Creato da: Santajusta_Cultura il 02/11/2008
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Football Association.

Post n°469 pubblicato il 15 Luglio 2018 da Santajusta_Cultura
 
Tag: calcio

Ha-Haaaaa! Credevate che fossi morto! E invece no! L'altro mondo non comincia sulla tangenziale di Ferreñafe! Ammesso che quella mulattiera, che a tratti ha solo una corsia per senso di marcia, possa chiamarsi così. È passato un po' di tempo, molte marcature sono saltate, per tacer dei punti di sutura, io riemergo e l'Alianza gode di ottima salute.
Lo Sporting Jayanca, presieduto da zio Arsenio, ha firmato una joint venture con entrambi, col consenso del nonno, che ha messo da parte il suo antico astio nei confronti di quello che, ai suoi tempi, si chiamava ancora "football association".
Con la scusa di approfondire e, personalmente, per recuperare, ho organizzato una fan zone per l'intera durata dei mondiali di calcio; ma non nella sala trofei della sede, bensì in casa mia. Siamo i soliti: Io, Sanjuán, Celedoni; Rudy, Titti, Thierry; Figueredo, Paul-Henri, zio Arsenio; Vari ed Eventuali. La formazione ha anche qualche riserva e non scende in campo quasi mai al completo. Ma perché vado in porta sempre io?
La mancata qualificazione dell'Arcipelago ci ha concesso un mondiale di tutto riposo. Ci ha risparmiato lo sfibrante fanatismo, quella rinuncia a sé stessi (e soprattutto a sé stesse) che rende isterici (e soprattutto isteriche) individui che, fino al 31 maggio, guardano allo sport con indifferenza, finanche con sdegno; ma alla prima partita della nazionale si trasformano, mettendo a dura prova la statica del condominio con i loro boati o la resistenza dei vetri del medesimo con i loro squittii. Constatato personalmente, nel '90 e nel 2006.
I miei due eredi, Alina e Paul, protestano: sarei diventato la classica checca misogina, tipo Claude Brasseur, che in quel film diceva "toutes des hyènes!" (1)... Ehi! Mi state dando del Claude Brasseur!!! Quale onore!
Per smorzare il conflitto generazionale, dirò subito che l'invito (o l'intimazione?) della FIFA a inquadrare meno "donne sexy" nelle tribune mi ha rattristato parecchio. Le belle ragazze esistono, e la regia le ha inquadrate in egual proporzione dei bambini, delle madri di famiglia, delle coppiette e dei panzoni in maglietta nazionale. Scusate, ma questa non è difesa: è soppressione dell'immagine della donna! Tenendo anche presente che le belle ragazze sono in maglia ufficiale o in abiti tipici e, più che ammiccare alla telecamera, seguono con ansia le evoluzioni di Lukaku o di Modric (2). Sexy? Certo, sexy come la gioia di vivere. È proprio questo che mi preoccupa, di questa censura del XXI secolo.
Ed abbiamo apprezzato, si señor, le trasmissioni sportive della grande catena televisiva concorrente e consumista (Integralisti del Partito: Tiè!), che si è buttata sull'offerta negletta dalle emittenti pubbliche; reportage sobri e competenti. E l'alternativa: la possibilità di vedere la partita senza commento, con il sonoro dello stadio. Non ci siamo privati.
Le reti di stato, quando ci capita di ascoltare un giornale radio, come oggi, non si dipartono dai loro schemi e dai loro cliché. Si parlava dei finalisti: guerra civile da una parte e colore della pelle dall'altra. Come a dire: sono in finale, si, ma hanno certi problemi! Nulla è cambiato: l'Arcipelago è una repubblica democratica fondata sull'effetto di dimostrazione. E sul suo negativo, il mal comune mezzo gaudio.
Ma non roviniamoci la giornata: C'è ancora una partita da vedere e, da domani, una squadra da organizzare. E, da parte nostra, sempre gioco totale.

P.S.: Hanno appena inquadrato una ragazza croata in canotta! E una francese in top! Signora mia, dove andremo a finire?

© 2018 Pavia Malandra

(1) "Un éléphant, ça trompe énormement", trasposto egregiamente, per una volta, negli States come "La signora in Rosso", con l'insuperabile Gene Wilder.
(2) Per sfottere, poco fa mi hanno dato del "Modric di Campo del Oro"

 

 
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L'aria che tira.

