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Fabian Perez - pittore (http://fabianperez.com)

Post n°1 pubblicato il 09 Settembre 2008 da roy.radio
 

Ho visto l'immagine di un suo quadro pochi giorni fa, precisamente sul blog http://blog.libero.it/sognandooo/ (bisogna sempre citare le fonti, soprattutto se ti regalano un'emozione inaspettata!).

Di primo acchito pensavo si trattasse di fotografie vere e proprie che erano state ritoccate con un particolare filtro digitale/software che donasse loro l’aspetto di un disegno/quadro. Così contattai la blogger, con l'intento di scoprire con quale software aveva modificato le sue foto, se le aveva modificate lei...

Prima che mi arrivasse risposta, però, avevo già effettuato qualche ricerca ed avevo scoperto l’incredibile mondo di Fabian Perez, fatto di circa 250 opere a metà tra la fotografia e la pittura.

Ignoro se questo artista componga le proprie opere andando a memoria, lavorando di fantasia oppure aiutandosi guardando scatti fotografici magari realizzati proprio da lui. Personalmente, questo non mi interessa.

A me basta apprezzare (per esempio) il gioco di fuoco/fuori fuoco che egli magistralmente realizza con i suoi colori acrilici, rendendo più nitido il soggetto e più sfocate le ambientazioni di contorno: i tratti con cui l'artista dà corpo agli elementi architettonici, agli oggetti d'arredamento, agli ambienti che fanno da cornice ai soggetti rappresentati nei suoi quadri, sono semplici, a volte appaiono grossolani, doppi, corposi; al contrario, le pennellate utilizzate per ritrarre i soggetti principali sono sempre le più dettagliate, le più nitide, le più precise (per quanto, in questi quadri non si può mai parlare di vera nitidezza e precisione del tratto, anzi! Le pennellate tradiscono la passionalità dell’artista e la foga con cui a volte imprime le proprie emozioni nel tratto).

In termini di colori, la mescolanza additiva in media spaziale (intesa come molteplicità di colori distinti affiancati nelle varie pennellate al fine di creare cambi di colore, sfumature e contrasti più o meno accentuati in un minuscolo spazio di tela) è decisamente più ricca nei soggetti principali piuttosto che in tutto ciò che fa da contorno e arredamento. Questa scelta (insieme ad un sapiente uso delle luci e dei contrasti che regalano suggestione e profondità) consente all’artista di mettere in risalto i propri soggetti, avvolgendoli però SEMPRE in un contesto ricco di propria personalità e per nulla evanescente o marginario.

L'arte di Fabian Perez è pregna di sensazioni inafferrabili eppure corpose. Egli riesce ad attribuire ad ogni oggetto solido rappresentato la capacità di trasmettere visivamente quelle che sono delle caratteristiche insite nell’oggetto, ma solitamente non visivamente percepibili. Parlo degli odori, delle temperature, dei fumi densi e aromatici, della ruvidità di una stoffa o l’elasticità di una pelle, la leggerezza di un ventaglio, l’umidità nell’aria, le voci soffuse provenienti da un locale, una piazza, una strada.

La scarsa definizione degli ambienti e degli oggetti d’arredamento, non li mette in secondo piano rispetto al soggetto principale: non si tratta di sminuire il “contorno” e valorizzare il “soggetto”, ma di rappresentare diversamente una dall’altra (ciascuna nel modo più proprio) tutta una serie di elementi che – insieme – contribuiscono alla creazione di un’atmosfera unica e profondamente dettagliata. Il segreto dell’opera di Fabian Perez è che ti colpisce subito e consciamente in maniera visiva, ma altrettanto repentinamente colpisce il tuo io più profondo, donandoti emozioni viscerali e nascoste che - ad una semplice e superficiale lettura - sfuggono nella loro totale completezza. E, vi garantisco, se vi fermate ad analizzare questi quadri in maniera veloce e superficiale, come feci io la prima volta che li vidi, commettete un imperdonabile errore. Regalatevi un’emozione e provate ad entrare DENTRO ad uno dei suoi quadri.

