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Damien Hirst
Post n°2 pubblicato il 17 Settembre 2008 da roy.radio
Tag: Damien, Death, diamanti, formaldeide, Hirst, Impossibility, Living, Mind, morte, Physical, restauro, Someone, squalo, Steven Cohen, teschio Non mi era mai capitato di sentirmi male di fronte ad un’opera d’arte, ma quando ebbi l’opportunità di assistere ad una personale di Damien Hirst, rimediai sensazioni per me senza precedenti: giramenti di testa, nausea, confusione. Un’esperienza davvero unica, che vorrei presto riprovare, data la rara natura della sua intensità. Molte delle sue opere sono incentrate sul tema della morte, e sfruttano suggestioni di diverso genere, raggiungendo qualsivoglia spettatore, colpendolo nell’intimo, nella mente e nello stomaco anziché nel cuore. Di tutte le sue opere, la più conosciuta è “The Physical Impossibility Of Death In the Mind Of Someone Living” (ovvero, L'impossibilità fisica della morte nella mente di un vivo). Si tratta di uno squalo di 4 metri e mezzo “imbalsamato” nella formaldeide, una sostanza battericida che è stata iniettata nell’intero sistema vascolare e linfatico del cadavere dello squalo, fino a solidificarsi e trasformarsi in una resina trasparente che avvolge e permea tutto lo squalo, rallentandone notevolmente la decomposizione e consentendo ai tessuti e alle cellule dello squalo di rimanere così come sono per anni ed anni. La formaldeide, pur essendo trasparente, assume un colore verde/azzurrino che tende ad opacizzare i colori dell’animale in essa contenuto. Questo blocco rettangolare di resina (che avvolge e conserva lo squalo di 4 metri), è a sua volta racchiuso all’interno di una resistente struttura con vetri (una sorta di teca trasparente dalla cornice bianca) che – nel corso degli anni – è stata esposta talvolta poggiata sul pavimento dei musei, talvolta spettacolarmente attaccata al soffitto e sospesa in aria al di sopra degli spettatori. “The Physical Impossibility Of Death In the Mind Of Someone Living” non è la mia opera preferita di Hirst, non è una di quelle che mi ha fatto star male quando l’ho vista, ma è sicuramente un’opera di grande impatto visivo, e il suo recente “restauro” mi offre – tra l’altro – lo spunto per riflettere dell’importanza del “concetto” di un’opera, a discapito della sua reale “rappresentazione visiva” (leggi più avanti).
In particolare, in parecchie opere egli cerca di fermare e perpetuare un istante circoscritto e ben definito di quel processo così vasto e vario che noi definiamo semplicemente e banalmente “la morte”. A tale scopo, ricorre spesso all’utilizzo di animali “imbalsamati”, proprio come lo squalo di 4 metri protagonista nel “The Physical Impossibility Of Death In the Mind Of Someone Living”.
Quell’istante immortalato, oggi è a disposizione di tutti, infinitamente dilatato, e consente a chiunque – tramite la contemplazione – di avvicinarsi e riflettere su ciò che più d’ogni altra cosa DA SEMPRE influenza la vita dell’uomo, le filosofie e le religioni: il concetto della morte. Ma non solo, bisogna guardare oltre e analizzare. In altre opere Hirst ha immerso nella formaldeide molti altri tipi di animali, tra cui mucche, suini e ovini. In quel caso la scelta è ricaduta su animali più comuni e che sono alla base della nostra alimentazione, il che ha forti implicazioni in termini psicologici e sociologici. Anche l’aver scelto uno squalo, ovviamente, ha le sue forti implicazioni. In primo luogo, la maestosità dell’animale e il timore che esso solitamente incute, sia nella realtà che nell’immaginario: lo squalo è l’animale che più d’ogni altro è capace di rievocare nell’uomo la paura della morte, una morte terribile e dolorosa, tra l’altro in un ambiente per noi “alieno” come l’acqua (e la consapevolezza del fatto che egli è padrone di un elemento con il quale noi non abbiamo piena dimestichezza, ci fa sentire ancora più a disagio). In secondo luogo, non dimentichiamo che, quando è in vita, lo squalo è condannato all’eterno movimento (anche durante il sonno), poiché è spostandosi che egli convoglia l’acqua nelle branchie (si chiama “respirazione per ingoio” ed è tipica di quelle specie che non sono capaci di pompare volontariamente l’acqua attraverso le branchie, e che quindi sono condannate all’asfissia se per qualche motivo non riescono a mantenersi in movimento): è inutile che io sottolinei l’importanza del simbolismo insito nell’aver immobilizzato uno squalo all’interno di una resina che (in maniera naturale) non solo assume un colore così simile a quello del mare, quanto mantiene i tessuti dell’animale in uno stato di morte, impedendogli però di degenerare, facendolo dunque “apparire” così com’era in vita, sebbene non lo sia più. Hirst con quest’opera è riuscito a rappresentare un essere vivente in quel preciso istante in cui diventa “privo di vita”, che è per noi psicologicamente differente dallo stato di “morte”, al quale siamo soliti associare il decadere e il marcire delle carni, la scomparsa del corpo, l’assenza del