Post n°468 pubblicato il 03 Giugno 2018 da Santajusta_Cultura

Non contate su di me perché rinunci ai miei principi. Lo sapete: è l'era dei microfascismi, ai quali dobbiamo opporre, quotidianamente, le nostre microresistenze. O dico balle, con questo taglio sullo zigomo e un'arcata sopraccigliare che non tornerà mai più come prima? Tanto più che il micro rischia di diventare macro, ed è ancora colpa nostra. Dove eravamo, quando i nostri coetanei credevano di cambiare il mondo con una parolaccia?
Basti, per il profumo dell'aria che tira, la prima dichiarazione del ministro "Della famiglia e della disabilità", che ha immediatamente espresso il suo proprio concetto di famiglia e, per fortuna, si è dimenticato di parlare della disabilità.
Ma, ancor più della presa di posizione, è inquietante la targa: "Famiglia e disabilità".
Riduttivo, incoerente e avvilente.
Riduttivo, perché limita i cari, vecchi affari sociali a due settori d'intervento. E sospetto che si sia voluto semplificare, come se i cittadini fossero dei bambini ai quali si parla facile.
Incoerente: soprattutto nelle regioni che ci hanno permesso di vantare cotanto rappresentante del governo, la disabilità viene dissimulata, come un tempo le false colline davanti alle baraccopoli di Santiago del Cile. Sostengono che sia una questione di costi, chiudono i centri diurni e propongono sostegno alle - eh, si - famiglie per un'assistenza fai da te. Il risultato è l'occultamento del disabile dentro casa.
Avvilente: "famiglia e disabilità" richiamano subito alla mente sacrifici, rassegnazione e tetraggine... non per niente, per facilitare l'eguaglianza, li chiamano "diversamente abili" e speriamo che, un giorno, li si chiami semplicemente con nome e cognome. Ah, scusate tanto, non avevo sentito che, per tirarci su il morale, si medita di riesumare il premio alle famiglie numerose. Così chiudiamo in casa anche le donne, vedi "Una Giornata Particolare" .
Critico? No. Prendo atto. Io, per primo, non ho mosso un dito. Se non in casa, ci siamo chiusi nella nostra riserva indiana, abbiamo discusso solo con gli amici, per chi, come me, ce li ha e non li confonde con i compagni della squadra di ciclismo della domenica (commetteremmo qualsiasi delitto, pur di ammazzare la domenica!), abbiamo lasciato nel suo brodo chi non la pensava come noi ed abbiamo sorvolato anche quando alcuni degli amici, tre mesi fa, ci hanno servito la frase fatta "Ho votato per il Gigante Verde, perché dobbiamo cacciarli fuori".
Pessimista? Neanche. Tragico: Non ridere, non piangere, ma comprendere. Sperando di riuscirci, un giorno. Per ora, la nebbia si taglia col coltello.
© 2018 Idem Sentire

 
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Scontro di culture.