Innanzitutto, bisogna comprendere che ciò che appare “sfocato” e “marginale”, lo è in quanto in se contiene (e quindi trasmette a chi è intorno) odori, sapori, temperature, consistenze percepibili al tatto, insomma tutte quelle sensazioni “immateriali” e “non visive” che l’artista però percepisce e intende trasmettere, e per questo le rappresenta con passione e volume, utilizzando i colori acrilici perché si asciugano velocemente e gli consentono di seguire i suoi impulsi, senza che l’attesa di un colore ancora bagnato lo limiti nel generare un nuovo tratto col pennello.

I punti più “confusi” e “grossolani” della sua pittura, sono quelli in cui si annidano le sensazioni più forti. E qui Fabian Perez compie un gesto fuori dall’ordinario, non percepibile da tutti, che ci fa comprendere come un pittore possa esprimere le sue più forti sensazioni in quegli spazi (come la raffigurazione di un pavimento, una parete o semplicemente l’aria/atmosfera attorno al soggetto) che – al contrario - in una fotografia costituiscono quasi sempre semplici pattern, sfondi, elementi cromatici di contrasto, elementi predefiniti che regalano forti impatti visivi solo perché sapientemente utilizzati dal fotografo nell’accostamento tra vari soggetti e ambienti, colori e luci, contrasti e nitidezze. Nella pittura di Fabian Perez, non è così: gli sfondi indefiniti che circondano i soggetti racchiudono in se fumi corposi, odori acri, voci lontane o vicine, pensieri, umidità, calore.

In Pase de Pecho difficilmente l’occhio dell’osservatore si sofferma sul terriccio dell’arena o sull’oscurità degli spalti, eppure essi rappresentano rispettivamente la freneticità dell’azione (percepite le polveri che si sollevano dal piano di calpestio? E’ da quello che si percepisce la pesantezza e la furia del toro!) e il coinvolgimento del pubblico (portato all’immobilità e al silenzio dalla pericolosità e spettacolarità della scena). Il fatto - poi - che gli spalti siano bui, dona sacralità all’immagine, immobilizza l’attimo e tende a concentrare la nostra attenzione sul toreador, che di fatto ci appare come l’unico soggetto a cui l’artista si sia dedicato veramente, poiché sembra l’unica figura a contenere un evidente numero di dettagli. E così tutta la scena vede protagonista il toreador vestito di bianco ed oro, elegante e compito, così cromaticamente contrapposto alla bestia nera ed infuriata con cui sta “giocando”.

Ciò che mi colpisce di questo quadro, è il doppio utilizzo della regola dei terzi, che dona un’enorme armonia degli spazi dell’immagine: le banderillas conficcate sul dorso del toro, nel quadro assumono un assetto tale da creare una linea orizzontale che taglia in due parti (ad un terzo dell’altezza) tanto l’immagine tutta, quanto la sola porzione nera che rappresenta gli spalti. Infine, il terriccio dell’arena (così chiaro) viene utilizzato come sfondo per valorizzare e far emergere la figura nera del toro. Si tratta di escamotage fotografici, peculiarità di cui vanno solitamente in cerca i fotografi, la cui virtù è quella di catturare un determinato instante interpretandolo visivamente con un’ottica tutta particolare, incentrata sulla ricerca di armonia ed equilibrio nelle forme, luci e colori.

La pittura di Fabian Perez è spesso viva e realistica, e sarà ancor più coinvolgente se proverete a farvi influenzare dalle atmosfere di contorno delle sue opere, evitando di soffermarvi solo sulle figure illuminate, centrali o emergenti dei suoi quadri.

