letto con chicchessia, insomma era tutto "un puttanesimo". Ma l'unico scandalo per quell'ambiente perbene, era stato dato dal semplice militar soldato che se la spassava con la cameriera.
Prosegue qui.

 
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Alberto Marvelli

Post n°95 pubblicato il 14 Agosto 2017 da riministoria

Alberto Marvelli.

Manifestazione a Bologna, oggi 14 agosto.

A Bologna il 14 agosto 2017 ricordo pubblico di Alberto Marvelli, alla presenza di Mons. Matteo Zuppi, Arcivescovo di Bologna.
Sulla figura di Alberto Marvelli pubblico:
una mia pagina del "Ponte" del 7 maggio 1989;
il capitolo XIV de "I giorni dell'ira", "Settembre 1943 - settembre 1944 a Rimini e a San Marino" [al volume integrale "I giorni dell'ira", Il Ponte, Rimini 1997];
e la pagina 302 della "Storia di Rimini", edita nel 2004 da Bruno Ghigi.

ARCHIVI RIMINISTORIA
I giorni dell'ira. Gli articoli de "il Ponte".
Rimini ieri. Cronache dalla città [1989].
Rimini 1940-1945.
Rimini 1900, indice.
Storie di Rimini, indice.

Antonio Montanari
(c) RIPRODUZIONE RISERVATA

 
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Sigismondo Pandolfo Malatesti, 1417-2017

 

1735, Porto rifatto

Post n°93 pubblicato il 21 Settembre 2016 da riministoria
Foto di riministoria

La pietra collocata di recente al Ponte di Tiberio reca una scritta che va collegata alla storia del Porto di Rimini: "A FUND. ERECT. A. D. MDCCXXXV". Ovvero nel 1735 era stata eretta dalle fondamenta una costruzione...


Ma quale? Non certamente lo stesso Ponte di Tiberio, ma appunto il Porto.
Leggiamo da Luigi Tonini ["Il Porto di Rimini, brevi memorie storiche", Bologna, 1864, pp. 12-16], che in seguito all'alluvione del 1727, "caddero i nuovi moli (perché malamente costruiti) nel Porto; e questo solo danno fu calcolato in quindici mila scudi. Le acque erano a tale altezza che dall'Ausa alla Marecchia verso il mare giunsero a sorpassare l'altezza degli alberi più elevati".
Tonini riprendeva la "Cronaca" del conte Federico Sartoni (1730-1786).
All'inizio del 1700, su consiglio del card. Ulisse Giuseppe Gozzadini, legato di Romagna, erano stati eseguiti lavori di riparazione alle sponde. Alla riva destra, le palizzate vennero sostituite completamente da un'opera in muratura. Il Comune spese più di 70 mila scudi. Finiti male, con l'alluvione del 1727.

Alla pagina successiva sul tema: 1746. Un'immagine del Ponte di Tiberio.

Archivio sul tema in "Riministoria":
Ruggiero Boscovich e la questione del porto canale
, capitolo settimo di "Lumi di Romagna. Il Settecento a Rimini e dintorni." [1992].
Grattacapi per un porto canale. [24.07.2001]
Porto e politica, affari e malaffare. [17.02.2013]
Il pesce indigesto dei politici. [22.08.2014]

Per altre notizie su:
1700. Vita economica, sociale e politica,
sezione dell'indice: Storie di Rimini.

Foto del Comune di Rimini, Ufficio Stampa.

Antonio Montanari
(c) RIPRODUZIONE RISERVATA

 
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