Post n°467 pubblicato il 27 Maggio 2018 da Santajusta_Cultura

A Namnetes, si sa, siamo campanilisti fino all'inverosimile, ma non lo ammettiamo. Ad esempio, quel ponte sullo stretto che unisce la nostra isola bella a Masuerte (Mala Suerte!) non ci piace neanche un po'. Narra la leggenda che il compianto Don Cayetano Arce Ramnes, vent'anni fa, capeggiava una banda di dinamitardi, tutti sessantenni e tutti tollerati, se non incoraggiati, dalla cittadinanza, pronti a far saltare i piloni.
Eppure, ci siamo sempre andati, qualcuno anche a nuoto. Lo stretto è davvero stretto. E da Masuerte, molti sono venuti, soprattutto a nuoto. La metafora del Ponte di Rialto non mi ha mai particolarmente sconvolto, finché non ci sono andato di mezzo io. Di tanto in tanto succede.
Senza entrare in noiosi (soprattutto per me) dettagli da donnicciola, credo che la differenza fondamentale tra le due isole stia tutta nei proverbi.
A Masuerte sono in crisi, per non dire miseria, e dicono "Mal comune mezzo gaudio".
A Namnetes siamo in crisi, ma diciamo "Mal de muchos, consuelo de tontos": mal comune, consolazione da fessi. Ed è per questo che non siamo in miseria (Pour l'instant!).
Nel primo caso, diventa ben presto un'epidemia, con conseguenze inquietanti: la miseria, appunto, e una cocciuta volontà di stanare dappertutto il mal comune o di inquinare quel poco di bene altrui, che comunque fa il bene di tutti; anche questo è razzismo. Rimane il fatto che, se ho una toppa sui calzoni, l'analogo rammendo vantato dal mio vicino non mi regala un paio di calzoni nuovi; e credere che sia un mezzo gaudio non mi incita a procurarmeli. Non ci guadagna nessuno.
(A questo punto, direte che passo troppo tempo con Bento, il sarto di Cortamanga, visto che non faccio che parlare di stracci).
Nel secondo, non ci sono scuse. Nemmeno quella di essere travolto da un corteo di sostenitori del mal comune mezzo gaudio, senza bandiere, senza striscioni, senza altri legami che il compiacimento nell'eguale pochezza. Si lavora per migliorare, o forse, soltanto, per restare sé stessi. Per non darsi nemmeno una chance di recitare il ruolo della vittima.
Del resto, mi è capitato di recente, e non c'era neanche Bento, con me: avrei potuto darlo in pasto alla folla al posto mio, lui che è sempre in prima linea! Scherzo. E non generalizzo: commercio con tante persone, laggiù, che non hanno niente da invidiare al più positivista dei Namnes.
Invoco il campanilismo per riderci su, fin dove è possibile; per me e per quelli che sono con me, che non meritano un risentito al loro fianco. Ma siamo di fronte a uno scontro di culture: occhi aperti sul cosmo contro abbonamento ai funerali, diplomazia contro ipocrisia, pulsione di vita contro pulsione di morte.
Sto attraversando, appunto, il ponte, per andare a lavorare. Quelli come me non conoscono fine settimana, e non è detto che mi dia fastidio. Arrivato al pedaggio, che si trova solo sulla sponda di Masuerte, concludo che ognuno sceglie il senso di marcia che più si adatta alla sua esistenza. Così pure io, da più di quarant'anni.
© 2018 Idem Sentire

 
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ALIMORTACE!

Post n°466 pubblicato il 25 Aprile 2018 da Santajusta_Cultura

Trovate il vostro posto nel... hai scritto "nel casino" o "nel cosmo"? Secondo me? Secondo me, le due ipotesi si equivalgono. Oggi, il mio posto è nella cucina di Heliantos, a scrivere, ad ascoltare la radio, a bere il caffè. E anche, malgrado le apparenze, accendere la lavatrice: se non voglio andare in giro "en bragas"... anche a Campo del Oro, scusate la rima, voglio mantenere il decoro.
Tra poco esco... per caso, all'angolo, c'è ancora il gazebo di "Alimortace.com"? Si, sono gli stessi bravi ragazzi (con lo stesso gazebo) che, dovendo pur mangiare, nelle mattine dei giorni feriali, raccolgono fondi per le ONG in Casco Viejo... i volontari sono specie estinta.
Di domenica vengono in borgata e vendono... cosa vendono? Un test del DNA, dice il dépliant, che rivela la provenienza dell'interessato e, mediante l'incrocio dei risultati con i milioni già conservati negli archivi, consente di trovare dei parenti lontani.
Le foto mostrano un WASP in età pensionabile, ma attenzione! Di bell'aspetto e bella casa, comodamente seduto su un divano in velours ruggine, che legge il referto, assai compiaciuto di provenire da zone nord occidentali. In altre, una signora, non meno agiata, che potrebbe essere sua figlia, scopre che costui è un suo parente. In men che non si dica, la prima suona alla porta del secondo; segue un tripudio da figliuol prodigo a Chicago.
Dopo questo, giuro che non criticherò mai più la pubblicità dei siti d'incontri, nemmeno quello classista. Certo che esiste! Ma perché, in questa casa, cadete tutti dal pero?
Nel settore della vendita di fumo, Alimortace.com non conosce rivali. Scoprire da dove vengo? E a che serve? Ho un luogo di nascita sulla carta d'identità. Come tutti, ho avuto genitori, nonni, zii e altre voci narranti. D'altro canto, è molto pericoloso cercare sicurezza nella provenienza geografica-genetica... qualcun altro ci aveva provato, un'ottantina d'anni fa.
Incontrare parenti lontani? Uhm... se penso agli ultimi parenti lontani che mi hanno imposto...
E infine: se non riuscite ad avere rapporti umani con i parenti prossimi o, se proprio vi sono antipatici, con gli amici più cari, come pretendete di rappezzare la vostra esistenza con lo Zio d'America... ah, quello zio d'America...! Avevo trascurato questo dettaglio. Sorry.
La leggenda, o la sua versione attuale, la telenovela, è l'anima del commercio, dovrei saperlo. Quanto a me, non credo risponda ai bisogni del consumatore aprire un sito di corsi di recupero dello spirito critico. Dovrò riconvertirmi in qualcos'altro.
© 2018 Idem Sentire

