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« LA 'NDRANGHETA NON E' ...IL SILENZIO DEL GOVERNO »

PONTE SI PONTE NO DUE TESI A CONFRONTO

Post n°22 pubblicato il 29 Febbraio 2012 da romano.pitaro
 

PONTE SI PONTE NO

DUE TESI A CONFRONTO (IL QUOTIDIANO OTTOBRE 2011)

di Romano Pitaro

 

 Nonostante la contrazione economica, che stritola  l’Occidente in una crisi più lancinante  di quella del ’29,  il crollo dell’occupazione,  le violente oscillazioni delle borse e la cupa prospettiva “di due o più anni di ristagno economico globale”, i pontisti non arretrano di un millimetro.  Tengono strette le loro convinzioni (che il prof. Bruno   Sergi,   con cognizione di causa,   espone  nell’intervista accanto)  e   s’entusiasmano  all’idea che la campata unica  di 3300 metri per l’attraversamento stabile  delle “epiche sponde”,  sbriciolerà il primato del ponte di Akashi Kaikyo in Giappone di soli 1991 metri.  Noncuranti, peraltro, della messa in discussione  di uno dei principali atout del ponte: l’essere il  terminale del corridoio “Berlino-Palermo”. Corridoio però   cancellato, salvo ripensamenti,   dall’Unione europea.   Infatti,  nella proposta di bilancio “Europa 2020” inviata dalla Commissione Ue il 29 giugno all’Europarlamento,  la geografia delle grandi infrastrutture è stata sobillata. E nelle priorità infrastrutturali,  all’ex vecchio  Corridoio 1  “Berlino-Palermo”  subentra il nuovo  Corridoio 5 “Helsinki- La  Valletta”, che a Napoli vira verso Bari,  salta la  Calabria e la Sicilia e    rende  superfluo  il Ponte.   I pontisti hanno, naturalmente, tante   frecce nella faretra,  per spiegare che l’infrastruttura  è    “l’occasione del Sud”; benché  quando  il Governo e le grandi imprese ricorrono ad  espressioni  così altisonanti, al Mezzogiorno dovrebbe venire l’orticaria.  D’altronde  appare   esagerato il dilemma, ventilato  dagli oppositore,  secondo cui il Ponte  addirittura è  alternativo allo sviluppo del Sud.  In sintesi, per chi lo considera imprescindibile, il Ponte   porterà benefici indiretti legati al turismo,  alla mobilità ed all’ampliamento dell’occupazione.   Ed  a supporto di siffatte tesi,  si sottolinea  che  il Ponte non incide sulle finanze pubbliche, oltre ad essere  una priorità di politica economica.   Questa panoplia di punti di forza (che il prof. Domenico Marino confuta  qui a lato) fa impallidire il più ostinato dei detrattori di un’infrastruttura su  cui si disputa   dai tempi dei romani.   Stupisce, in ogni modo,  l’indifferenza con cui si procede nell’iter realizzativo del Ponte  (per cui finora sono stati spesi all’incirca 500 milioni di euro)  nonostante il sisma e lo tsunami alto dieci metri  che hanno sconvolto l’11 marzo scorso   il Giappone:  la seconda potenza economica e tecnologica del mondo. Quella tragedia   non ha   incrinato la determinazione a costruire, tra la Calabria e la Sicilia, regioni appollaiate su un’area sismica dove nel 1908  un terremoto di magnitudo 7.2 ha provocato  100mila morti, quella che per alcuni  sarà    l’ottava meraviglia del pianeta ( quantunque la  definizione  sia improvvida, vista la fine che hanno fatto  le altre sette) e per altri, viceversa,  un’opera  che avrebbe l’unico  merito di collegare due deserti.  Sembra cancellato dalla memoria quel 28 dicembre di poco più di un secolo addietro e dimenticati  i versi della poetessa lombarda  Ada Negri, che esortava a prestare soccorso: “Fratelli in Cristo/ destatevi dal sonno/ andate a soccorrere con leve e pale/ con pane e vesti. Nelle lontane terre dell’arsa Calabria crollano ponti e città/i fiumi arretrano il corso/sotto case travolte le creature sepolte vivono ancora/chissà. Batte la campana a stormo. Pietà fratelli, pietà”. I  termini della vexata quaestio   sono noti.   Si sa chi il Ponte lo vuole e   chi lo aborre.   Ma se  il confronto, da cui è   necessario espungere le  visioni apocalittiche,  tra sostenitori e detrattori, su un’opera che ha avvinto persino zio Paperone ( in un numero di Topolino il simpatico  spilorcio lo costruisce per far soldi, ma poi glielo portano via con dei palloncini)  e  di cui si discute da quando  il console Lucio Cecilio Metello  intendeva far passare i   140 elefanti sottratti al generale cartaginese Asdrubale, non può che far bene alla discussione,   restano tuttora   senza risposta  alcuni precisi interrogativi.  Ad incominciare (punto primo)  da chi dovrà erogare materialmente i capitali necessari (da  6. 3 a 8.5 miliardi di euro)  per la  campata unica (da  finire  entro  il 2017) lunga 3.300 metri, larga 60  e sostenuta da due piloni sui due versanti siciliano e calabrese. Se è in grado (punto secondo)   un Paese disorientato   e  lentocratico  come il nostro,  che nel Sud  ha un’autostrada in rifacimento da tempo immemorabile e il cui epilogo continua ad essere un mistero, aprire un cantiere  così invasivo e chiuderlo in tempi record. Quando piuttosto  è verosimile ritenere  che ciò non avverrà.   E che, invece, lo terrà  aperto per un tempo insopportabilmente lungo, deturpando  uno dei luoghi più suggestivi al mondo, per ricchezza naturalistica, storica e mitologica. Se (terzo punto)   a conti fatti, non converrebbe,  anziché spendere (ancora) cifre da capogiro per un’opera ardita e dagli esiti incerti,   provvedere con sollecitudine a mettere in sicurezza il territorio di questa parte del Mezzogiorno a rischio frane e dissesto idrogeologico.  Investendo sul risanamento delle coste e sul rilancio dell’entroterra  abbandonato ad una desertificazione sociale galoppante,  in cui s’insediano agevolmente, alla faccia dei cultori della democrazia liberale e dello Stato di diritto,   la speculazione economica più spregiudicata  e la criminalità organizzata.

 

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