vivente. Non è un concetto facile da comprendere, ma è molto profondo. “The Physical Impossibility Of Death In the Mind Of Someone Living” è la maestosità della morte, è rappresentazione di un incubo inevitabile e incombente che ben conosciamo, ma rappresentato come visione Lovecraftiana, inconcepibile e terribile, fuori dal tempo e dalle leggi che regolano la natura, e per questo ancor più spaventosa. L’inquietudine, il senso del macabro, la presenza della morte è palpabile in ogni installazione artistica di Hirst. E una cosa importante da comprendere è che l’opera artistica è solo un tramite per trasmettere un’emozione. L’irripetibilità dell’opera non sta nella sua realizzazione e nella sua sostanza, bensì nel concetto, nell’idea, nell’impalpabile significato del messaggio. Per questo, quando nel 2003 Damien Hirst si accorse che lo squalo del “The Physical Impossibility Of Death In the Mind Of Someone Living” (prodotto originariamente nel 1999) si era ormai pericolosamente decomposto (la formaldeide era stata iniettata in maniera errata e – in 4 anni – dello squalo non era rimasto più niente che la sua pelle coriacea), si rimboccò le maniche e si diede da fare per “restaurare” l’opera. Dove, in questo caso, “restaurare” ha significato prendere un altro squalo, sottoporlo di nuovo al processo di imbalsamazione con la formaldeide (questa volta con maggiore attenzione e facendo tesoro degli errori commessi in passato) e creare una nuova opera partendo da zero. Eppure, questa “nuova opera” – non identica alla precedente, né rielaborazione fisica dello stesso materiale – ha decisamente sostituito la vecchia, conservando lo stesso significato e messaggio e sostituendo integralmente la prima edizione dell’opera d’arte. Una cosa che nella storia dell’arte era già accaduta solo in quanto “elaborazione di bozzetti” e “perfezionamenti dell’opera ultima”! Ma, da sempre nella storia dell’arte, alla fine è sempre prevista la realizzazione di un’opera ultima (e unica e irripetibile) destinata a soppiantare precedenti elaborazioni e tentativi di quel progetto. Con Hirst, invece, l’opera d’arte è un semplice tramite visivo (sottoposto alla corruzione della materia e quindi alla disgregazione) capace di stimolare lo spettatore, aiutandolo nella elaborazione della propria personale percezione di un concetto, filosofico e temporale, che invece rimane immutato e immobile nel tempo. Un concetto eterno rappresentato da un materiale che nel tempo si evolve e degenera fino a scomparire. Le opere di Hirst muoiono, e con se trasportano un ulteriore senso di decadenza, sottolineando l’ineluttabilità del destino dei viventi. Ma mentre i corpi si disgregano, proiettano – in una lunghissima e inedita moviola –rarissimi fotogrammi di morte che risulterebbero altrimenti impercettibili dall’uomo, il quale è tra l’altro abituato a fuggire dall’idea della morte in quanto incapace di concepirla davvero. Afferrare il senso delle opere di Hirst significa davvero comprendere e percepire la morte.
È universalmente noto, assolutamente uno degli artisti più quotati sul mercato. Domina la scena dell'arte britannica dagli anni '90 e la morte è il tema centrale delle sue opere, sebbene egli sia noto anche per le sue tecniche definite spin painting (realizzate dipingendo su una superficie circolare in rotazione come un vinile sul giradischi) e spot paintings (che consiste in righe di cerchi colorati spesso imitate dalla grafica pubblicitaria degli ultimi anni). Tra le sue opere c’è un teschio umano ricoperto da 8.601 diamanti, per un totale di 1.106 carati. L’opera viene valutata ben 18,8 milioni di dollari.
“È incredibile dove si possa arrivare con un 4 in arte, un'immaginazione bacata e una sega elettrica!” (quando ritira il Turner Prize alla Tate Gallery di Londra)
BACKGROUND DI “The Physical Impossibility Of Death In the Mind Of Someone Living”
Quando nel 2003 lo squalo iniziò a deteriorarsi, Hirst notò che l’animale iniziava a perdere di consistenza, e la sua disgregazione influiva eccessivamente sulla fruizione dell’opera, nonchè sul trasferimento del concetto dall’opera d’arte ai suoi fruitori. Per questo Hirst propose a Cohen di finanziare la sostituzione dello squalo. Soltanto il processo di imbalsamazione con formaldeide è costato più di 100.000 dollari. Un nuovo squalo venne catturato al largo della regione australiana del Queensland e trasportato al cospetto di Hirst in un viaggio durato 2 mesi. Oggi il nuovo squalo è ospite della stessa vetrina esterna utilizzato per il primo esemplare. Ma al contrario del precedente, ha le fauci aperte ed incute ancora più paura.
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Inviato da: sexydamilleeunanotte
il 05/10/2016 alle 17:36
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il 20/02/2014 alle 18:03
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il 10/02/2014 alle 21:35
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il 25/10/2012 alle 10:54
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il 16/07/2011 alle 17:48