Entrare in un quadro di Fabian Perez significa, a mio avviso, percepire i rumori di strada attraverso il balcone da cui è affacciata Letizia, avvertire il calore della luce che si staglia sul palazzo di fronte a lei e – allo stesso tempo – la frescura e l’odore di chiuso proveniente dalla sua buia stanza; sentire l’odore del malto proveniente dal bicchiere di Whiskey at Las Brujas II, e confrontarlo con gli eventuali olezzi del locale in cui si trova l’avventore (i tavoli dietro di lui sono vuoti, l’ambiente è parecchio buio: quell’uomo è solo mentre si accende il sigaro? Il locale starà chiudendo perché è tarda notte – e quindi odora di fumo e sudore dei clienti – oppure ha aperto da poco e quindi sa ancora di detersivo per pavimenti?), senza contare che possiamo avvertire la setosità del suo vestito, la consistenza delle sue dita affusolate e la fresca e umida condensa che il ghiaccio ha creato esternamente al bicchiere.

Il “contorno” rappresentato nei quadri di Fabian Perez, assolve inesorabilmente ad una sola di due funzioni estetiche: avvolgere in maniera corposa il “centro” del quadro, oppure far emergere il soggetto principale fuori dal contesto. Sono giochi di profondità, visiva e psicologica, sapienti perché più che realizzati con studi di proiezioni e proporzioni, sono figlie di attenzioni estetiche proprie di un direttore della fotografia, di ricerche di equilibrio che inevitabilmente sfociano nel lato meno razionale della rappresentazione grafica, e toccano significativamente e in maniera immediata l’animo umano dell’artista nella fase di realizzazione, e dell’osservatore nella fase di fruizione.

QUALCHE CENNO SULL’ARTISTA

Fabian Perez, classe 1967, vive i suoi primi 22 anni a Buenos Aires, Argentina.

Da adolescente studia Karate. C’è chi dice che questa arte marziale lo aiuterà a sviluppare in lui una grande disciplina, oltre che una apertura verso le altre forme d’arte.

A 22 anni, lascia l’argentina e viene a vivere in Italia per 7 anni. Qui la sua carriera - sia come pittore che come scrittore - subisce una forte impennata: è in Italia che riceve l’ispirazione per il suo libro “Reflections of a Dream” (che poi pubblicherà negli Stati Uniti).

Dopo i 7 anni trascorsi in Italia, Fabian Perez decide di trasferirsi in Giappone. Vive lì per un anno, giusto il tempo di dipingere “The Japanese Flag” e “A Meditating Man”, entrambe oggi esposte al Palazzo del Governo. Poi decide di recarsi a Los Angeles, dove vive dal 2007, impiegando la propria vita nel tentativo di inspirare gli altri con i suoi scritti e le sue opere pittoriche.

Lo stile di Fabian è unico. Lui non desidera che la sua arte venga inserita in una qualche categoria, perché sostiene che ciò limiterebbe tanto l’artista quanto le sue opere. In pratica, fa quel che sente, senza un necessario senso di appartenenza ad un genere o una corrente artistica specifica.

Gli piace dipingere con colori acrilici, perché si asciugano velocemente e gli consentono di seguire i suoi impulsi, senza che l’attesa di un colore ancora bagnato lo limiti nel generare un nuovo tratto col pennello.

Nel suo libro (“Reflections of a Dream”) c’è un breve passo che recita pressappoco così: “Sono tredici anni che le mie ruote viaggiano su una strada sabbiosa. Lungo il mio cammino mi sono lasciato alle spalle molte cose, e tante altre ormai le ho perse. Ma le ruote continuano a girare e io vedo la strada dritta davanti a me, e so che quella strada mi condurrà a numerose nuove esperienze”.

Nel momento in cui vi sto scrivendo, “Tango” (uno dei suoi quadri dimensioni 57x72 cm), è in vendita sul mercato a 1.237 dollari americani. Sto pensando se acquistarlo… ma ahimè già conosco la risposta che riceverò consultando il mio estratto conto.

 
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