Tra un pilastro e l'altro...
Il pomeriggio del 23 settembre don Vito era seduto nella loggia da cui controllava contemporaneamente l'ingresso, il passìo in piazza e le attività della sua famiglia all'interno della portineria.
Conversando gradevolmente col cognato, don Vito commentava: "E' morta mangiata dalla sua ambizione e avidità, femmina rozza e scortese era. Si era estraniata dalla gente sua pari - che poi pari di noi non lo era per niente, figlia di un bracciante era nata - e si era presa tutte le arie degli Alfallipe, come una di loro si sentiva, ma non lo fu mai, e manco poteva esserlo. I figli dell'avvocato non la potevano sopportare e sola come un cane è morta, neanche i nipoti si sono fatti vedere".
Dopo aver cenato Nuruzza e Vanni Salviato rimasero soli (…)
"Non te l'ho detto prima di mangiare, per non farti andare di traverso la minestra," disse Nuruzza al marito, "oggi morì la Mennulara."
Vanni Salviato sputò in terra e disse: "Mi pare che l'aria che respiro è fresca e pura, ora che quella non l'appuzza più col suo fiato".
Rimasero in silenzio, poi Vanni aggiunse: "Ci ho perso la salute e la voglia di lavorare, tanto perfida fu con me questa malafemmina, e per giunta cugina tua era".
"Che colpa ne ho io, non sono forse stata la prima a dire ai nostri figli che lei era come se fosse morta e se l'avessero incontrata per strada nessuno dei Salviato doveva salutarla, anzi dovevano girarsi con la faccia dall'altro lato per non vederla?"
Zu' Peppino Coniglio aveva perso tempo dal fornaio. Ansimava per la ripida scalinata che conduceva in piazza, era in ritardo al Circolo della Conversazione e temeva che qualche altro socio avesse già arraffato la copia de "La Sicilia", negandogli il piacere di leggere il giornale per primo.
Tale fu la sorpresa nel trovare i soliti amici in animata quanto inconsueta conversazione, che non gli passò per la testa di acchiappare il giornale, posato su una sedia, ancora pristino, che lo aspettava. Invece rimase in piedi ad ascoltare, tenendo serrata tra le braccia la sporta, da cui sprigionava il fragrante odore di pane caldo, dimentico dei reumatismi alle gambe.
Don Giovannino Pinzimonio, di anni ottantatré, teneva corte quella mattina. Gli altri soci erano seduti intorno a lui intervenendo di tanto in tanto e aggiungendo particolari alla storia che questi stava raccontando con vivacità: sghignazzavano come ragazzini. Zu' Peppino all'inizio non capì di chi stessero parlando.
"Saliva sugli alberi come una scimmia, un piede qui, una mano là, si metteva a cavallo sui rami, saltava da uno all'altro, si aggrappava a quelli carichi di olive e li scotolava saltellando, come se ballasse, sul ramo di sotto, su e giù," don Giovannino si alzò e prese a mimare i movimenti a gambe larghe, piegando le ginocchia, "scalza si arrampicava, la corteccia dei tronchi non la sentiva ruvida sui piedi nudi, la sfiorava appena tanto era agile e leggera, in sessant'anni di lavoro non ne ho vista una come quella. Le olive cadevano come una grandinata e i picciotti a terra la guardavano a bocca aperta e cercavano di avvicinarsi sotto l'albero, ma la vecchia guardiana li teneva lontani da lei."
"Volevano guardarle le cosce, altro che raccogliere le olive!" esclamò Mario Lo Garbo, gli occhi brillanti al ricordo di piaceri ormai dimenticati. Gli altri ridevano. Ognuno aggiungeva la sua.
"Che gambe!"
"Bona era!"
"Piccola, ma col corpo di femmina!"
"E tu che ne sai, l'hai mai toccata?"