 
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Campo del Oro Picture Show: Io sono Tempesta

Post n°465 pubblicato il 15 Aprile 2018 da Santajusta_Cultura
 
Tag: cinema

Io sono tempesta

Di Daniele Luchetti

Cast: Marco Giallini, Elio Germano, Eleonora Danco

Italia, 2018

 

Si può ridere anche della decadenza di un paese. Ci riesce Daniele Luchetti, nel suo "Io sono Tempesta", farsa misurata, resistente alla tentazione del pecoreccio, malgrado la presenza di tutti gli ingredienti.

Numa Tempesta è il Cesare Botero ("Il Portaborse") del ventunesimo secolo: oggi anche il potere è diventato grottesco. Non più un gelido Nanni Moretti, dunque, ma Marco Giallini nelle vesti di un cialtrone-piacione, incidentalmente ricco imprenditore, pronto a imbastire truffe e seminare denaro, sempre che una resa ci sia.

Un metodo che tenta di applicare anche quando, nel bel mezzo di un'ambigua operazione finanziaria in Kazakistan, viene travolto da una condanna per evasione fiscale; e si ritrova a svolgere lavori socialmente utili come alternativa alla galera, con mansioni di volontario in un centro di accoglienza per poveri.

Qui l'obiettivo si allarga. E scopriamo che tutti sono Tempesta, dai diseredati che cercano di approfittare della situazione, alla psicorigida direttrice del centro, fino alle tre call girls, nonché studentesse di psicologia, addette alle nottate del nostro, che le accoglie senza nessun entusiasmo quando, al termine della giornata di beneficenza, si ritira in uno dei suoi alberghi di lusso: anche lui, al pari delle sue nuove conoscenze, è un senza fissa dimora.

Tra queste ultime Bruno (Elio Germano), ragazzo padre plurifallito, è il meglio disposto a ricevere i suoi insegnamenti e a organizzare imbrogli che sfruttino al meglio la smania del pregiudicato di  affrancarsi al più presto dalla corvée.

Nel frattempo, si creano insoliti legami, tra arte di arrangiarsi, gratta e vinci e degrado urbano (benché comico, il film non trascura - né esagera - certi dettagli); senza contare la sindrome dell'abbandono, unica causa, secondo le tre ragazze, della mascalzonaggine di Numa. Con tornaconto umano, oltre che finanziario; superficiale, forse, o forse no. Per tutti, tranne che per la direttrice, troppo prigioniera del proprio ruolo, o investita della propria missione, come dimostra il suo smodato (e modaiolo) riferirsi all'empatia: dimmi di cosa ti vanti e ti dirò di cosa manchi.

Proprio per queste sfumature è riduttivo vedere in Numa un noto personaggio delle cronache, che qui non si nominerà, celebrato, volontariamente o meno, in altre opere ed operette. "Io sono Tempesta" è si, film di omaggi. Ma ad Ettore Scola e Dino Risi.

Dopotutto, ci dice Luchetti, Numa Tempesta è figlio di Romolo Catenacci ("C'eravamo tanto amati") e Bruno Cortona ("Il Sorpasso"). E forse ne avevamo bisogno, dopo anni di italioti da "fiction".

E si esce dalla sala, quantunque semideserta, come esploratori soddisfatti: l'umorismo esiste ancora.

© 2018 Idem Sentire

 
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