Zu' Peppino chiedeva "Chi?", ma i soci non gli davano retta, assorti e beati com'erano nel ricordo piccante, divertiti alle battute spiritose di cui non credevano esser più capaci.
Don Giovannino finalmente gli rivolse la parola: "Te la ricordi, tu, la Mennulara da bambina quando lavorava nelle terre del barone Putresca?"
"Sì," disse zu' Peppino, deluso perché credeva di essere nel bel mezzo di un pettegolezzo recente su di una persona più interessante della cameriera degli Alfallipe, "ma perché ne state parlando?"
Mario Lo Garbo, ancora con le lagrime agli occhi dalle risate, disse: "Non l'hai letto l'annuncio per strada?, ieri morì".
tratto da "La Mennulara" di Simonetta Agnello Hornby
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Ma ke cavolata qll della maledizione...Con il termine Maledizione di Tutankhamon viene indicata una presunta moria che avrebbe colpito inaspettatamente tutti coloro che parteciparono alla ricerca ed alla scoperta, da parte dell'archeologo Howard Carter, della tomba del faraone Tutankhamon, rinvenuta nella Valle dei Re (e catalogata con il codice KV62), nel 1922, scoperta "sponsorizzata" da un ricco nobile inglese, Lord Carnarvon.
La maledizione di Tutankhamon è in realtà da considerarsi una trovata pubblicitaria dell'epoca, anche in funzione delle pochissime notizie che trapelavano sia per la lentezza delle operazioni di "svuotamento" della tomba (l'autopsia del faraone risale al 1925, tre anni dopo la scoperta), sia per l'esclusiva mondiale data ad un giornale americano dallo stesso Lord Carnarvon, che tagliò fuori tutti gli altri quotidiani dell'epoca da ogni informazione, innescando così una violenta campagna denigratoria nei confronti della scoperta.
Infatti, l'unica morte che potrebbe essere fatta coincidere con la scoperta della tomba, è proprio quella di Lord Carnarvon (morto poco dopo la scoperta); ma la sua morte avvenne per cause naturali: nel febbraio 1923, infatti, tre mesi dopo la scoperta, il nobile inglese fu punto da un insetto; nel clima egiziano, umido e caldo, e su un fisico già indebolito (a causa di un incidente stradale nel 1901) come quello di Lord Carnarvon, ogni piccola infezione poteva risultare fatale; e qualche giorno dopo, radendosi la barba, inavvertitamente egli riaprì la ferita. E l’infezione, nonostante l’immediato trattamento con tintura di iodio, non si fece attendere. Dopo pochissimo tempo il Conte di Carnarvon venne costretto a letto da una fortissima febbre che presto si trasformò in polmonite. Morì dopo una lunga agonia il 5 aprile del 1923 al Cairo.Tutte le altre morti dei partecipanti alla scoperta avvennero poi a diversi anni di distanza da quest'ultimaMedia dell’età al momento della morte (escluso Callander, per il quale il dato è ignoto, ed il valore massimo 86, relativo a Hall): oltre 63 anni;
media anni della morte dal 1922, data della scoperta (escluso il valore minimo 1, relativo a Carnarvon, e il valore massimo 47, relativo a Lindsley Foote Hall): quasi 22 anni.
La stessa Lady Evelyn, figlia di Carnavon, che partecipò attivamente alle fasi iniziali della scoperta della tomba, nata nel 1901, morì nel 1980, mentre il Dr. D.E. Derry, che eseguì la prima autopsia sul corpo di Tutankhamon, morì nel 1969, all'età di 87 anni. Ancora statisticamente, delle 26 persone presenti all’apertura della tomba, solo sei morirono nell’arco dei dieci anni successivi; delle 22 presenti all’apertura del sarcofago solo due morirono nei successivi dieci anni mentre delle 10 persone presenti allo sbendaggio della mummia nessuna morirà sempre nei dieci anni successivi a tale operazione.
Trai tu le somme....... ciao e grazie |
(Rispondi)
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